
Il delitto della stanza chiusa
Alle prime luci dell’alba, il commissario Renato De Luca parcheggiò la sua Alfa grigia davanti a Palazzo Farnese, ancora immerso in un silenzio ovattato. La telefonata giunta alle quattro parlava chiaro: l’ambasciatore argentino era stato trovato morto nel suo studio, la porta chiusa dall’interno. Nessuna finestra aperta, nessun segno di effrazione. Un classico, fin troppo ordinato, “delitto della stanza chiusa”.
Il medico legale, dottor Moretti, sollevò lo sguardo dal cadavere. «Colpo secco alla nuca con un oggetto contundente. Decesso tra l’una e le due.» Sul tappeto, un frammento di porcellana azzurra scintillava. De Luca lo raccolse con pinza e bustina: recava il sigillo della Manifattura di Capodimonte.
Scandagliò lo studio: scaffali di volumi giuridici, un mappamondo aperto su Buenos Aires e una teca che avrebbe dovuto contenere un prezioso vaso settecentesco. Vetro infranto, base vuota. Il frammento sul tappeto apparteneva a quel vaso.
Alle nove, De Luca convocò i tre presenti nel palazzo durante la notte. Primo: il segretario personale, Enrico Sala, giovane distinto, mani tremanti. Secondo: la contessa Allegra Visconti, ospite dell’ambasciatore per un ricevimento rinviato. Terzo: il custode notturno, Gennaro Esposito, ex militare, sguardo impassibile.
Il commissario parlò con pacatezza. «Il vaso rotto è la chiave. Chiunque l’abbia preso ha perso un frammento, che ho qui. Gradirei ispezionare i vostri indumenti.» Proteste di prammatica, poi la contessa cedette: dalla fodera del suo bolero emerse un taglio netto, come se qualcosa fosse stato nascosto e rimosso in fretta. Niente frammenti, tuttavia.
De Luca annuì. «Cercavo un indizio fisico, ma ciò che manca pesa più di ciò che vediamo. Il vaso conteneva documenti compromettenti: prove di tangenti su un appalto energetico.» Puntò lo sguardo su Sala. «Lei ha redatto quei contratti, vero?»
Il segretario sbiancò. «Non so di cosa parli…»
Sala tentò un ultimo bluff, esibendo le chiavi d’accesso che avrebbe dovuto consegnare al corpo di guardia al cambio turno. «Sono uscito solo alle tre per un bicchiere d’acqua», mormorò. De Luca inclinò la testa: «Curioso. Il distributore al piano terra è guasto da due settimane; l’avrebbe saputo chiunque lavori qui di notte». La menzogna completò il quadro.
«Al contrario. L’ambasciatore aveva deciso di consegnare tutto al ministro questa mattina. Lei, temendo di finire in prigione, è entrato, ha colpito l’uomo con il vaso e ha raccolto i documenti. Ma le mancava un alibi: allora ha buttato il vaso rotto nella pattumiera dell’ala est e ha chiuso la porta dall’interno usando il vecchio trucco del filo da pesca, che poi ha tirato via dallo spioncino.»
De Luca posò sul tavolo una bobina di nylon sottile recuperata nel cestino dell’ala est. «Il frammento rimasto sul tappeto l’ha tradita.»
Sala crollò. «Voleva rovinarmi… ho agito d’istinto.» Fu ammanettato senza clamore.
Mentre gli agenti lo portavano via, la contessa chiese: «Come ha intuito la verità?»
De Luca sorrise appena. «Il custode porta scarponi chiodati: avrebbero lasciato segni sul parquet. Lei, contessa, non avrebbe mai deturpato un Capodimonte autentico. Restava il segretario, unico con il movente giusto. Nel giallo, il dettaglio sbrecciato racconta sempre la storia intera.»
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Devo dirtelo, adoro il titolo! Mi piace molto anche la trama e la descrizione che dai dei personaggi, forse è un po’ corto… hai pensato ad un ulteriore sviluppo?
Grazie per il tuo commento. In realtà con questo racconto sto sperimentando forme più brevi e caratterizzanti, da leggere in poco tempo. Sicuramente ho già in progetto altri titoli con serie vere e proprie. Se vuoi, seguimi! 🙂