Il coltello e i ricordi

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ...ecco apparirgli un uomo tarchiato, elegante, dall’aspetto familiare. Indossava uno spezzato grigio cenere, un cappello giallo ocra e delle scarpette da tennis: era proprio l’uomo che accompagnava Lara la sera precedente, non aveva dubbi. Non gli restava che seguirlo. E così fece.

Rallentò, lo lasciò passare davanti, poi cambiò marciapiede e gli stette dietro, senza perderlo di vista. Tutto andò liscio lungo il pedinamento. Gustav continuava nella sua fischiettante andatura, fino a rallentare, per poi svoltare e svanire nel portone del tribunale. L’uomo dell’albergo rallentò, osservando Gustav svanire in quella macchia bluastra. Guardò la scritta Tribunale. Lo immaginò giudice, magistrato, ma anche imputato, usciere, cancelliere, in ultimo avvocato. Non gli restava che attenderlo fino alla sua uscita, per poi seguirlo lungo il percorso che lo avrebbe riportato a casa.

Il nome dell’uomo dell’albergo era Stain, diminutivo di Stanislao. Stain pensò che fosse giusto procurarsi un coltello adeguato per l’occasione. Lo avrebbe acquistato di buon mattino, in un piccolo negozio di coltelli, che si trovava in un luogo isolato, lontano dal tribunale, come dal centro abitato. Sarebbe stato l’oggetto ideale. Quando Stain entrò nella coltelleria, il proprietario si alzò di scatto dalla sedia, dove stava leggendo il giornale. Strizzò ripetutamente gli occhi, come per accertarsi che la sua non fosse una visione: Stain Lopez, il suo lontano compagno di banco delle medie, alla prestigiosa scuola Blaise Cendrars. Possibile che dopo tanto tempo soltanto lui, Ariele, riconosceva il suo cliente, e l’altro, Stain Lopez, non riusciva a ricordarsi di lui? «Possibile?» gridava Ariele, cercando di riportarlo indietro nel tempo, alla realtà dei suoi ricordi. «Davvero non riesci a ricordare? Eravamo nella sezione B della scuola Blaise Cendrars – ma addirittura, l’anno degli esami finali, occupavamo lo stesso banco. E tu agli esami parlasti in modo mirabile di Eugenio Montale, mentre tutti, compreso me, ti guardavano incantati, quando con le tue parole facevi brillare gli occhi dell’insegnante di italiano, che poi avevi fatto tutto da solo, perché tuo padre era stato fuori e nessuno ti aveva aiutato durante la preparazione. Ricordo che avevi dimenticato la poesia di francese, ma non credo che l’avessi dimenticata, è che non l’avevi studiata. Forse non ricordi che pronunciasti i primi versi: Le vingt-cinq décembre c’est un jour trés joieux car c’est Noël…, e poi di colpo scena muta! Ma la professoressa sorrideva, pensava all’emozione, senza sapere che per te esisteva soltanto Montale, e recitare i versi di una poesiola per bambini in francese avrebbe rappresentato un affronto, un tradimento al poeta italiano ermetico e non laureato che preferivi sopra tutti gli altri; e allora avevi deciso di non impararla, dal momento che la tua era una precisa scelta ideologica e non una semplice dimenticanza, e nemmeno emozione, come credeva la professoressa di francese, incantata da come avevi parlato di Montale, una meraviglia, a detta di tutti, compresi i più esperti. La tua discussione su Eugenio Montale era durata moltissimo tempo, oltre il previsto; era necessario fermarti. Qualcuno era tentato di farlo, ma non trovava il coraggio, perché, scorrendo l’espressione del viso dei colleghi della commissione, scorgeva la resistenza a qualsiasi interruzione; e lo stesso presidente che avrebbe dovuto fermarti, dopo aver ispezionato i visi dei componenti della commissione, ritornava sui suoi passi e riprendeva ad ascoltarti con lo stesso rapimento degli altri, come se tutti i visi tradissero la stessa maschera nell’incantamento. Non ti ricordi, caro Lopez, che cosa ti dissero, alla fine del tuo esame? E nemmeno che vi fu un applauso e diversi professori ti trattennero in piedi, dopo la tua prova di letteratura italiana, indirizzandoti verso lo studio della poesia e della profondità degli studi umanistici? Il ragazzo è portato per il classico, per la poesia, per gli studi umanistici, come pochi. In fondo è l’unico allievo che può ambire a determinate profondità e resistervi a lungo, come dicevano gli esperti, e la nostra professoressa di italiano si gonfiava di orgoglio, aspettando che tutti se ne andassero per salutarti per bene, che era l’ultimo giorno di scuola e di vita per la terza B, la nostra classe del malincuore, e forse non vi sareste mai più visti, e allora ti abbracciò fortissimo, da farti male, ma senza chiederti nemmeno scusa per la sua stretta eccessiva, grossa com’era ti avrebbe soffocato durante il vostro addio del terrore, così agghiacciante e indimenticabile. Dal giorno del tuo esame non ci siamo più visti, ognuno la sua strada. Io non ho continuato, e tu il liceo classico nemmeno lo hai più fatto, deludendo tutti, un gran peccato. Che cosa hai fatto nella vita, poi? Me lo sono chiesto tante volte.»

Ariele si fermò. Riprese fiato, attese. Stain Lopez si guardava intorno, osservando il piccolo negozio pieno di armi da taglio di tutti i tipi, con l’aria fredda di un estraneo, in attesa di chi lo servisse.

«Sto cercando un coltello da sub. Ne vorrei uno semplice, tagliente, che non sia ingombrante e che non pesi troppo. Potrei vederne qualcuno, per favore?»

«Possibile che non ricordi più nulla? Dimmi che stai fingendo, andiamo! Capisco che anche io sono cambiato, sarà per la barba, i capelli, la qualità della pelle, ma i miei occhi: guardali bene, per favore! Che cosa ti dicono?»

«Che prezzo fa il coltello col manico rosso?»

«Il tuo esame. Lo ricordo bene, come la tua voce chiara, misurata, quando parlavi dell’ermetismo e dicevi che l’amore era il nodo più ermetico che esista al mondo; e poi l’odore dei limoni, il desiderio di un giardino innevato e di una ragazza che ti sfiorasse le labbra sotto un albero o accanto a un muro sulla cui cima c’erano cozzi aguzzi di bottiglie – che immagine incantevole e insieme comune, in fondo, come dicevi tu: il vero incanto è dato dalle cose elementari e mai dalle straordinarie. Come il tuo amore segreto per la compagna del primo banco, la piccola Margot, che non si è più trovata… Si è dileguata, all’improvviso. I genitori hanno fatto di tutto per ritrovarla, ma senza alcun risultato. Dopo tanti anni si saranno rassegnati. Era una tua ammiratrice, per come ti guardava e per come ascoltava i tuoi versi.  Ricordo che la guardavi con la stessa intensità, ma seppure tu non l’avessi mai notata il suo sguardo verso di te non sarebbe cambiato. Diventava un’altra, quando ti scorgeva da lontano. Un pomeriggio c’ero anche io con lei nell’androne della scuola, quando all’improvviso arrivasti, e lei smise di parlare, impallidì e cominciò a tremare, fino a quando tu non passasti e andasti oltre, pensa. Aveva un soffio al cuore. C’è chi pensa che sia scomparsa per la scoperta di una cardiopatia grave, ma sono soltanto voci.»

«Col manico nero andrebbe meglio, direi.»

«Non riesco a credere che non sia tu lo Stain Lopez del secondo banco. Hai gli stessi lineamenti precisi, eleganti. Lo sguardo, la voce, e poi il naso, la fronte alta e la bocca ordinata di una ragazza. Perché non lo ammetti? E di Margot? È vero che non ne sapevi niente? Possibile non ti abbia confidato nulla? Hanno detto che vi sareste frequentati. Qualche pomeriggio vi avrebbero visti insieme al parco Andersen, mesi dopo la fine delle scuole. C’era chi diceva che non eri tu a stare insieme e vicino a lei, ma un altro ragazzo che ti somigliava. Qualcuno avrebbe riferito che non era lei a stare insieme e vicino a te, ma un’altra ragazza che le somigliava. Un altro piccolo gruppo insisteva che non eravate voi, nessuno dei due, a stare insieme e vicini nel parco Andersen, ma altri due ragazzi che vi somigliavano. Tra le tre possibilità dovrebbe esservene una reale, che poi, dopo circa un mese dal pomeriggio di cui si parlava, Margot svaniva nel nulla.»

«Potrei vedere il coltello col manico nero?»

Ariele si arrese. Si avviò sconcertato verso la vetrina a prendere il coltello da sub col manico nero; poi, mostratolo a Stain, cercò un ulteriore spiraglio per riportarlo nella sua dimensione.

«Non riesci proprio a ricordare? O forse stai fingendo?» gli fece, mentre Stain si gingillava il pugnale da sub dal manico nero tra le mani, con un’aria sicura, da grande esperto, indifferente a qualsiasi cosa gli venisse detta dal compagno commerciante non riconosciuto. Ariele cominciò a balbettare. L’insofferenza dell’amico cominciò a sfiancarlo.

«Poco lontano da qui abita Gustav, un nostro compagno di classe. Ha fatto una grande carriera. È un ottimo avvocato. Ha una bellissima moglie e due bambine, di cui non ricordo i nomi.»

«Il prezzo del coltello, per favore.»

«Dunque, certo, perdonami. Il coltello col manico nero… mi sa che è l’ultimo, purtroppo. Temo che devo darti l’unico in esposizione.»

«Ma l’esposizione alla luce e alle variazioni termiche, quando piove e i vetri si appannano, non può favorire una propensione alla ruggine sulla punta o sulle dentature rispetto ai modelli conservati nelle rispettive confezioni, nella giusta temperatura e umidità?» gli fece Stain.

«Vi volevate così bene con Margot. Agli occhi di tutti gli amici più cari sembravate due fidanzati smarriti. Durante il tuo esame di italiano sembrava che tu parlassi con lei nel parco Andersen, o quando si passeggiava tutti insieme lungo il Corso Pavese, quando le gelaterie erano chiuse.»

«Vorrei vedere il coltello col manico rosso. È tardi. Non ho più tempo.»

«Ha ragione. Ritorno in me, allora, nel mio presente. Mi sembra la cosa più giusta. Meglio arrendermi» e così fece.

Continua...

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


Avete messo Mi Piace9 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Notevole la trovata del dialogo fra Ariele e Stain (forse “macchia”, chissà) dove ognuno parla per conto suo, uno del passato anche queste l’altro di un incerto ma, a quanto pare minaccioso, presente. M a anche quest’ultimo li riporta in contatto, sebbene su un piano diverso dove un’arma, e non più la poesia di Montale, fa da mediatrice.

    1. Grazie, Francesca. Il cuore dell’episodio è proprio in questo dialogo poco omogeneo e molto disarticolato, dove si evince la sproporzione di intenti tra i personaggi, rendendolo quasi, e non a caso, una sorta di monologo ossessivo, ridondante, con qualche sedimento opaco di risposta, sempre disconnessa dal filo discorsivo, da parte del compagno di classe acquirente. Con il loro modo di porsi, e direi anche di contrapporsi, all’interno del discorso diretto, entrambi, Ariele e Stain, si stanno presentando. Bella e interessante la tua suggestione finale sulla funzione mediatrice del coltello. Un saluto e a presto.

  2. Non sei stato per niente ermetico, hai raccontato tutto di Stein giovane: scherzo. Sei stato invece magnifico, questo seriamente, nel descrivere il tormento di Ariele, quei ricordi che non passano mai, anzi, che riemergono inaspettatamente.

    1. Ti ringrazio per il tuo interesse, Fabius. In realtà è proprio sui ricordi che non passano, sul loro peso e la loro invisibilità – e relativa imprevedibilità – che si imperniano e si articolano i vari accadimenti della serie. Vi è sempre la presenza di un fondale, che soggiace all’interno dei personaggi e che li rivela in un loro misterioso controluce, che non sempre corrisponde a ciò che avremmo immaginato di loro. In questo secondo episodio, nel singolare confronto tra i due vecchi amici, si muovono proprio queste correnti, attraversate da una resistenza ad affrontare qualcosa che non è ancora scivolato nell’oblio, e che accompagna, dal buio della sua postazione, le trame del racconto. Un saluto.

  3. Riprendo quanto ho scritto nel commento precedente, cioè che l’elemento predominante in questo secondo episodio sembra proprio essere il contrasto. La loquacità di Ariele, contrapposta alla fredda schiettezza di Stain, reggono da soli l’intera scena che sembra uscita da uno spettacolo teatrale. Ho apprezzato tantissimo, a dispetto di quanto la verosimiglianza suggerirebbe in una situazione simile, come Ariele si lasci andare in un fiume di parole quasi stesse parlando a sé stesso, quasi non si trattasse di un vero dialogo fra due persone. Mi è sembrato un approccio interessantissimo al dialogo narrativo, tipico forse della letteratura classica. In effetti, mi spingo a dire, entrando nella dimensione simbolica, che questi scambi di battute potrebbero tranquillamente essere una sorta di flusso di coscienza di Stain. Ho questa immagine nella mia testa: lui che si dirige in negozio per acquistare un coltello, la sua coscienza e le sue memorie che riaffiorano, sotto la forma della voce di Ariele, e gli suggeriscono che cosa forse sarebbe potuto diventare, grazie all’amore per la poesia e gli studi umanistici. E dopo, solo alla fine, è Stain stesso a riportare alla mente Margot e, insieme a lei, forse, anche l’inizio di una discesa verso l’abisso.
    Questo è ciò che la mia immaginazione mi ha suggerito, stimolata dalla tua abilità, Luigi. Potrebbe essere tutto tranquillamente confermato così come smentito negli episodi successivi, ma mi lascerò sorprendere, come si fa con le belle storie e (molto più difficile) come si dovrebbe fare con la vita stessa. Un saluto e a presto!

    1. Ciao, Gabriele. Mi complimento per la tua capacità critica, nel cogliere dettagli e sfumature all’interno del racconto, non sempre così evidenti. Mi rivedo perfettamente nella tua inquadratura. In questo singolare confronto, che si mantiene sul contrasto di un personaggio che sprigiona pensieri e rievocazioni di un tempo andato, e dell’altro, murato in una sorta di autismo, o mutismo selettivo, per il determinato contesto in cui si trova, rivedo gli archetipi di tutta la serie. In questo episodio in particolare si concentra la fase germinale di una serie di elementi, di comportamenti e condizioni ideologiche e narrative, che accompagneranno il lettore lungo la progressione degli episodi e delle stagioni, in una sorta di denominatore comune a cui ancorarsi: il rapporto traumatico con qualcosa di accaduto e di nascosto alla propria coscienza e alle proprie percezioni, che fa fatica a venire alla luce. Vi è molto la configurazione classica del teatro, come approccio al discorso diretto, ai tempi, al gioco simultaneo dei contrasti. È un lavoro molto teatrale, hai ragione, specie se intravisto nell’evoluzione prospettica dei personaggi, della loro espansione mai troppo lineare, sempre attraversata da quel fattore di correzione che cambierà le carte in gioco in modo inatteso, come un cambio improvviso di luci, di atmosfere, di postazioni di scena. Ancora grazie per la tua dedizione e pregevole rilettura di questa prova.

  4. “«Sto cercando un coltello da sub.”
    Il contrasto che queste poche, concise parole creano con tutto il piccolo monologo del commerciante, è una suggestione che ti arriva come una freccia invisibile lanciata dritta verso la tua sensibilità. Che cosa c’è dietro alla freddezza di Lopez: psicopatia, negazione di un passato di rimpianti e di scelte non prese, o qualcos’altro ancora? Così tante le domande suscitate in così poco.

  5. Mi è parso riuscitissimo il surreale dialogo che regge la narrazione di questo episodio: snervante, irritante, non saprei dire se più l’indifferenza di Stain o il dialogo stesso, per come lo hai saputo condurre. Il lettore si ritrova certamente confuso e mille domande si affacciano alla mente, altrettante le supposizioni. È solamente per lei o esiste qualche conto in sospeso? Si tratta di una tutela oppure di un gesto studiato, meditato?

    1. Le tue domande, Cristiana, aprono nuove faglie in questa singolare geologia della storia, mai statica, ma attraversata da lunghe ombre e da territori di incomunicabilità e alienazione (Più avanti la situazione comincerà seriamente a degenerare). I tuoi quesiti sono per me la riprova di quanto tu sia entrata dentro i fluidi segreti della serie, gli stessi che la smuovono e che la ritraggono, all’interno di un magma dove tutto potrebbe essere altro da ciò che si percepisce. Ogni personaggio incamera, nel suo comportamento, nei suoi gesti, nella sua ideologia, una dimensione mutevole, dove soggiace qualcosa di profondo che accomuna tutte le parti in gioco, ciascuna dalla sua prospettiva. È questo qualcosa, che anche io sto cercando di delineare e di affrontare all’interno della struttura, potrebbe giustificare le contraddizioni, le sospensioni, i respiri di questa progressione di eventi organizzata intorno a una sorta di antieroe, quale è il poeta: una persona fallita, enigmatica, che non ha saputo sfruttare né direzionare le sue qualità, che non ha trovato il coraggio di sfiorare le labbra, o anche solo i pensieri, di una compagna di classe cardiopatica, ma che nel contempo esplode come un tornado nella vita dei suoi compagni ritrovati. È anche qui la sede del mistero, di un qualcosa che soggiace e che tace, ma che conduce inesorabilmente gli eventi verso una loro foce, alla quale nessuno di loro potrà mai sottrarsi. Confermo, e concludo, la sensazione disturbante del dialogo iniziale, tenuto all’interno della coltelleria tra Stain Lopez e il commerciante Ariele. In fondo quel dialogo è il vero coltello dell’episodio, specie per come intaglia e seziona i ricordi di scuola, come se fossero le viscere di un branzino.
      Grazie ancora del tuo ascolto prezioso. A presto.

    1. Ciao, Roberto. Hai colto una cifra essenziale di tutto il progetto, che spero di mantenere nel suo giusto equilibrio, preservandone il deterioramento. Grazie della tua preziosa attenzione.

      1. Ciao, Federico. Ti ringrazio del tuo commento. È stato un dialogo alquanto singolare, su cui ho lavorato molto per ottenere una determinata misura, in particolar modo nel gioco di ombre e di contrasti tra la dilatazione estrema del comportamento del personaggio di Ariele, il commerciante di coltelli, e la forma asciutta ed ermetica del poeta invasore, e cliente occasionale, che sembra non ricordare né appartenere allo stesso livello di realtà né alle voragini dello stesso passato del suo compagno di studi non riconosciuto. La ricerca di un equilibrio, e quindi di un’armonia tra le parti, è stato l’elemento più impegnativo all’interno del processo di collaudo dell’episodio.

      2. Interessante il processo che descrivi, mi ci ritrovo molto: anche per me ho capito che è necessario lavorare molto sui brani che scrivo per ottenere qualcosa che sia in linea con quello che volevo raggiungere.

        1. Penso anch’io che le dinamiche di riscrittura e di revisione rappresentino il cuore del processo. Una sua parte vitale e altrettanto ispirata, e non solo accessoria.

  6. Il contrasto tra i due personaggi è notevole e ben evidenziato.
    In generale, però, non è mai conveniente lasciare la parola ad un personaggio per così tanto tempo senza spezzarne il discorso, perché si rischia di appesantire troppo il testo, disorientando il lettore.
    È sufficiente un piccolo accorgimento per fluidificare meglio la lettura senza alterare il significato e l’obiettivo dello scritto.
    Il tema del contrasto, reale e simbolico, che fa pilastro dell’intera storia, è molto suggestivo e coinvolgente. Sono sempre più curioso.

    1. Sì, è vero, ma in questo caso mi serviva evidenziare la verbosità e quindi l’interesse di un personaggio, al gelo del compagno poeta che sembrava non riconoscerlo. È fondamentale questo contrasto. Anche in questo caso è una questione di dislivelli. Dipende anche molto dal tipo di regole strutturali che si avvertono prioritarie ma anche all’interno del genere in cui ci si muove. Io scrivo anche sceneggiature. In quel caso sono molto molto rigoroso, per quanto riguarda il rapporto tra le didascalie e il discorso diretto di cui parli e conosco perfettamente gli espedienti del caso. Ma in una serie di questo tipo, che è incentrata su narrativa contemporanea non di genere, ogni tanto mi concedo delle libertà, ma nemmeno la considero una trasgressione, tenendo presente il contesto di appartenenza di questo elemento. Almeno in questa fase di gestazione del progetto mi interessa molto questo rapporto di esondazione contro una sorta di semi mutismo della controparte. Lo giustifica la mia propensione a deflagrare le convenzioni nel loro approccio. Tutto qui. È quindi voluto.

    2. Aggiungo, al mio commento precedente, che la natura straripante del dialogo è importante anche per denotare la componente ossessiva, che sarà un altro coefficiente fondamentale del linguaggio e della sua economia di gestazione interna dell’ingranaggio e della sua progressione. È chiaro che in un thriller o in un romanzo storico questo aspetto potrebbe essere deleterio, ma avendo concentrato questo mio percorso sulla stratificazione psicologica dei personaggi e delle parti in gioco, lo ritengo uno strumento quanto meno funzionale per forgiare un certo assetto stilistico.

  7. Davvero notevole questo episodio. Originale nel dialogo surreale tra i due ex compagni. Logorroico uno, freddo e un po’ inquietante come la lama di un coltello l’altro. Complimenti.

    1. Grazie, Francesco. Questo dialogo è lo specchio del contrasto tra i due personaggi, che sembrano trovarsi in dimensioni e livelli di realtà del tutto diversi. Sono contento che ti sia arrivata la sua cifra surreale e quel giusto grado di inquietudine. Questi due aspetti li avverto degli elementi portanti anche di altre dinamiche presenti nella storia, che spero – e mi auguro – di congegnare al meglio nello sviluppo. Buona scrittura e a presto.

  8. A me Gustav ricorda certe atmosfere di Musil, non so perché. Apprezzatissimo il riferimento a Montale, e il dialogo costruito tra ricordi e insistenti richieste di un coltello – perché, poi? – è formidabile. Sei davvero bravo. Ti seguo a occhi spalancati.

    1. Ciao, Dea. Che messaggio ispirato. I tuoi riferimenti sono immensi, di fronte alla mia ricerca da microbo, o al limite da formica, ma mi riempiono di gioia e di emozione. In relazione alla storia del coltello da sub, potrei dirti che al momento lo sto orientando come un MacGuffin hitchcockiano, con tutte le possibili varianti del caso. Ma ti dico anche che, nei confronti di diverse situazioni relativa a questa fase di sviluppo, come il coltello che spezza di continuo l’armonia e la logica del discorso diretto, mi trovo esattamente come chi legge l’episodio per la prima volta e si fa delle domande, dimenticando in parte di averlo scritto. Per cui su molti aspetti siamo ancora sullo stesso piano di abbandono al mistero e alle sue risonanze, quindi in piena sospensione dell’incredulità. Ancora un grande grazie per la mirabile sensibilità ricettiva. A presto.

    1. In effetti le atmosfere che si avvicendano in questa prima fase lasciano intravedere diverse chiavi. Nell’evoluzione della storia continueranno a mutare, a negarsi o a volte ad arenarsi lungo il loro corso. Vedremo. Sono ancora in piena fase di valutazione dello sviluppo di alcune strade. Sono molto curioso anche io. Ancora grazie.

    1. Ciao e grazie. La tua risonanza su Lovecraft mi emoziona e mi confonde, davvero. Esistono di sicuro delle componenti, o forse delle interazioni, che possono ricondurre al suo universo. Ma il sentirselo dire è molto bello.