Il cielo d’Irlanda

La sera sopraggiungeva sempre con un gran via vai di uomini che oltrepassavano la porta dell’Old Bridge Tavern, il saloon più importante in tutta Sunday Creeck.

Chuck Tuker, il proprietario del locale, si sarebbe gustato di lì a breve un bicchiere di whisky single malt che si faceva arrivare direttamente da Dublino.

Non poteva nemmeno pensare di mandare giù quella brodaglia yankee che gli abitanti del luogo osavano chiamare whisky. Il sapore caldo e setoso che gli riempiva la bocca quando beveva il suo unico bicchiere della giornata, lo riportava a casa, in Irlanda. Quel breve intenso momento serale, lo riconnetteva con chi era stato davvero, quando ancora la vita non lo aveva trasformato in quel bastardo lurido figlio di cagna che tutti sapevano essere.

Era arrivato in America con una nave commerciale, pagando un biglietto che non poteva permettersi e lavorando come sguattero nelle cucine. Aveva conosciuto lì John McCormack, mentre stava pulendo il pavimento. Il sottoufficiale era entrato col piglio marziale con cui era solito muoversi e solo per un caso non era franato lungo disteso sul pavimento bagnato. Chuck lo aveva afferrato in tempo per evitargli la caduta. Si sarebbe aspettato un rimbrotto, ma il sottoufficiale al contrario lo aveva ringraziato. Aveva riconosciuto immediatamente la cadenza del Connamara e, complice la lontananza da casa e la spontaneità degli irlandesi, erano diventati subito amici. Trascorsero le successive settimane, trovandosi la sera al bancone della mensa del personale di bordo, per farsi una pinta di birra scura.

Entrambi erano scappati dalla povertà, per cercare un futuro dall’altra parte dell’Atlantico. John si era fermato sulla nave che faceva la spola fra Dublino e New York, perché aveva bisogno di rimanere legato alla sua patria e tornarci periodicamente; mentre Chuck una volta giunto a New York, si sarebbe avventurato sulla terra ferma per costruirsi una nuova vita lontano da quei prati verdi. Il sogno di un nuovo inizio.

Per realizzarlo però aveva bisogno di soldi e una sera, preso il coraggio a quattro mani chiese aiuto all’amico. John non fece domande, gli consegnò il denaro che poteva permettersi di dargli, chiedendogli in cambio un unico favore: qualora lo avesse visto un giorno comparirgli davanti, avrebbe dovuto ucciderlo.

“Sono malato Chuck. E non so per quanto ne avrò ancora”. Chuck iniziò a ridere come preso da uno spasmo, certo che l’amico lo stesse prendendo in giro, ma John era serio. Dannatamente serio. Quella richiesta era vincolante. Prendere o lasciare. Chuck messo con le spalle al muro, ma con la convinzione profonda che mai più si sarebbero rivisti, decise di accettare. In fin dei conti era solo una promessa fatta alla Morte, andando dietro alla spavalderia che solo un irlandese doc avrebbe mai potuto esprimere.

Erano trascorsi dieci anni da quell’addio, Chuck non ci aveva più pensato sperso nella prateria del profondo West in cui aveva deciso di rifugiarsi. Una volta arrivato in America, aveva deciso di seguire la costruzione della ferrovia e si era addentrato in quella terra così inospitale, così arida, così diversa dall’Irlanda e lì finalmente si era sentito a casa.

Aveva lavorato duramente, divenendo il padrone di quasi metà della cittadina di Sunday Creeck. Non si era risparmiato nemmeno nella sua personale discesa all’inferno, uccidendo e prevaricando chi aveva avuto il fegato di pararglisi davanti, senza scrupoli alcuni. Era temuto. Era odiato. Era il padrone. Del resto, non gli importava.

Non si era ancora bagnato le labbra nel whisky, quando lo riconobbe in quel fantasma d’uomo che era appena entrato nel locale. I capelli una volta rossi come il fuoco, erano ingrigiti. Il portamento da sottufficiale era scomparso, dando spazio a una magrezza insana color polvere e il passo marziale aveva lasciato il ritmo a una zoppia sfinente. Chuck era di fronte allo spettro di un uomo che non esisteva più.

Gli andò incontro. L’amico lo riconobbe immediatamente, sorridendogli. Si abbracciarono senza fiatare. La malattia alla fine aveva preso il sopravvento, mangiandoselo vivo.

Non c’era nulla da dire che avrebbe potuto accorciare le distanze che la vita aveva messo loro in mezzo, ma esisteva solo un punto da cui ripartire. Una promessa fatta da rispettare. Quella promessa che aveva fatto a cuor leggero e che ora rientrava prepotente nel suo raggio d’azione. Non c’era modo di tornare indietro, non certo di fronte a un pegno da pagare alla Morte che si era presa la briga di venire a batter cassa a Sunday Creeck.

Estrasse la sua vecchia Colt e fece fuoco, mirando al cuore. Lo sparo risuonò nel saloon lasciando gli avventori immobili come in una vecchia foto in bianco e nero, mentre John si accasciava al suolo ormai liberato.

Fece segno agli inservienti accorsi dal retro di portare via il cadavere mentre lui con lo sguardo lo salutava un’ultima volta. Il suo debito era stato estinto e la Morte poteva andarsene via soddisfatta.

Si sedette di nuovo al tavolo, osservò il liquido ambrato che vorticava nel bicchiere e per un breve attimo ritornò con la mente al suo cielo d’Irlanda. Solo per un altro attimo…

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Molto interessante questo racconto che parla di nostalgia e di immigrazione. Immagini evocative di una terra lasciata e ancora amata. Scrivi molto bene, con ricchezza di particolari. Bel racconto!