Il coraggio della paura
Era stata una lunga giornata per Pietro. Quel congresso sulle nuove pratiche nella medicina sportiva era stato piuttosto noioso, anche se gli aveva consentito di tornare per un paio di giorni nella città dove aveva studiato e si era laureato. Il treno per Roma lo avrebbe preso l’indomani mattina, così quella sera era tutta sua.
Oltre ai luoghi della sua gioventù, Pietro aveva ritrovato anche alcune persone, compagni di università in quegli anni rutilanti degli Ottanta. Quel pomeriggio, con l’amico Fortunato, si sentiva un giovane studentello, seduto nel dehor del Caffè Elena di Piazza Vittorio a Torino, a sorseggiare un aperitivo. Due uomini di mezza età, completi gessati, ventiquattrore accanto alle sedie e cravatta allentata. Pietro era ancora in buona forma, anche se rughe e capelli bianchi ne testimoniavano l’età. Fortunato invece aveva conservato il volto e il sorriso disteso, ma col corpo appesantito.
Come sempre in questi incontri, ricordavano tra risate e meraviglia la loro vita di studenti: lo studio, le serate, le ragazze.
«E la leggenda» disse Fortunato «che chi saliva sulla Mole non si sarebbe laureato, te la ricordi?»
Pietro la ricordava bene, una tradizione di Palazzo Nuovo. «Ma senti» fece dopo un attimo di silenzio, «noi siamo laureati ormai, perché non saliamo lassù adesso?»
Fortunato lo guardò perplesso, poi sorrise. «Forse è un po’ tardi.»
Pietro si alzò, andò alla cassa e, tornando, disse: «Se ci sbrighiamo ce la facciamo.»
Arrivarono alla Mole in pochi minuti. L’ultima discesa dell’ascensore panoramico era appena terminata, il personale si apprestava a chiudere.
«Peccato» disse Fortunato «fossimo arrivati dieci minuti prima.»
Ma Pietro non voleva darsi per vinto. Raccontò al custode, con tono quasi teatrale, la storia di due vecchi studenti tornati per un ultimo gesto simbolico. L’uomo, forse per toglierli di torno, acconsentì a una rapida salita. Li fece entrare sorridendo: «Godetevi la vista da lassù.»
L’ascensore panoramico è una cabina di cristallo sospesa per ottantacinque metri dentro la cupola. La sensazione di galleggiare nel vuoto è forte e quasi sconvolgente.
Avevano l’ascensore solo per loro. Fortunato però stava impallidendo; il sorriso disteso diventava una smorfia. Si torceva le mani, tossicchiava. Nessuno poteva sapere del suo difficile rapporto con l’altezza, né di quel lontano episodio a Pesaro, quando un vagone dell’ottovolante era rimasto sospeso per lunghi minuti, scatenando il panico nel piccolo Fortunato. Quel ricordo gli esplose nella mente appena prima di salire.
«Pietro, non ce la faccio… vai tu.»
«Non dirlo neanche per scherzo. Forza, ci fanno una cortesia.»
Fortunato lo fissò, quasi implorante, ma capì che l’amico non avrebbe desistito.
«Dai, fifone, ogni giorno qui ci salgono migliaia di persone. È sicurissimo.»
Fortunato ormai non era più un distinto medico cinquantenne, ma un ragazzino spaventato che voleva solo scappare. Pietro, senza volerlo, era il suo aguzzino. Alla fine si convinse, entrò nella cabina e si sistemò nel mezzo, lontano dalle pareti di vetro. Pietro, bonario ma insistente, continuava a ridicolizzare la sua paura.
L’ascensore traballò un poco e si mosse, iniziando il minuto di salita che li avrebbe portati al “Tempietto”, il punto panoramico più alto. Fortunato non guardava intorno, fissava i cavi che salivano verso la volta. Le parole di Pietro gli arrivavano come un ronzio fastidioso.
A una ventina di metri dalla cima, un improvviso scossone. Un rumore di catena che strideva, poi il silenzio.
«Che succede?» fece Pietro. «Perché siamo fermi?»
Fortunato non rispose. La mente era tornata al Luna Park. Passavano i minuti, nulla accadeva. Pietro non faceva più lo spiritoso. Guardò verso la base e vide gente agitarsi, giubbotti gialli che si muovevano freneticamente. Poi una voce metallica dall’altoparlante:
«Vi preghiamo di stare tranquilli, il sistema è in avaria; sarete evacuati tra pochi minuti dai Vigili del Fuoco.»
Pietro rimase immobile, le mani sulla spalla dell’amico, il volto pallido, gli occhi sbarrati. Fortunato tentò di parlargli, ma non ottenne risposta.
Intanto i Vigili del Fuoco montavano una scala modulare, alzandola fino alla quota dell’ascensore. Uno di loro, imbragato, si affiancò alla cabina, aprì con una pinza la porta e fece un passo dentro. Fortunato lo guardò con speranza: rivedeva i soccorsi provvidenziali di tanti anni prima. Pietro, invece, era paralizzato.
Il pompiere capì subito la situazione. «Facciamo passare lui per primo. Tu lo tieni per il braccio e lo lasci solo quando io ti dico che ce l’ho. È uno stacco di trenta centimetri, non più di un passo.»
“Sì, ma con sessanta metri di vuoto sotto,” pensò Fortunato. Eppure si sentiva vivo, attraversato da una calma nuova. Aveva capito cosa bisognava fare.
Il problema era Pietro: agganciato ai maniglioni, non voleva muoversi. Le parti si erano invertite: la paura di Fortunato era diventata determinazione, quella di Pietro panico.
Il pompiere fu costretto a prenderlo in braccio e, aiutato da Fortunato, lo portò fuori dalla cabina, appoggiandolo al terrazzino della scala. Fortunato lo seguì, quasi disinvolto, ricevendo pure i complimenti del soccorritore.
In pochi istanti furono a terra, sani e salvi. Pietro si era ripreso, ma non riusciva a guardare in faccia l’amico. Fortunato sorrideva. Aveva sistemato un pezzo della sua vita che non sapeva neppure avesse bisogno di essere sistemato.
Mentre scendevano, vide la Mole riflettersi nella visiera del casco di un pompiere: la paura e il coraggio gli sembrarono la stessa cosa, viste da quell’altezza.
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Ciao Pierpaolo. Ho letto con interesse il racconto, e l’ho trovato molto gradevole. Una situazione che chiude qualcosa in sospeso e avvicina ancora di più i due vecchi amici, con un po’ di nostalgia.
Per chi come me a Torino ci vive da sempre, leggere di Palazzo Nuovo (che meriterebbe un racconto tutto per sé) e di Piazza Vittorio con il Caffè Elena, è un piacere. Sono andato indietro di qualche anno…
Ne approfitto per dire a @cedrina di andare a visitare la Mole. Ne vale la pena, sia per la vista dall’alto che per il Museo del Cinema. Poi, al limite, ci sono i Vigili del Fuoco… 🙂
La Mole l’ ho vista da lontano, una sola volta, tanti anni fa. Non sapevo che si potesse salire in alto con l’ascensore. Quando ho letto la prima parte del racconto mi sono detta: “che bello, prima o poi ci andrò”. Poi ci ho ripensato leggendo la frase:
«Vi preghiamo di stare tranquilli, il sistema è in avaria; sarete evacuati tra pochi minuti dai Vigili del Fuoco.»
Mi sono detta che potrei farne anche farne a meno. 😊 Però bravo, per la tensione che hai creato e per il messaggio contenuto nella parte finale. Affrontare una paura che blocca, dopo un trauma, e superarla, può dare forza e coraggio per affrontare nuove prove.
Grazie 🙏
Mi è piaciuto molto: parte come una semplice serata tra vecchi amici e diventa una storia piena di tensione e umanità. Il finale lascia una bella sensazione, come se qualcosa si fosse chiuso in modo giusto.
“Fortunato sorrideva. Aveva sistemato un pezzo della sua vita che non sapeva neppure avesse bisogno di essere sistemato.” Bellissimo.
Grazie 🙏