Il giardino del razzismo

Nel grande giardino di Roverwood, un parco recintato dove tutti i cani potevano correre liberi, vivevano insieme cani di razze diverse. Fido, un piccolo Bichon Frisé dalla pelliccia morbida e bianca come la neve, noto per la sua gentilezza e timidezza. Accanto a lui, Bella, una dolce Labrador Retriever dal carattere giocoso, e Max, un affabile Golden Retriever sempre pronto a condividere una palla o un bastone.

Tuttavia, non tutti i cani erano così socievoli: Rex, un Dobermann dal fisico imponente e lo sguardo tagliente, aveva formato un gruppo con altri cani dal carattere più aggressivo. Al suo fianco c’erano Spike, un Pitbull noto per la sua forza e la sua natura litigiosa, e Shadow, un Rottweiler che non parlava molto ma si faceva rispettare per la sua presenza minacciosa.

Negli ultimi tempi, l’atmosfera nel parco era diventata sempre più tesa. I cani più piccoli e pacifici cercavano di evitare gli scontri con Rex e il suo gruppo. Non per paura diretta, ma per una semplice questione di sopravvivenza: evitare il conflitto era diventato una strategia.

Un giorno, però, Rex si avvicinò a Fido, seguito da Spike e Shadow. “Allora” disse con una voce che trasudava minaccia, “ho notato che tu e i tuoi amici ci evitate sempre.”

Fido abbassò lo sguardo, cercando di nascondere il tremolio nelle zampe. “Non è così” balbettò, “è solo che non vogliamo disturbarvi.”

“Disturbarci?” rise Spike, mostrando i denti. “Ci stai dicendo che hai paura di noi?”

“Non è paura” intervenne Bella, cercando di proteggere Fido. “È solo che preferiamo stare tranquilli, tutto qui.”

Rex annusò l’aria, come se stesse valutando una minaccia invisibile. “Sento l’odore del razzismo” disse lentamente. “State dicendo che ci evitate perché siamo di razze più forti e dominanti?”

Bella scosse la testa incredula. “No, non è assolutamente questo. Noi… noi siamo solo diversi, tutto qui.”

“Ah, diversi, eh?” Rex abbaio, suscitando un lieve tremito in Fido. “Quindi ci giudichi per la nostra razza? Ci tratti come pericolosi solo perché siamo fatti così?”

Poi urlò digrignando i denti: “Questo è razzismo!”

La voce di Rex si diffuse per tutto il parco, e in breve si radunò una folla di cani di tutte le razze. Tra loro c’erano Bulldog, Schnauzer, Beagle e addirittura qualche Cocker Spaniel, che si unì al gruppo per ascoltare quello che stava succedendo.

“Questi cani” gridò Rex, indicando con la zampa Fido, Bella e Max, “ci discriminano perché siamo forti! Ma siamo tutti uguali! Non è giusto che ci evitino come se fossimo dei mostri. Dobbiamo organizzarci, amici miei! Non possiamo più accettare questa divisione tra razze aggressive e innocue. Non esistono razze cattive o buone. Esistono solo cani!”

La folla cominciò a mormorare, alcuni cani annuivano, mentre altri guardavano con perplessità. Era chiaro che molti non capivano cosa stesse realmente succedendo, ma l’idea di una protesta contro l’ingiustizia li aveva toccati.

In breve tempo, si formò un corteo.

Cani di tutte le razze e dimensioni cominciarono a marciare per il parco, abbaiando slogan come “Tutti i cani sono uguali!” e “Basta razzismo tra razze!”. Persino cani che non erano mai stati particolarmente aggressivi, come gli Husky e i Boxer, si unirono al movimento, affascinati dall’idea di un’unità tra tutti i cani, indipendentemente dalla razza.

Fido, Bella e Max osservavano il corteo con sgomento. Loro non avevano mai voluto creare divisioni, né tantomeno offendere qualcuno. Si erano limitati a proteggersi, ma ora venivano paradossalmente accusati di aver fomentato l’odio.

Il giorno seguente, il Consiglio del Giardino si riunì; Consiglio composto da cani anziani e rispettati, che rappresentavano tutte le razze. Dopo aver ascoltato le accuse mosse da Rex e i suoi sostenitori, decisero che dovevano prendere una posizione chiara.

“Non possiamo più tollerare la discriminazione” annunciò Bruno, un vecchio Pastore Tedesco, capo del Consiglio. “Nel nostro giardino non ci sono razze migliori o peggiori. Tutti i cani sono uguali. Chi semina divisione sarà punito.”

Bella cercò di parlare. “Ma noi non abbiamo mai detto che alcune razze siano migliori di altre. Abbiamo solo cercato di evitare conflitti.”

“Evitate perché li consideravate pericolosi,” rispose Bruno. “E questo è razzismo.”

Fido e i suoi amici vennero condannati. La punizione fu dura: sarebbero stati esiliati in un canile fuori dal parco, lontano dal resto della comunità.

Quando arrivarono al canile, la situazione era ancora peggiore di quanto temessero. I cani lì rinchiusi, si consideravano vittime di pregiudizi, trattati con disprezzo.

E ogni giorno, Fido, Bella e Max venivano umiliati, costretti a eseguire ordini insensati e derisi per la loro “arroganza”.

“Vedete,” diceva Rex, che ora controllava il canile insieme ai suoi seguaci, “questo è ciò che succede a chi semina divisione. Ora siete voi a essere evitati e trattati come inferiori.”

Le giornate si susseguivano lente e piene di sofferenza. Fido, Bella e Max non riuscivano a capire come la situazione fosse degenerata così rapidamente. Loro, che avevano sempre cercato solo la pace, ora erano diventati simbolo di odio.

Ma non tutti i cani del parco erano d’accordo con la decisione del Consiglio. Alcuni, come Daisy, una Cocker Spaniel curiosa, e Rocky, un vecchio Beagle, cominciarono a porsi delle domande. Forse la situazione era sfuggita di mano. Forse un’ideologia malsana aveva finito per soffocare una verità ineluttabile.

Un giorno, Daisy e Rocky si avvicinarono al canile. “Questo non è giusto,” disse Daisy, guardando Fido con tristezza. “Non avevate torto a essere prudenti. La verità è che, anche se siamo tutti uguali come cani, alcuni comportamenti sono più pericolosi di altri. Dovremmo avere il diritto di proteggere noi stessi senza essere accusati di razzismo.”

Rocky annuì. “Sì, siamo tutti cani, ma ignorare le differenze nei comportamenti è insensato. La vera uguaglianza non significa trattare tutti allo stesso modo, ma essere giusti verso tutti.”

Con il sostegno di Daisy, Rocky e altri cani che iniziarono a capire l’errore commesso, Fido, Bella e Max vennero finalmente liberati. Tuttavia, il parco di Roverwood non fu mai più lo stesso. L’equilibrio tra la paura del conflitto e il desiderio di uguaglianza aveva lasciato una ferita profonda, insegnando a tutti una dura lezione: l’uguaglianza non significa ignorare le differenze, ma imparare a convivere con esse in modo rispettoso e consapevole.

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