Il Bar dei sogni realizzati
La chiave gira due, tre volte nella toppa mezza arrugginita, producendo cigolii familiari che ormai riesco ad anticipare con la mente.
Sorrido qualcosa di un po’ nostalgico mentre il vento freddo di fine dicembre spazza il mondo con un’insistenza quasi fastidiosa, costringendo le decorazioni di natale appese dal comune qualche metro al di sopra del selciato a ondeggiare pericolosamente.
Persino le chiome dei minuscoli alberi di natale, carichi di palline e luci colorate, che impreziosiscono gli ingressi di alcuni negozi illuminati a festa, sparpagliati a macchia d’olio lungo la via in cui abito, hanno il loro ben da fare per trattenere addobbi e decorazioni sui rami.
Giro la maniglia e mi ritrovo nell’atrio minuscolo di uno spazio che a poco a poco e con molta fatica ho imparato a considerare casa e che tra un paio di settimane, dovrò abbandonare per sempre.
Quando mi sono trasferito qui, l’ho fatto per ricominiciare a scrivere da zero la mia storia.
Non è facile prendere atto che tutto quello che credevi di sapere e avere costruito nella vita si risolve nelle poche cose indispensabili che infili in valigia senza nemmeno pensare.
Quelle che servono per continuare a vivere e andare avanti.
Fare i bagagli per lasciarmi alle spalle la vita che avevo la presunzione di conoscere così bene e che credevo persino di poter prevedere, in qualche modo, mi servii a comprendere che a trent’anni, dell’esistenza, io non avevo capito un bel niente.
Nel giro di una settimana, pochi giorni prima di Natale l’azienda in cui lavoravo era stata costretta a ridurre l’organico all’essenziale a causa della crisi occupazionale che in quell’anno aveva costretto moltissime attività medio piccole a chiudere e la ragazza con cui stavo da quasi otto anni mi aveva mollato così, su due piedi senza grosse spiegazioni.
Credevo che un indeterminato servisse almeno a coprirsi le spalle e fu per me uno shock ricevere il benservito a meno di quarantott’ore dalla Natale.
Alcuni mesi addietro avevo deciso di comprare la casa in cui risiedevo in affitto da più di un anno, iniziando una lunga e snervante serie di trattative con proprietario e agenzia.
L’accordo era già sulla mia scrivania e in quei giorni stavo finendo di leggere e capire un po’ meglio le condizioni grazie al supporto del legale a cui mi ero rivolto.
Per fortuna, quelle carte, dovevo ancora firmarle.
All’epoca vivevo delle convinzioni che avevo sviluppato con una certa naturalezza vivendo in un ambiente che sembrava fornirmi solo certezze e non avevo mai avuto modo di pensare che a volte le cose che non vorresti che accadessero sono le uniche che riescono a portarti dove speri di arrivare.
La sera del 22 dicembre, lo stesso giorno in cui ero stato licenziato, camminavo da solo nel centro della cittadina in cui ero cresciuto e in cui avevo abitato ogni giorno della mia vita da quando ero nato, sentendomi per la prima volta un estraneo.
Le persone che attraversavano il mio campo visivo per qualche istante non riuscivano a lasciare alcuna traccia del loro passaggio.
Somigliavano a fantasmi inconsistenti che portavano a spasso, sacchetti sorrisi e di tanto in tanto si scambiavano qualche coccola.
Avevo dimenticato a casa i guanti e non sentivo più le dita.
A un certo punto l’indice e il medio della mano destra iniziarono a pulsare e farmi male, costringendomi ad attivare il radar per trovare il primo bar aperto nelle vicinanze.
Impiegai poco a raggiungere il primo disponibile, che aveva preso il posto di uno storico negozio di scarpe di cui in passato ero stato un cliente affezionato.
Gettando uno sguardo al di sopra della mia testa sorrisi nel leggere il singolare nome scritto in bianco su rosso dell’insegna:
“Bar dei sogni realizzati”.
Spinsi la porta ed entrai.
Appena varcata la porta fui piacevolmente sorpreso nell’accorgermi di quanto accogliente e piacevole fosse quello spazio.
L’ampio salone ospitava una ventina di tavoli di legno corredati da eleganti sedie con imbottitura rossa e su ogni tavolo scintillava una palla di natale fatta a mano e raffigurante il paese che cambiava forma, dimensione e colore ogni volta che qualcuno si prendeva la briga di prenderla in mano e scuoterla.
Presi posto a un tavolo libero in fondo alla sala, vicino a un’elegante stufa che proiettava sulle pareti ombre danzanti dalle forme sfuggenti e avvicinai le mani all’oblò appannato dal calore delle fiamme, traendo giovamento immediato dal calore.
– Buonasera, cosa desidera?-
Sobbalzai quando udii una delicata voce femminile provenire dalle mie spalle.
– Oh, mi scusi, non intendevo spaventarla.-
-Oh…nessun problema, si figuri…è solo che…-
-Non se lo aspettava, giusto?-
Voltandomi mi ritrovai di fronte a una signora vestita come un elfo che per uno strano effetto prodotto dalle lenti degli occhiali, pareva avere due occhi giganteschi.
-Ehm…già.-
Risposi colto un po’ alla sprovvista.
-Dunque, come possiamo esserle utili? Cosa desidera?-
Non era una formula comune per prendere le ordinazioni. Mi sentivo un po’ a disagio perchè la signora- ricordo che il nome che il suo nome era Elga, perchè l’avevo letto sulla targhetta che portava attaccata al petto- continuava a fissarmi con uno sguardo intenso che sembrava vedermi dentro. Nel mentre sorrideva e quel sorriso era qualcosa di rassicurante. In preda a un vortice intenso di sensazioni le risposi con tono scherzoso e dicendo la verità.
– Beh, dopo aver pensato troppo a quello che vogliono gli altri, desidererei scoprire cosa significa vivere seguendo le mie di aspirazioni. Ma prendo un caffè, grazie.-
La signora annuì senza dire niente e il suo sorriso divenne più ampio.
– No, per il momento è tutto.-
– Bene allora, vediamo cosa possiamo fare…per il caffè intendo. Ha bisogno di altro?-
Si allontanò facendomi l’occhiolino e io sorrisi, sentendomi, per la prima volta nell’arco di quella terribile giornata, sereno e in pace con il corso degli eventi.
Consiglio una seconda rilettura per eliminare le piccole imperfezioni.
Per il resto, l’inizio incuriosisce, è una buona apertura… vedremo come si sviluppa la storia.
Mi colpisce l’esordio qui proprio il 22 dicembre.
Ciao Robért e grazie 🙂 è un modo nuovo per scrivere e sperimentare qualcosa di diverso. La dimensione che preferisco sono i romanzi 😉
Buone feste
Ciao Marco e benvenuto su Open. Complimenti per il tuo racconto di esordio. Parole quasi cullate, una narrativa evocativa da cui traspaiono i profumi e le sensazioni. Il freddo e il caldo che anche io sono riuscita a percepire. Molto bello il finale. Bravo
Ciao Cristiana! grazie per il benvenuto e per i complimenti! 🙂
Buone feste!:)
‘Sorrido qualcosa di un po’ nostalgico’ Come ci hai pensato?
Eh no… Ora ci vuole il seguito.
Ho sempre odiato quelle pasticcerie che ti fanno sentire il profumo dei dolci mettendo il ventilatore davanti al forno ed inondando i passanti di gas desiderogeno. Se ne sento l’odore, poi ne devo sentire il sapore, ed immaginarne gli ingredienti, uno per uno, fra la lingua ed il palato.
Bravo.
Ciao Giancarlo, scriverò sicuramente il seguito! 😉 grazie! e buone feste!
Una grande forza ed abilità narrativa.
Grazie Hugo! Buone feste:)