
Il cerchio piatto
In una città di circa centomila abitanti vive una ragazza che ha da poco compiuto la maggiore età e lavora come cameriera in un umile ristorante del posto. I pochi amici e le poche amiche che ha la annoiano, sono ripetitivi nei discorsi, i luoghi che visitano e frequentano sono sempre gli stessi e tutto scorre sempre in modo monotono, senza novità alcuna. La città le sta proprio stretta e in alcune specifiche situazioni sente come se due esili, ma fastidiose e morenti mani, si attorcigliassero attorno al suo collo, come se i suoi confini carnali si rimpicciolissero e la esiliassero a vivere in una città per cui prova un sentimento di noia che nel tempo si è tramutato in profondo odio per gli abitanti e per i luoghi stessi in cui vive. Il problema è la città, sono gli amici e sono il numero ristretto di cose che si possono fare in quel posto.
La decisione ormai è stata presa: è il momento di levare le tende, di “abbandonare” quel luogo in cerca dell’avventura, della novità, è il momento di pensare in grande, trovare nuove amicizie che saranno quelle che si porterà dietro fino alla fine della sua vita e non saranno come le persone noiose che conosce ora. La meta è ovviamente una città molto più grande, con molte più cose, piena di vita e con abitanti diversi dal suo paese di origine.
Una volta trovata una sistemazione confortevole e un lavoro non diverso dal precedente, inizia, nelle sere in cui è libera ad uscire prima con delle colleghe di lavoro e poi riesce a crearsi un giro tutto suo di amicizie. Nei primi tre o quattro mesi di frequentazione tutto procede bene, la conoscenza tra di loro aumenta, le cose che fanno sono per lei nuove e tutt’altro che noiose: sembra che si stia proprio divertendo.
Passano due anni e mezzo e purtroppo quella vita inizia a diventare nuovamente monotona. Tutto si è stabilizzato fin troppo, e gira e rigira le cose che fanno lei e i suoi amici ad un certo punto sono diventate sempre le stesse. Alcuni episodi con gli abitanti di quest’enorme città non sono stati del tutto piacevoli e si sta stancando anche di loro. I luoghi sono diventati sempre gli stessi e quelle manine esili che le si attorcigliano attorno al collo stanno riprendendo forma e sostanza, facendole mancare nuovamente il fiato.
I pensieri che in questo momento turbano la ragazza vertono sulla sua sfortuna nell’aver incontrato sempre gente noiosa, luoghi con abitanti scortesi e con posti poco vari. Si può dire che in due anni di vita è ritornata alla posizione di partenza proprio come se avesse percorso i confini di un cerchio, non è cambiato quasi nulla della sua vita.
In una città di circa un milione di abitanti vive una ragazza che da qualche anno ha compiuto la maggiore età e lavora come cameriera in un umile ristorante del posto. I pochi amici e le poche amiche che ha la annoiano, sono ripetitivi nei discorsi, i luoghi che visitano e frequentano sono sempre gli stessi e tutto scorre sempre in modo monotono, senza novità alcuna. Questa ragazza dovrà cambiare parecchie città, per capire che il vero problema, in realtà, è lei: la vita è come un cerchio piatto, a meno che tu non ti renda conto di esserci dentro e cambi cerchio cambiando atteggiamento, gusti, preferenze e scetticismi. Solo in quel momento un cerchio si può diramare in un percorso fatto da tratti di molti cerchi che si concatenano. Inoltre, c’è da dire che se trovi il cerchio giusto potresti anche non annoiarti mai e percorrerlo fino alla morte.
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L’ansia della ricerca è strettamente legato al non stare bene con se stessi: inconsciamente scappiamo, cerchiamo di tappare un buco riempiendo con qualsiasi cosa riesca a non farci pensare. Credo che la storia della tua protagonista sia, almeno in parte, quella di tutti noi.
“Questa ragazza dovrà cambiare parecchie città, per capire che il vero problema, in realtà, è lei”
Questo passaggio mi è piaciuto
Insomma, tutto il mondo è paese. Vero, ci dimentichiamo che il cambiamento necessario deve avvenire dentro di noi.
Esatto, tutto dipende da come vediamo le cose.
Ciao Andrea, la morale di questo racconto è molto significativa. Mi ricorda il proverbio “chi troppo vuole, nulla stringe”. Credo ci sia una certa maturità nel sapere andar oltre al bisogno di “qualcosa di nuovo”, riuscendo ad apprezzare la piccola quotidianità che ognuno di noi costruisce per sé. La vera sfida penso che sia alimentare quest’ultima con piccole novità, mantenendola così dinamica e rassicurante allo stesso tempo.
Ciao Linda, mi trovi assolutamente d’accordo. La ricerca della svolta sensazionalistica (che pure nella esperienza personale di alcuni si può verificare, come quelli che vincolo la lotteria) è frustrante e infruttuosa. La vera saggezza porta a cercare la felicità nei piccoli passi quotidiani, che non fanno scalpore, non generano risonanze eclatanti ma determinano un percorso alternativo rispetto ai binari in cui spesso ci troviamo a seguire.
Ciao Tiziano! Siamo proprio sulla stessa linea d’onda. Condivido pienamente quanto hai scritto anche tu 🙂
Vi ringrazio per i vostri commenti e sono pienamente d’accordo con voi. Mi state aiutando a crescere personalmente.
Credo che quando si scrive una storia, descrivere il luogo che contiene i protagonisti sia molto importante. Questo racconto mi è piaciuto, descrive un senso di oppressione e accerchiamento, e in generale tutti i concetti espressi nel meraviglioso brano “Feel” di R. Williams. Ora, io ho capito il senso del testo e se dovessi interfacciarmi alla protagonista, le direi che il grande regista Fellini, pur avendo conosciuto una notorietà assoluta, è sempre voluto rimanere ad abitare nel suo paesino d’origine, nella provincia emiliana. Fellini ha detto in un’intervista che se avrebbe vissuto a Parigi, New York o Los Angeles non avrebbe trovato l’ispiraizione per far uscire il suo genio. L’ispirazione la trovava solo dove provava oppressione e senso di accerchiamento: “customizzando” questi stati d’animo, faceva arte.
Ti ringrazio per il commento pieno di citazioni. Credo che l’ispirazione si scateni con fattori che dipendono dai propri geni e dalle proprie caratteristiche. Fellini non avrebbe mai fatto quei film se fosse andato in grosse città e Heisenberg non avrebbe scritto la storia della fisica se non si fosse isolato nell’isola di Helgoland.