Il fantaccino

«In marcia! O si marcia, o si muore». Il sergente era senza anima.

Mario obbedì agli ordini. Lo sapeva, l’aveva visto: chi non marciava si gettava nella neve e lì moriva congelato.

Odiò con tutto se stesso Napulione che aveva promesso una facile vittoria sui russi, invece la Grande Armata aveva trovato soltanto fango, fame e l’inverno che era implacabile.

Continuò a marciare, non aveva altre possibilità di sopravvivenza.

Guardò i suoi commilitoni. Sembrava di stare nella Divina Commedia, ma tutti erano dei piloni ricoperti di neve, non tuniche dorate come quelle degli ipocriti della sesta bolgia della Divina Commedia.

Quando si decise a farsi più forza sentì arrivare qualcuno.

Si girò a guardare e li vide arrivare con i cavalli, le carabine, le pistole e i colbacchi.

«Arrivano i cosacchi!» ululò il sergente. Un attimo dopo un colpo di carabina lo abbatté, la faccia una maschera di sangue irriconoscibile.

I fantaccini si misero in formazione di difesa, i Charleville sollevati come se fossero pesanti ponti levatoi e fra bestemmie e imprecazioni si prepararono ad accogliere i cosacchi.

Ma i cavalieri nemici, invece che attaccarli in maniera diretta, si limitarono a girare in tondo e a sparare con le armi, se trovavano qualcuno che finiva per essere isolato dal resto dell’unità lo travolgevano con i cavalli, lo stritolavano e lo trascinavano via per farlo a pezzi con le sciabole.

Le sciabole…

Una sciabola per poco non spiccò la testa a Mario che si difese infilzando allo stomaco il cosacco.

Il cosacco crollò nella neve.

Arrivarono altri cosacchi, forse attirati dalle urla di dolore del compagno.

Mario affrontò quell’orda di cavalieri più simili a demoni: agitò il Charleville e dilaniò la carne di cavalli e uomini senza distinzione, e i cosacchi si spinsero in avanti per martellarlo con il loro peso.

Mario era abituato a simili spettacoli: quando faceva le risse d’osteria tutti si gettavano su di lui, ma poi rimaneva immobile come una scogliera di fronte alla tempesta.

Strinse i denti, tenne duro e per un attimo chiuse gli occhi.

Non appena li riaprì non sentì più la pressione dei cosacchi, si accorse che stavano andando via.

Non ci poté credere, ma ce l’aveva fatta.

Adesso avrebbe proseguito la marcia, e al diavolo Napulione!

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Discussioni

  1. Come Cristiana sono completamente digiuna in materia, ma i tuoi racconti mi insegnano sempre qualcosa di cui non ero a conoscenza. Il tuo modo di narrare, inoltre, a mio parere ha acquistato un valore aggiunto: lasci al lettore uno scorcio di umanità e questo mi piace.

  2. Ciao Kenji, vedo i commenti tecnici dei colleghi maschietti e capisco che fra voi vi intendete. Io, invece, per quel poco che voglio intendere, amo ancora una volta il colore rosso in contrasto con il bianco. Crudezza e poesia.

    1. Grazie Cristiana! Ho pensato al perché mi piace scrivere racconti invernali e mi sono ricordato il motivo. Mo’ ti racconto: mio padre sa lo svedese e quando ero bambino mi leggeva le fiabe in questa lingua e mi mostrava le immagini del libro – da un lato erano fotografie di paesaggi di campagna innevata del paese scandinavo, dall’altra riproduzioni delle stesse foto ma con la tecnica pittorica e una chiave fantasy. Che so, se il pittore si faceva suggerire dal soggetto che ci fosse un troll o una fata, lo disegnava… Da ciò la mia passione per i paesaggi invernali. Tenendo anche conto che la mia scrittura tende a focalizzarsi sulla guerra la mia comfort zone è raccontare di guerra in teatri in cui predomina la neve.

    2. Ti dico la verità: conosco un autore romano che ha diciassette giorni in meno di me (io sono il 13 novembre 1990, lui il 30 novembre) che è bravo, più bravo di me (e io sono invidioso) ha una carriera fulminante ma io non amo pensare male di lui. Be’, a parte che ha già la sua pagina di Wikipedia una volta su Facebook ha scritto che i giochi che faceva da bambino gli hanno fornito le idee per i racconti che scrive.

    3. Lo conosco, ma non è proprio il mio genere anche se posso definirmi quasi onnivora. In ogni caso, niente invidia. Ognuno ha capacità che deve sfruttare al meglio. Guardare al lavoro degli altri, con il giusto senso critico, non può fare altro che migliorarci, sempre!

  3. Non ricordavo che Napoleone avesse portato in Russia anche “italiani”. Furono in effetti migliaia i cittadini degli stati preunitari che combatterono durante quella campagna.

    Mi accodo a quanto già scritto da Roberto. Racconti in maniera distaccata e i tuoi protagonisti hanno sempre un lato umano da mostrare.
    I tuoi lavori sono sempre apprezzabili e interessanti.
    Dovresti forse usare dei sinonimi per evitare di ripetere spesso gli stessi termini.

    La Russia è spesso il luogo in cui ambienti le tue storie. C’è un perché?

    1. Ciao! sì, hai ragione, dovrei usare più sinonimi, me l’ha detto un autore piemontese con cui sono in contatto.
      Rispondendo alla tua domanda sul perché ambiento molte mie storie in Russia è perché mi piace, soprattutto amo la seconda guerra mondiale combattutasi all’est, sai: operazione Barbarossa, Stalingrado… E’ un gusto personale.
      Grazie del tuo commento.

  4. Non sono un esperto, ma vorrei comunque formulare qualche considerazione.

    Innanzitutto la bella esclamazione iniziale del sergente che mi ha ingannato portandomi verso la Legion Etrangere, corpo che fa letteralmente sognare qualsiasi lettore. Poi ho verificato che si trattava di un ricordo di film che hanno riscosso un certo successo, in cui appunto si citava il motto marcia o muori.
    Poi il gran merito di averci detto che nella campagna napoleonica in Russia c’erano degli italiani. E quanti, aggiungo io!

    Mi piacciono molto le tue descrizioni perché nel pieno della battaglia c’è sempre l’uomo con i suoi pensieri a volte spiazzanti.

    E, mi ripeto, in particolare adoro il fatto di come tu sia un cronista distaccato: eviti di entrare nel merito, ragione o torto, giusto e sbagliato.
    Motivo per cui ti leggo volentieri, lo confesso tout court.

    Interessante il dettaglio “Charleville” che mi sono andato a scovare, come immagino faranno in molti.

    Bella lettura.