
IL MAESTRO DI VIOLONCELLO
La mia amica Anna era un attraente giovane donna, ma sia per pigrizia sia perché si sentiva uno spirito libero, non si era ancora decisa a instaurare una relazione seria.
Quando a volte le toccavo questo tasto si indispettiva ripetendomi:
«Insomma, hai finito di rompere?»
Poi arrossendo dalla rabbia aggiungeva:
«Lo sai che non mi sento ancora pronta per mettere la testa a posto e poi non voglio che nessuno mi appiccichi addosso un’etichetta con scritto moglie, mamma o casalinga».
Lei era sempre stata attratta da uomini particolari, direi da quei soggetti che, se non avessero avuto qualcosa in mezzo alle gambe sarebbero stati la sua esatta foto coppia.
Aveva frequentato un pittore, uno stilista e una volta si era persino invaghita di un clown che faceva parte di un circo di passaggio.
A volte Anna partiva per lunghi viaggi ma quando rincasava non portava anelli al dito ma al polso aveva uno di quegli stupidi braccialetti dei desideri che non si possono togliere finché non si rompono da soli e quando questo succedeva, lei non si ricordava nemmeno più chi lo avesse regalato e neppure le false promesse suggellate.
Alla fine, la sua era una sorta di ricerca perpetua, ma dentro di sé sapeva che avrebbe dovuto trovare qualcuno di posato, qualcuno di speciale che fosse stato in grado di tenere a terra quella mongolfiera di sogni che aveva al posto della testa.
Anna, al tempo, non voleva saperne d’atterrare e anche se spesso, dopo una di quelle frivole relazioni, rimaneva con l’amaro in bocca, continuava a volare in cerca di un’altra mosca bianca.
Con me si confidava spesso, anche perché malgrado io ero completamente tassellato al terreno in fondo la capivo benissimo e tentavo di consigliarla per poi nuovamente sentirmi dire:
«Ma la smetti di rompere!»
E poi sempre più stizzita, quasi mordendosi la lingua dalla rabbia, continuava:
«Lo sai che non finirò mai insieme a uno di quegli uomini qualunque, uno di quegli uomini che quando è finita la giornata lavorativa tornano a casa e tu devi esserci prima, durante e dopo; ma se c’è la partita in televisione è meglio se non ci sei proprio».
Lei era fatta così e in quella finta comfort zone ci si sarebbe infilata solo quando avrebbe trovato quello giusto, quello che non l’avrebbe rinchiusa in una gabbia dorata ma piuttosto adagiata in un nido di paglia dal quale avrebbe potuto ancora prendere il volo.
Un giorno mi raccontò nel dettaglio una delle sue assurde avventure amorose e non capisco perché tra le tante scelse proprio quella.
Forse per l’attinenza del soggetto alla mia sfera musicale o forse per stuzzicarmi o eccitarmi mettendomi alla prova, ma credo comunque sempre nella consapevolezza che saremmo solo rimasti buoni amici.
Al tempo nella banda paesana io suonavo il saxofono mentre Anna era bravissima con l’ottavino, ma in campo musicale era veramente onnivora.
Infatti, ascoltava variegati generi musicali e strane musicassette che acquistava durante i suoi viaggi.
Iniziò il racconto della sua storia d’amore, aveva ancora il coraggio di chiamarle così, dicendomi che la passione per la musica gli era stata ereditata dalla nonna paterna che sapeva suonare il violoncello.
Questa nonna, non l’aveva mai conosciuta, ma da lei non aveva ereditato solo la passione per la musica ma anche il suo nome.
Anna, grazie ai racconti di suo padre, si sentiva così legata alla defunta nonna che gli pareva di conoscerla da sempre e per assaporarne la spiritica presenza, da una gita scolastica a Praga si portò a casa un violoncello.
Lei sapeva che lo strumento della nonna era gelosamente custodito dal fratello di suo padre, che essendo l’ultimo della famiglia lo aveva ereditato, ma Anna era determinata a farselo suo.
Prendendola larga, ma proseguendo il suo racconto, mi disse che un giorno con l’intento di recuperare lo strumento della nonna, caricò il suo violoncello in macchina e guidò fino a Roma dove vivevano gli zii.
Al suo ritorno, quasi con le lacrime agli occhi, mi disse che lo zio con mille scuse non accettò lo scambio; forse anche perché vedendola così scapestrata, ne temeva la sorte.
Fu così che Anna fece ritorno a casa senza nemmeno il suo violoncello; per mera ripicca mi disse che lo regalò all’altro zio.
Per colmare quel dispiacere e la mancanza di un tangibile ricordo della nonna, si recò da un liutaio e sborsando un sacco di soldi si fece costruire un bellissimo violoncello.
Io come sempre la stavo ad ascoltare perché in qualche modo, con le sue pazzie, riusciva sempre a stregare la mia attenzione e come Virgilio con Dante, dopo avermi fatto smarrire, mi teneva per mano trascinandomi verso gli inferi della sua vita.
Prosegui dicendomi che si era messa in testa di prendere lezioni di Violoncello, anche perché era un peccato disporre di uno strumento così bello e lasciarlo chiuso nella custodia.
Dopo un’attenta ricerca mi disse che la scelta ricadde su un certo Julian Ivanov, un conosciuto concertista italo russo che in settimana viveva con gli anziani genitori in un paese non troppo lontano dal nostro.
Mentre il mio cervello faceva due conti gli dissi:
«Ma stai dicendo veramente?»
Secondo i miei calcoli, al tempo di questa sua avventura amorosa, Julian avrà avuto circa ventitré anni e lei aveva di certo superato i trenta ma Anna era fatta così, non si basava sulla matematica ma viveva delle sue pulsioni endogene.
Ivanov era un bravo concertista ma era anche noto per essere uno molto schivo soprattutto con le donne locali che lo bramavano sia per la sua bellezza che misteriosa e celata dissolutezza.
Aveva lunghi capelli di un biondo ramato, un bel fisico e quando non era in concerto indossava indumenti di pelle che erano più propri di un metallaro che di un musicista classico.
Al primo contatto telefonico Ivanov le disse di non aver tempo da perdere con lei ma Anna ci mise poco a fargli cambiare idea.
Gli parlò del suo nuovo violoncello di liuteria e con la scusa di mostrarglielo chiedendogli solo il piacere di una accordatura riuscì a incuriosirlo a tal punto da strappargli un appuntamento.
Julian accettò di riceverla perché ansioso di vedere e provare il prezioso violoncello del famoso liutaio Pietro della Curtis; oltremodo era anche rimasto colpito dalla voce di Anna che al telefono, pizzicargli le giuste corde, era riuscita a fargli capire che questa volta non si trattava dell’ennesima stupida ragazzina.
Fu così che quella meteora incendiata attraversò lo spazio che separa i nostri paesi e si precipitò davanti alla casa di Ivanov e gli suonò il campanello.
Quando Julian apri la porta venne letteralmente folgorato dalla luce che Anna emetteva in perfetto equilibrio sui tacchi dodici.
Un sorriso, che si fece largo tra le carnose labbra finemente truccate e luminosi occhi celesti risaltati da un filo di rimmel e incastonati tra le lentiggini di un viso perfetto, trasportarono Ivanov in un’altra dimensione.
Lei gli allungò la mano e tra il bianchissimo smalto dei suoi denti con una voce talmente sensuale e calda che avrebbe fatto disciogliere un iceberg disse:
«Piacere Anna!»
La sua voce aveva il potere d’avvolgerti e catapultarti in un lontano passato.
Sentendola parlare, in un attimo ti ritrovavi sdraiato in un letto succhiandoti il dito pollice e nel sicuro di quella tana, lei si infilava sotto le coperte raccontandoti la più bella fiaba del mondo.
«Ivanov; no scusami Julian molto piacere», gli rispose incespicandosi con la lingua tra i denti e rimanendo appeso come uno stoccafisso sull’uscio della porta d’ingresso.
Fu Anna stessa a sbloccarlo dicendogli con il suo smagliante sorriso:
«Posso entrare?»
Ivanov ancora, in pieno stato confusionale, le fece strada e dopo aver attraversato un grande salotto e un piccolo disimpegno entrarono nella camera studio e li Julian in modo totalmente inaspettato chiuse la porta alle sue spalle con due mandate di chiave.
Ad Anna quel gesto non passò inosservato e in quel momento si senti come una preda finita in trappola; una trappola dove lei stessa aveva deciso di infilarcisi.
Julian era solito chiudere la porta a chiave per impedire l’inatteso ingresso degli anziani genitori; utile pratica ad assicurare la sua privacy quando d’innanzi agli occhi non aveva uno spartito musicale e tra le dita nemmeno l’archetto del violoncello.
Inconsciamente Ivanov con quella seconda mandata alla porta della sua camera non volle tenere fuori solo suoi anziani genitori ma avrebbe voluto tener dentro Anna per sempre.
Eccitata da quel gesto costrittivo, Anna sapientemente si piegò per aprire la custodia del suo violoncello che aveva adagiato sul pavimento lasciando che Julian, tra la scollatura del succinto vestitino estivo, potesse scorgere il suo marmoreo seno; poi con un finto e generoso sorriso d’imbarazzo, ricomponendosi la scollatura cercò i fuggevoli occhi di Ivanov e con un oops si prese la colpa del suo rossore.
Julian quasi paralizzato davanti a tanta bellezza prese dalle le sue mani il Violoncello, ma senza che prima di riceverlo Anna non gli avesse accarezzato il dorso della mano invocandogli delicatezza.
Sapeva benissimo che il violoncello era in buonissime mani ma con quel gesto Anna non gli stava consegnando solo il suo strumento ma anche sé stessa.
In quel caldo pomeriggio le finestre chiuse non trattennero le steccate tra gli ansimi e il dolce suono del cello.
Avete messo Mi Piace7 apprezzamentiPubblicato in Erotico
Ti dirò che nel complesso mi è piaciuto, anche se ho trovato la lettura poco fluida. Ci son dei rimbalzi descrittivi un po’ (almeno, personalmente) confusionari a livello di quando sono appunto piazzati, cosa che rende dura andare avanti scorrevolmente. Tra l’altro è l’amico a parlare inizialmente, mentre poi quasi da narratore onniscente racconta il sipario con Ivanov, un cambio un po’ strano. O almeno io lo percepisco tale. Punto forte sicuramente questo velato erotismo nonché l’imbarazzo di lui, inoltre mi è piaciuta l’atmosfera legata agli strumenti musicali e alle parole tecniche inerenti. Bello!
-…mentre poi quasi da narratore onnisciente racconta il sipario con Ivanov-
Sei acuto Loris…un giorno magari ti racconterò la vera storia 🙂
Mi piace. dovresti andare avanti.
E bravo Giulio perché hai saputo mettere quel pizzico di agrodolce (volevo dire frizzicorino, ma non so se si può 🙂) che non appesantisce e non stanca, anzi, tiene allertati i sensi fino alla fine. Lei è così interessante, vista con i tuoi occhi, da sembrare vera. Certamente se questo era l’intento, ci sei ben riuscito. Bella la storia e bella la tua maniera ‘leggera’ di raccontarla. Personalmente, amo i finali aperti.
Grazie Cristiana. Le 1500 mi han fermato la fantasia ma come tu gai detto meglio lasciare il finale aperto che tanto la fantasia di certi momenti penso che qui non manchi a nessuno. Grazie ancora
C’è da una parte la narrazione che sembra quasi delicata, agrodolce come i racconti passati delle nonne, poi c’è il lato serrato dei protagonisti, e infine il velo sensuale, davvero un bel mixage di ingredienti 😀
Grazie Marta. Chiaramente la limitazione a 1500 no mi ha permesso di dettagliare molto e nel finale ho preferito troncare lasciando le scene alla fantasia di chi legge.
Più che erotico, lo definirei sensuale, come hai ben indicato nei tag. Comunque, è un racconto molto gradevole, che scorre bene e si lascia leggere con facilità fino alla fine.
Il personaggio di Anna è stato tracciato ottimamente, narrando tutto ciò che le grava attorno, il suo modo di fare e di essere e tutti i suoi amori passati.
Bella la scena finale in cui entra in casa di Julian, molto evocativa.
Grazie Giuseppe per il tuo commento
Ha del potenziale, ma…
Si poteva essere fatto meglio ma dovendo seguire un traccia di una storia reale non ho potuto fantasticare troppo 😀
Mi sono piaciute molto in particolare le metafore che hai piazzato qua e là. Bello!
“e quando questo succedeva, lei non si ricordava nemmeno più chi lo avesse regalato e neppure le false promesse suggellate”
Bello👏
“Alla fine, la sua era una sorta di ricerca perpetua, ma dentro di sé sapeva che avrebbe dovuto trovare qualcuno di posato, qualcuno di speciale che fosse stato in grado di tenere a terra quella mongolfiera di sogni che aveva al posto della testa”
👏
Bravissimo Giulio, davvero. E’ un raro dono saper narrare la psicologia di certe donne come hai fatto tu in questo racconto. Sei riuscito a cogliere dettagli e sfumature che, ai più, spesso e volentieri sfuggono.
Dea sgonfia la tua mongolfiera 😀 Grazie cara