
Il Fumettista
Dylan Martin Nathan si svegliò una mattina, si stropicciò gli occhi e andò in cucina a prepararsi il caffè. Stiracchiandosi lo bevve e decise di vestirsi subito, era atteso nella sua agenzia privata di investigazioni. Aveva già dei casi interessanti, doveva impegnarsi per portarli a un felice compimento.
Così indossò camicia, pantaloni, cravatta, giacca, calzò le scarpe e stava già per uscire quando si ricordò di una cosa.
Era meglio che si lavasse la faccia, così si sarebbe svegliato del tutto.
Nell’”Agenzia Indagini su Incubo, Impossibile e Futuro” aveva una certa responsabilità, non poteva addormentarsi sul posto di lavoro, né tanto meno apparire trasandato.
Andò in bagno, si lavò la faccia e trasalì al guardarsi allo specchio.
Era diventato un fumetto umoristico.
Preso dal panico uscì di casa gridando e vide le altre persone. Erano tutte dei fumetti umoristici, nessuno più era realistico. Fattezze strane, calcate fino allo stereotipo, i cani sembravano Pluto.
Ma Dylan Martin Nathan era Dylan Martin Nathan, investigatore dell’AIIF, e non poteva mica arrendersi per così poco.
Andò alla macchina e partì a manetta.
In ufficio tutti erano sconvolti da quel fenomeno inspiegabile, la TV parlava affranta che tutti erano diventati degli individui stilizzati e poco ci mancava che dai colori diventassero in bianco e nero.
«Sentite, ragazzi, siamo gli investigatori dell’AIIF, quindi indaghiamo» disse Dylan Martin Nathan.
Si misero sotto, ma non sembrava esserci soluzione. La polizia stentava a mantenere l’ordine, il caos e la guerra civile erano dietro l’angolo.
A Dylan Martin Nathan venne in mente un’idea. Prese la giacca e uscì trafelato.
Nella cattedrale di san Tiziano Alfredo Antonio la folla faceva la fila per confessarsi, temevano tutti la fine del mondo.
Dylan Martin Nathan trovò il suo amico, don Groucho Java Sigmund, e gli chiese: «Padre, mi dica, c’entra per caso il Fumettista?».
«Sì, figlio mio. Se siamo tutti diventati dei fumetti umoristici, lo si deve a lui».
«Allora l’indagine è conclusa» ammiccò. Poi si guardò intorno, desolato. «Ma deve pur esserci una soluzione!».
«Sì, pregare».
«E allora preghiamo». Dylan Martin Nathan si genuflesse, unì le mani e pregò.
«Dylan Martin Nathan…».
«Chi mi chiama?». Adesso tutto si era pietrificato, l’unico che si muoveva era lui, e a parlare anche, se non quell’individuo.
«Sono io, il Fumettista».
«Che vuoi da me? Io non voglio essere un fumetto umoristico».
«Ho scelto te perché mi piace disegnarti, sei sempre determinato, astuto e tenace. Ti dico la soluzione».
«E sarebbe?».
«Un sacrificio».
«Il quale… sarebbe?».
«Rinunciate al colore e tornerete tutti un fumetto realistico».
«Ma lo chiedi a me! Chiedi proprio a me questa responsabilità! Non credo di…».
«Sì, lo chiedo a te. E il motivo te l’ho detto, non amo ripetermi».
Dylan Martin Nathan sudò. Era una scelta ardua. Era peggio essere un fumetto umoristico o essere in bianco e nero?
Ripensò alle sue avventure, a quando aveva sventato degli attentati e arrestato i congiurati di un caso perché erano tutti fumetti realistici. In fondo, il colore era inutile, ininfluente, e senza era tutto più affascinante.
«Okay, ho deciso».
«Cosa?».
«Rinuncio al colore… rinunciamo al colore».
«Molto bene. Strappatelo di dosso e gettalo via, poi tornerete tutti a essere dei fumetti realistici».
«Bene». Dylan Martin Nathan si strappò i colori, li gettò via e sorrise.
All’improvviso erano tutti tornati a essere dei fumetti realistici ma in bianco e nero e la gente si chiese il perché.
Il Fumettista disse: «È tutto grazie a lui, a Dylan Martin Nathan».
«Ma no, non è vero» si schernì, un poco arrossì ma furono solo delle lineette nere.
«Ti vogliamo capo, re di tutto il mondo!» acclamò la gente.
«No, invece» li bloccò Dylan Martin Nathan. «No. Voglio solo continuare a fare l’investigatore privato per l’AIIF, quindi… no, grazie».
Ma insistettero.
Dylan Martin Nathan si rivolse al Fumettista: «Puoi farglielo dimenticare, per favore?».
«Sì, perché no».
Tutti dimenticarono quella storia e Dylan Martin Nathan tornò alla sua vita di sempre. E si lavò la faccia.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Sci-Fi
ciao kenji, so che sarò impopolare ma secondo me il racconto ha molti problemi di fondo.
prima di tutto è interamente raccontato, ci sono poche descrizioni, ciò non mi ha aiutato ad immergermi nel contesto, anche se paradossale. il personaggio non ha alcuna caratterizzazione quindi non riesco ad entrare in empatia con lui.
il problema viene esposto in modo poco chiaro: “Erano tutte dei fumetti umoristici, nessuno più era realistico. Fattezze strane, calcate fino allo stereotipo, i cani sembravano Pluto.” cosa c’é di diverso rispetto a prima nel concreto? e perché se n’é accordo solo quando si è guardato allo specchio?
C’é l’intento di esporre un mistero che i protagonisti (a mala pena accennati e caratterizzati) cercano di risolvere:
“Si misero sotto, ma non sembrava esserci soluzione” anche qui è troppo generico, che opinioni hanno? quali tentativi fanno? come arriva lui alla soluzione? come sanno che esiste un fumettista? e cosa ha fatto questo nel concreto? hanno cambiato forma solo a causa dei colori o c’é altro e quali conseguenze sono generate dal problema? Perché loro se ne preoccupano così tanto?
L’ultima parte in cui il protagonista viene celebrato mi sembra molto campata in aria: come fanno a sapere che con la scomparsa dei colori c’entra lui? dato che NON ha riportato tutto com’era prima ma ha deciso da solo un cambiamento globale, perché dovrebbero ringraziarlo? cosa si è risolto? perché non potevano rimanere dei personaggi umoristici?
Insomma, anche se è una storia umoristica, anzi a maggior ragione se lo è, bisogna curare il contesto e soprattutto i personaggi.
un’altra cosa, visto che questo racconto non ha niente di fantascientifico: perché è nella categoria sci-fi?
Ciao! Non temere di essere impopolare, ogni critica è ben accetta (anche se a dire il vero si dovrebbero fare via messaggio privato, e non con i commenti, ma non ti preoccupare). Che dire? Cerco di difendermi: il librick l’ho scritto nel 2020 e pubblicato nel 2021, tre anni fa, nel frattempo la mia scrittura è cambiata (oserei dire migliorata, ma può darsi che mi sbaglio) e poi era pensato per essere veramente breve, per questo non ho sviscerato tutto. Infine ho messo genere sci-fi perché secondo me è fantascientifico, ma anche qui posso sbagliarmi… però non importa: questo è un librick, non è un bestseller. Detto questo ti ringrazio per le note!
prg. l’ho visto che era vecchio ma fare un po’ di revisione su vecchi errori può essere utile.
Ciao Kenji, in questo racconto mi hai trascinata con te dall’inizio alla fine. Secondo me, uno dei migliori che hai proposto qui su Edizioni Open! 😀
Ciao Micol! Sono contento che tu lo abbia molto apprezzato. Sì, in genere quando mi lascio andare a dei bei voli pindarici ne invento di ogni. Grazie!
“«Ma no, non è vero» si schernì, un poco arrossì ma furono solo delle lineette nere.”
😂
“Era diventato un fumetto umoristico.”
😂 mi piacerebbe averne fra le mani una copia!
Bravo Kenji un pezzo molto divertente, ci hai messo tutti i personaggi, le spalle e cretaori, da fan della Bonelli non posso che apprezzare. Divertente il fatto che i “colori”, almeno da noi, siano appannaggio dei fumetti umoristici.
Bella idea, mi ha divertito.
Grazie mille, Alessandro!
“Dylan Martin Nathan”
Tutta la bonelli in in solo personaggio 🙂
Eh, già, l’ho fatto apposta!