III. -Miserabili

Serie: La Grande Onda


Per compari di catena aveva un tizio grosso e barbuto dalla vita disperata, che dal cantiere navale dove inchiodava assi al soldo di balordi disonesti -fra quelli che non rendono la giusta mercede ai lavoratori-, adagio si era convertito dall’umile protesta alla vita libera in mare sotto bandiera nera.

Si chiamava Robèr, spesso col vezzo de “Il Rosso”, senza capire mai se per il colore dei capelli, del viso, o del sangue.

Si era innamorato di una ricca donna di Columnia, ed era da lei ricambiato.

Ma lui era un pirata.

E lei nipote di un Magistrato.

Nelle peripezie dei loro incontri segreti, vennero sgamati e passarono i guai l’uno lontano dall’altra. Lei lo negò quando interrogata, ma lui si battè e venne catturato in custodia come schiavo. Questo succedeva mesi addietro, su un’isola dell’ovest.

Dall’altra parte, alle assi penzolava un nero tutto muscoli dallo sguardo maliziosamente educato, intelligente.

Veniva dagli arcipelaghi del sud oltre la Cinta di Carìlia; dopo giorni di tranquilla indifferenza, aveva raccontato del suo lungo viaggio nel deserto prima di giungere alle spiagge e salpare. Fuggiva da una vita di stenti nelle oasi profondissime: la libertà di cui aveva sentito parlare nei suoi sogni l’aveva trovata nella pirateria: ma la libertà è costosa, e quelli che la cercano finiscono spesso in catene.

Gli schiavisti erano pagati a peso d’oro per quelli più forti e violenti, perché finivano quasi tutti nell’Arena o a sbracciarsi nei mestieri più faticosi.

Fra questi non rientrava Thomas, smilzo e di basso muscolo, disprezzato sotto bassa valùta per ogni dove, che per un incidente durante i pasti sfigurò il carceriere con un pugno. Questo gli guadagnò diverse frustate, il tipico marchio dello schiavo inciso a fuoco sul petto e il paradossale nomignolo di Colosso.

Dopo giorni di navigazione suonarono la campana dell’approdo, all’arrivo ai Porti Est.

Chiunque aveva sentito parlare di Columnia, capoluogo della Magistratura: la labirintica e ambigua città.

Si snodava dal porto all’alto borgo su in collina, costruito concentricamente per ospitare ricchi e funzionari, sino alle punte aguzze dalle quali spiavano il mondo i Magistrati, onde per cui -non senza disprezzo- era chiamata La Guglia.

A scendere si apriva in arteria tutta la città, la cui eccentricità stava nell’arrampicarsi delle case l’una sopr’all’altra fino ad altezze indecenti.

Col tempo si erano affollati tutti quei rioni miserabili di pirati e ambiziosi poveracci, i quali di necessità crearono strade e assi di casa in casa, per salire e scendere.

Da queste vie oscure e secondarie trafficavano i loro mestieri, allargandosi fino al porto e a tutta la zona est dell’isola, sicchè la presero a chiamare Città Infame.

Si riempirono gli occhi di questi borghi alti a scurare il cielo, più di legni e frasche che di mattoni; poi salirono per il basso borghetto, dove ai cuori dei perspicaci era palese la disparità di condizioni, e scesero di nuovo poco prima del rione delle consortetie, dove la strada era sabbia e si spalancava gigantesca ad ospitare l’Arena.

Il carceriere rancoroso, ancora mezzo malconcio, li consegnò a pugni e calci, come ultimo saluto, e disse:

“Occhio a questo qua: è il più fetente“.

Continua...

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