Il cielo dietro gli abeti
Serie: A piedi controcorrente - Cronache semiserie di un fuggitivo pandemico-
- Episodio 1: Il primo passo è il più scemo
- Episodio 2: Animali in gabbia e pellegrini smarriti
- Episodio 3: Il cielo dietro gli abeti
STAGIONE 1
Ero arrivato al cancello precisamente dopo mezz’ora dalla chiamata alla suora.
Oh, il tempo di arrivo gliel’ho detto a caso. Fortuna da pellegrino ateo che arriva nei pressi di un luogo sacro!
La strada che portava al monastero, o almeno così pensavo, era lunghissima, costeggiata di abeti, e ogni cento metri c’era una croce: a volte a destra, a volte a sinistra.
Mentre camminavo, mi sembrava di fare un viaggio metafisico tra politica e Chiesa, un pellegrinaggio che oscillava tra il sacro e il profano, tra il dubbio e la fede. Dopo aver passato quattro croci, mi aspettavo di trovare la quinta di lì a poco.
Ma invece della croce spuntò una panchina.
Giuro che l’ho guardata come si può guardare una donna dopo una lunga astinenza.
Ma fermarsi a meno di due chilometri dall’arrivo mi sembrava una sconfitta personale.
Abbassai la testa, per togliermi la panchina dal raggio visivo, e continuai a camminare e a pensare. Fare la seconda era stata una cazzata. Perché pensare mi aveva portato, appunto, a pensare che: alla fine, perché sarebbe dovuta essere una sconfitta quella sosta?
Non stavo mica gareggiando contro qualcuno.
Non c’era nessuno che mi stava seguendo spingendomi a proseguire a suon di cinghiate.
Alla fine, quella sensazione di sconfitta aveva senso quanto la mia decisione di partire a piedi in pieno Covid per la Francigena. Quella sosta, quindi, era coerente con tutto quello che avevo fatto fino a quel momento.
Senza colpe rimetto la panchina nel mio raggio visivo.
Le gambe sembravano più leggere a ogni passo che mi portava più vicino alla panchina, e la panchina invece, da piccola che era quando l’avevo inquadrata, diventava sempre più grande. Tanto che, quando ero proprio davanti a lei, mi sembrava di averla vista crescere mentre mi avvicinavo, e provai una specie di affetto pre-seduta nei suoi confronti.
Appoggiai lo zaino sul bordo della panchina, sistemandolo come un cuscino.
Slacciai le scarpe e, stranamente, non avevo i piedi gonfi. Mi aspettavo che dopo due giorni di cammino avrei iniziato a patire gonfiore, vesciche e tutte le altre cose di cui i siti che avevo consultato prima della partenza dicevano di stare attenti.
Ora: o ero di buona pasta, o avevo fatto pochi chilometri.
Mi convinsi della prima idea e crollai sulla panchina, diventandone un tutt’uno.
Ricordo di aver guardato il cielo, che si affacciava dietro le punte degli abeti.
E poi il buio.
Aprii gli occhi e mi ritrovai tra i banchi di scuola.
Alzo lo sguardo: a fare lezione c’era il Pasolini.
«Daniele!» mi guarda e dice. «Ti eri addormentato? Non lo vedi che stanno uscendo tutti? Ah, ricordati che dopo ci vediamo con La Vale e gli altri. Mi raccomando, dillo anche a Simo, Vincenzo e Michele e organizzatevi per venire. A dopo!»
Effettivamente stavano uscendo tutti dalla classe in quel momento.
Cavolo… stavo sognando.
Ricordo solo che Vincenzo mi tirò il braccio e disse:
«Dai, Dany! Si perde il pulmino!»
E poi boom: diretti a casa del Pasolini.
C’erano tutti. Il Corsi che suonava la chitarra sulla poltrona; Nando accanto a lui, seduto su una di quelle sedie di legno che si aprono e chiudono; la Vale sul divano lì accanto. Io, Vincenzo e Michele eravamo di fronte a loro, seduti su sedie da cucina — col cuscino però — e tutti gli altri in cerchio accanto a noi.
«Mattone su mattone, viene su una grande casa, è il Signore che ci vuole abitar, con te!»
Non ci potevo credere.
Ero ai vecchi ritrovi che facevamo col Pasolini al di fuori della scuola.
Finita la canzone, il Pasolini lesse alcuni messaggi che gli aveva mandato Paolo, un collega che stava a Firenze, con cui a volte ci incontravamo per fare degli incontri. Tipo quello che stavamo facendo lì in cerchio, ma con l’aggiunta di giochi. E come quello che da lì a poco saremmo passati a fare: la preghiera.
«Prima di iniziare,» disse il Pasolini, «mi sembra doveroso leggere il messaggio di augurio per la serata che stiamo facendo del mitico Paolo!»
Applauso di gruppo.
Poi continuò:
«So che l’incontro che state svolgendo stasera è benedetto dal Signore, che sarà ricco di gioia e amore. Buona serata a tutti e a presto!»
Applausone di fine lettura, e il Corsi, in mezzo al rumore, chiese:
«Paso?! Ora ci sta bene una canzone. Si dedica a Paolo!»
E iniziò un’altra canzone.
Ricordo di avermi visto: avevo la faccia un po’ contrariata da tutto quello che stava succedendo. Poi, all’improvviso, nel bel mezzo del canto, mi alzai in piedi e, nervosamente, dissi:
«Ora basta!»
Tutto nero.
Boom.
Di nuovo il cielo dietro gli abeti.
La realtà che rientra al suo posto, lenta.
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- Episodio 2: Animali in gabbia e pellegrini smarriti
- Episodio 3: Il cielo dietro gli abeti
Bene, mi è piaciuto!