Il Castello V.

Serie: Il dipinto sul muro


Un vecchio castello, il dipinto di un cane sul muro, i ricordi di un uomo che credeva di aver perso tutto.

“E adesso aspetterò domani per avere nostalgia.” (F. de André).       

Le pagine che vi accingete a leggere narrano due fatti. Il primo si può descrivere in tre semplici parole: io sono morto. Il plico contenente questo e altri documenti sarà aperto, e a questo punto è stato aperto, sei mesi dopo la mia dipartita. Ho pensato a un tempo abbastanza lungo in modo che il senso di vuoto dovuto alla perdita della mia persona si attenuasse. A dire il vero penso che si sia attenuato dopo meno di tre giorni in tutti voi. Ma ho voluto comunque questo intervallo, questa sorta di limbo sospeso tra il nulla di prima e il tutto di poi, nel senso di ciò che sperate di ottenere dal mucchietto di ceneri che ora mi rappresenta, un modo per farvi pensare ancora a me prima di sigillare il cassetto della memoria.

Il secondo fatto ha bisogno di qualche parola in più. È la mia vita. Nelle prossime pagine vi racconterò una storia. Una storia che a sua volta vi racconterà di me. Qualcuno di voi crede di conoscermi a fondo. Non prendetevela perché in realtà sono pochissimi coloro che mi hanno conosciuto e nessuno, eccetto una persona, mi ha mai conosciuto davvero. Neppure voi.

Lei non ha avuto tempo, eppure ha continuato a essere accanto a me nei momenti di gioia e in quelli in cui la tristezza e la malinconia sono riusciti a superare le resistenze che per tutta la vita ho tentato di costruire.

Come faccio ad essere sicuro che ci siate tutti? Merito degli altri documenti. Purtroppo per voi, quel signore elegante seduto al di là della pesante scrivania non vi permetterà di accedere a nulla se non dopo aver ascoltato tutto ciò che ho da dirvi.

E quindi mettetevi comodi. Leggete insieme a voce alta, se volete. Oppure togliete i punti metallici che uniscono le pagine di questo manoscritto e fate passare i fogli, uno a uno, di mano in mano.

Insomma, fate come cazzo volete (a questo punto siete liberi di immaginare una delle mie risate).

– – –

Ho sempre amato la grande costruzione sulla collina di T., il paese dove sono nato e dove ho trascorso tutta la mia esistenza. Nel corso degli anni il Castello V. ha visto oscillare il suo destino tra l’opzione della ristrutturazione e quella della demolizione, per lasciare spazio a unità immobiliari più vendibili. Mi sono battuto per evitare un simile sacrilegio e la mia determinazione, insieme a quella di altri cittadini che come me avevano a cuore il castello, ha condotto tutti alla vittoria. Per quanto fosse più complicato e meno conveniente intervenire sul vecchio edificio invece di abbatterlo, siamo riusciti a convincere le autorità che il valore storico non doveva essere messo a confronto con nient’altro.

Il vecchio edificio fu così ristrutturato senza modificarne l’architettura e l’aspetto generale. Furono ricavate tre grandi unità abitative di lusso che mantenevano molti degli aspetti originali, ognuna con una perfetta gestione della riservatezza, tanto che in ognuna di esse si aveva l’impressione di vivere in una casa indipendente, ovvero di avere l’intero castello a disposizione. Alcune inevitabili modifiche furono realizzate per dare alle abitazioni il massimo delle comodità moderne, ma in caso di dubbio venne sempre privilegiata la venerabilità di quel luogo.

La facciata si impone per la sua maestosità, ma sono i giardini sul retro e sui lati a stupire con la loro armonia. Ognuna di queste meravigliose oasi di tranquillità è posizionata in modo tale da essere nascosta alle altre ali dell’edificio. Dei tre, il più affascinante è quello sul retro. Si estende fino a un terrazzamento che scende verso la pianura con un alternarsi di muretti di pietra e di scarpate erbose. Da qui lo sguardo abbraccia l’intero paese di T. e, nelle giornate limpide, può spaziare su un’ampia porzione dell’Arco Alpino.

In quegli anni, invece, la mia mente spaziava sulle grandi opportunità che la vita mi stava offrendo e sul tappeto rosso che immaginavo steso per me da qui a un punto nel futuro così lontano da non vederne la fine. Presi così la decisione di seguire il mio sogno e dopo una battaglia feroce ebbi la meglio sulle tre donne della mia vita. Non ho mai saputo se fossi davvero riuscito a convincerle o se avessero alzato bandiera bianca per lo sfinimento.

La prima e forse l’unica che davvero riuscii a portare dalla mia parte, fu Sofia, mia figlia. Va bene, lo ammetto: all’epoca aveva cinque anni, ma una determinazione e una forza da non credere. Non fu semplicissimo, perché lei amava la sua casa, la sua cameretta, le sue routine, ma da quel momento fu la mia fedele alleata contro il nemico. Mia moglie e mia madre.

Mia moglie, Eleonora, la metà razionale della coppia, analizzò la situazione come se si trattasse di una partita a scacchi. Lo faceva per ogni decisione più o meno importante e in questo caso, data l’estrema importanza, si spinse in avanti per mettere sulla scacchiera dati certi, previsioni e conclusioni possibili, come solo un grande maestro avrebbe saputo fare. Non fu facile, ma niente a confronto di mia madre.

Mère, come spesso la chiamavo sapendo quanto le desse fastidio, fu l’ostacolo più arduo da superare. E non perché non le piacesse l’idea, anzi era affascinata dalla ristrutturazione di quella meraviglia e lo era altrettanto dalla possibilità di trascorrere del tempo con noi e la sua nipotina in un ambiente di tale bellezza, ma perché una buona parte dell’investimento necessario sarebbe arrivato dal suo conto.

All’epoca non avevo certo le possibilità economiche attuali, quelle a cui voi bramate e per cui in questo momento state leggendo le parole di un morto seduti di fronte all’uomo elegante, ma comunque non me la passavo male. Avrei potuto effettuare l’acquisto senza alcun aiuto. Ero però frenato dalla mia attività di impresa in fase di forte espansione che non poteva correre il rischio di rimanere senza liquidità.

Per farla breve, convinsi anche Mère e acquistammo la casa. L’ala centrale del castello, quella con il meraviglioso giardino panoramico.

La decisione peggiore della mia vita.

La decisione migliore della mia vita.

Serie: Il dipinto sul muro


Avete messo Mi Piace11 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Un luogo comune visto praticamente ovunque, forse anche per quello incuriosisce. Spero tenga i presenti alla lettura, sulle spine più a lungo possibile. Inoltre, ma come si sarà mai arricchito, quest’uomo ormai non più uomo, nemmeno più carne?

  2. Ciao Antonio, ho letto questo episodio per secondo, non so perché mi risultava invertito l’ordine degli episodi.
    Molto interessante l’idea che la storia sia narrata attraverso un testamento, mette ancora più curiosità.

      1. È una cosa che fa in TUTTI i racconti su #EO, di chiunque. Se clicchi sul primo capitolo la prima volta, in automatico il sito (è una specie di bug) modifica momentaneamente il numero del capitolo facendolo diventare il secondo. Se poi clicchi su quello che è dunque diventato il primo (originariamente, il vero secondo capitolo) esso ritorna “normale” e si autolista come secondo capitolo. Ho capito questa cosa ormai da mesi, perchè a seconda del racconto capisci subito in base ai titolo che uno di quelli non può assolutamente essere il primo. Ne avevo parlato anche con lo staff, che questa cosa è abbastanza snervante

  3. Inizio ora questa serie con molta curiosità. L’introduzione mette davvero voglia di proseguire e la descrizione di questo castello fa venire in mente le atmosfere delle grandi ville di alcuni film come “il giardino segreto”, “Casper” o “Edward mani di forbici”: luoghi che sembrano sorgere sul confine tra due mondi. Mi butto subito nei prossimi episodi.

  4. Bello l’incipit. Cattura subito perché ribalta l’aspettativa del lettore (“io sono morto”), mette in gioco un narratore postumo e crea un tono insieme ironico, amaro e confidenziale.

    1. Ciao Rocco. Ho provato a dare un tono a quella frase che non fosse di matrice horror (Valdemar, per capirci…) Spero di riuscire a mantenere questo tono (ironico, amaro e confidenziale… corretto!) anche nel seguito.
      Grazie!

  5. Bellissimo ritrovare le atmosfere di mistero e tensione che sai creare. Un inizio che mi ha già rapita, a partire dalla citazione di Faber, che tra l’altro viene da uno dei miei pezzi preferiti. La chiusa ha già in sè la potenza di quello che ci andrai a narrare: quando a qualsiasi cosa attribuiamo sia il meglio sia il peggio, ci sono di mezzo i sentimenti più forti che siamo in grado di provare. Quel tipo di cose che ti sconquassano l’esistenza, dalle quali non si esce come prima ( e considerando che narra un morto, verrebbe da fare la battuta: da certe cose non si esce vivi…)
    Riesco sempre, in ciò che scrivi, ad andare al di la del genere, che pure è meritevole, per trovare riflessioni che abbracciano territori più ampi.

    1. Ciao Irene. Il brano di Faber è un capolavoro. L’ho riascoltato qualche giorno fa. Avevo voglia di ascoltare qualcosa del nostro e ho scelto casualmente tra i CD. E quella frase, che peraltro conosco benissimo come quasi tutti i suoi testi, mi ha colpito in modo particolare, tanto da inserirla come citazione.
      E’ un racconto abbastanza lungo, che si svilupperà su diverse scene. Ne ho scritte alcune, altre le sto ultimando e sistemando. L’idea c’è… vediamo dove mi porterà!
      Gli eventi che ti cambiano la vita, come dici tu, sono quelli che riescono a smuovere le emozioni più forti, positive o negative, o entrambe, in modo terribilmente contraddittorio.
      Ti ringrazio moltissimo!

  6. Una storia ambientata in un castello, devo assolutamente leggerla!
    Come sempre la tua scrittura è intrisa di un sentore gotico, che per un appassionato come me vuol dire goduria ad ogni frase.
    Bravo!

  7. Un bellissimo incipit, di quelli che personalmente trovo più coinvolgenti: un personaggio che parla al lettore, e con il plus che questo personaggio è morto. Poi l’attenzione si sposta verso la vicenda, che viene introdotta altrettanto efficacemente. Sono curioso di sapere quale sarà il ruolo del dipinto nel muro.
    Confesso di non aver ben capito se una delle due ultime righe è sfuggita alla revisione o se effettivamente era tua intenzione creare questo dualismo, ma considerata la prima impressione generale del testo, credo più la seconda.

    1. Devo ammettere che ho riflettuto molto sulle ultime due righe. Perché mi rendevo conto di quanto fossero pericolose per il prosieguo della storia. Diciamo che non potrò dimenticarle e fingere di non averle mai scritte… Una sfida con me stesso fino alla fine del racconto 🙂

  8. Se questo è l’inizio promette bene. Quella ‘
    “V” puntata mi incuriosisce, sarà la chiave del racconto.
    “La decisione peggiore della mia vita.
    La decisione migliore della mia vita.”
    In ogni caso la decisione di scrivere questo racconto sarà un successo.

  9. Molto attraente! Promette davvero bene. E devo dire che lo stile è ottimo e mai noioso nemmeno nelle descrizioni. Inoltre, l’idea di far parlare un morto, sebbene non sia nuovissima, ha sempre un certo je ne sais quoi.

    1. Ciao Francesca. Le descrizioni… devo dire che ho sempre paura che siano eccessive tanto che spesso mi costringo a tagliarne alcune parti. E in questo caso, ben venga il limite delle mille parole!
      L’idea di far parlare un morto? Non sai quante difficoltà mi sta creando con alcune parti del seguito!
      Grazie!