
Il Mare e lo Zenit (nelle mani di Sara).
Nelle ore più calde i gabbiani restavano gli unici guardiani del mare.
Il profilo delle piattaforme appariva come un puntino bianco nello spazio azzurro, lo potevi coprire col dito ponendolo sulla visuale di modo che l’azzurro restava solo azzurro.
Anche gli occhi di Sara erano azzurri e li conoscevo così bene da capire quando tendevano al vitreo anziché al cristallino. Di solito voleva dire che un’idea era arrivata a tormentarla.
Condividevamo lo spazio vitale da oltre cinquant’anni e di lei capivo ogni movimento, da quello del respiro a quello delle ciglia che ancora allungava usando il mascara.
Sara, era la mia Sara.
Così restavamo lei, io e la spiaggia, con il sole che batteva lo Zenit.
Quando la spiaggia si ripopolava tornavamo verso casa e Sara si dava da fare col cesto che Lucio, il pescatore di cozze, ci lasciava sotto al pergolato. Quello era il suo modo di dire a Sara che la teneva nel cuore perché gli aveva fatto da madre quando era piccolo, nonostante una madre ce l’avesse avuta, ma ad accoglierlo nella sua cucina e a disinfettargli le ginocchia rovinate dalle cadute di bicicletta era sempre stata Sara. Era stata lei a convincerlo ad andare per mare, dicendo che era un buon modo per trovare di che campare.
I mitili diventavano lucidi, fino a brillare, sotto il getto dell’acqua corrente, mentre il profumo di aglio mischiato al prezzemolo riempiva l’aria. Tutto si arricchiva tra le mani di Sara e prendeva il significato delle cose assolute.
Mi accorsi che qualcosa la turbava dal colore dei suoi occhi nell’ora dello Zenit.
«Sara, che pensi?»
Azzardai quella domanda sapendo di camminare su un terreno minato, quando stava a quel modo sollevare domande la faceva chiudere a riccio.
Mosse di poco lo sguardo, schivando il mio, alzò il mento e rispose con un sospiro. Alle nostre spalle la voce di Emy ci colse di sorpresa.
«ehi ma non lo sentite battere il sole, voi due?»
Teneva in mano una bottiglia di acqua fresca e dei bicchieri. Emy era la figlia del pescatore di cozze e aveva più di trent’anni, gestiva il chiosco bar sulla spiaggia.
«Il sole a picco non fa bene a una certa età, che siete allergici all’ombra?»
Conosceva le nostre abitudini e pronunciò l’ultima frase indicando il chiosco a una ventina di metri.
«Oggi insalata di calamari!» disse.
Sara rispose che aveva da pulire le cozze.
«Quelle del mio vecchio?»
«Non è vecchio» la corresse Sara «e poi, a me, i calamari non piacciono».
Emy le strizzó l’occhio sorridendo. Poi guardò me.
C’era ben poco da fare. Sara aveva sempre avuto un’accetta nella lingua quando si trattava di difendere le cose o le persone che amava. Per lei che non aveva potuto partorire, Lucio, il padre di Emy era come un figlio, nonostante la madre ce l’avesse ancora.
Un giorno puntò i piedi nella sabbia rovente e disse: «È come un calamaro sua madre». «Da piccolo lo ignorava, da adulto lo perseguita con le sue lamentele, la paura degli incubi e le richieste di soldi».
Disdegnavo che Lucio inondasse il cuore di Sara di preoccupazioni.
«Lucio non dovrebbe venire a sfogare i suoi malumori da te», proseguii.
«Lucio è stanco, anche di andare per mare. È cambiato il mare, non è più quello di una volta. I fondali sono deserti e pieni di cadaveri». Sembrava non ascoltarmi.
Sapevo a che si riferiva Sara. Ai corpi delle centinaia di migranti che provenivano dalla Libia, ancorati a gommoni laceri come le loro ossa, sprofondavano nel Mediterraneo o si abbandonavano alle onde per scelta quando una nave della Marina militare minacciava di riportarli indietro.
Sara riprese la conversazione.
«Ti ricordi di quella volta che Lucio venne a bussare alla nostra porta e piangeva? Lei lo aveva lasciato fuori di casa sotto al temporale. Aveva sei anni. Lucio ha sempre avuto paura dei temporali».
«Cosa c’entrano i calamari, Sara?».
Sara mi guardò di traverso, poi rispose che i calamari erano cannibali.
«Lei ha messo al mondo un figlio per divorarselo», sentenziò.
***
Al chiosco di Emy mangiammo insalata di farro. Emy aveva gli stessi lineamenti del padre e teneva a Sara. «Oggi mio padre non ti lascerà il cesto di cozze sotto al pergolato» disse, «quindi mangia con calma, Sara».
Poi, continuò. «Stanotte non è uscito in mare. La nonna ieri sera lo ha costretto a stare con lei per via dei suoi incubi notturni. Per qualche settimana la barca rimarrà al molo, nonna ha detto che in un paio di settimane la pillola che le ha prescritto il medico dovrebbe funzionare. Gli incubi finiranno, vuole che papà resti con lei».
Il viso di Sara cambiò.
«Lucio è stanco più del solito in questo periodo, ha il viso gonfio e le occhiaie che gli scavano buchi», disse Sara.
Emy alzò le spalle e andò a seguire con lo sguardo il volo di un gabbiano rasente la tettoia del chiosco.
«Sono i rimpianti…» esclamò Emy «… lo sai anche te. Nonna ha fatto in modo che mia madre lo lasciasse, con me da tirare su e la barca da portare in mare ormai non sa più cosa sia il sonno».
Sara mise la forchetta dentro al piatto producendo un rumore di coccio rotto, poi si rivolse me, «Andiamo che ho bisogno di stendermi, fa troppo caldo».
Il resto del pomeriggio lo passammo io in veranda a estirpare le erbacce secche, Sara seduta sulla poltrona di cucina, senza mitili da pulire. Guardava fuori dalla vetrata, immobile nella sua posizione preferita, quella in cui di solito si addormentava per godersi il riposino, con le braccia piegate sul ventre e le gambe stese in avanti. Non dormì però e nemmeno mi rivolse la parola nei momenti in cui entravo dentro casa.
Alla sera, Sara era di nuovo lei. Canticchiava il ritornello di una vecchia canzone, mi chiese a che punto stava la crescita dei fagiolini nell’orto, preparò del tè freddo con foglie di ortica che triturava con cura da giorni, lo sorseggiai sotto al pergolato. Piegò il bucato stirandolo con le mani, poi indicò la luna che si era fatta piena nel cielo. Io sbadigliavo già da un pezzo, sentendomi la testa pesare come un masso. Mise il resto del tè in una bottiglia di vetro, appoggiandola sopra al tavolo, insieme al suo bicchiere. Mi fece cenno di coricarci.
Nel letto, girata su un fianco, disse: «Stanotte ci sarà la mareggiata, hai visto l’alone doppio della luna?»
Continuò a parlare, «Chissà cosa farà Lucio adesso». Non la sentii più. Vidi attraverso la fessura dell’anta chiusa a ponte, la luna sdoppiarsi.
Al mattino il cielo era scuro. Sara era già vestita. Nell’ora del caffè, alla tv dissero che a sei km dalle coste di Tripoli l’imbarcazione Astral con cento migranti era stata abbattuta dal nubifragio della notte.
Sara storse la bocca a quella notizia e si fece il segno della croce.
Un’ora più tardi eravamo diretti alla spiaggia.
Un capannello di gente era riversa sulla riva e a un centinaio di metri, la guardia costiera e una motovedetta dei carabinieri erano indaffarate attorno al molo. Poco più in là Emy tirava su col naso.
Sara e io le andammo incontro. Quando vide i nostri visi sembrò rasserenarsi.
«Si tratta di nonna…» disse.
«Lucio dov’è?» chiese subito Sara.
«Con i carabinieri. Un pescatore, stamattina all’alba ha trovato il corpo di nonna che galleggiava tra i rotori delle barche. Pare che sia uscita di notte, forse in preda ai suoi soliti incubi, dicono che è caduta in mare».
«E Lucio non si è accorto?»
«Ha dormito stanotte, come non gli capitava da tempo, ha detto così».
Sara si fece di nuovo il segno della croce, mentre sopra le nostre teste le nuvole si addensavano diventando dello stesso colore dei flutti e degli occhi di Sara che erano grigio piombo.
Lucio scese dalla motovedetta dei carabinieri, aveva la faccia bianca come un lenzuolo e le mascelle serrate. Tra la folla, intravide Sara che a piccoli passi gli era andata incontro.
Si guardarono a lungo, l’uno dinanzi all’altra immobili come due dune nel deserto. Lucio strizzò lo sguardo, nonostante non ci fossero riverberi del sole, poi l’abbracciò come un figlio abbraccia una madre.
«Vieni, Lucio che tra poco scoppia il temporale, tu hai paura dei temporali», disse Sara.
Quella notte il mare aveva sputato sulla riva, meduse, granchi e calamari.
Lucio le aveva messo un braccio sopra le spalle mentre camminavano sul bagnasciuga.
Li seguivo di pochi passi, potevo sentirne le voci.
«Il mare non è più lo stesso, vero Lucio?»
«No» rispose «non lo è».
«Andrai a pesca questa notte?»
Lucio guardò il mare.
«Dipenderà dall’alone della luna».
(un racconto di qualche tempo fa. Oggi è per Gino Strada/Emergency)
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Bettina, cio` che ho colto di questo tuo racconto è soprattutto la difficoltà di campare, di sopravvivere, per tanti e soprattutto per i profughi, per i pescatori, per la gente che cerca di barcamenarsi, per chi deve navigare a vista, senza navigare nell’ oro. Ho provato una certa emozione quando ho letto la dedica. Anch’io ho sentito il bisogno di fare altrettanto, poco tempo fa, come hai già visto, con l’episodio “Grazie Gino”.
Grazie Luisa per esserti fermata a questo racconto a cui tengo particolarmente.
Bel racconto, intenso e toccante. Mi è piaciuto molto lo stile di narrazione indiretto con un personaggio esterno che vive sulla propria pelle gli eventi narrati, enfatizzando personalità, introspezione e aiutando ad incrementare il senso di immersione. Davvero complimenti!
Ti ringrazio per la lettura e per il bel commento. È un racconto a cui tengo molto. Mi fa piacere che ti sia piaciuto.
Un racconto davvero intenso, decisamente ben scritto. Mi piace molto l’idea che sia narrato dal punto di vista del marito (credo) di Sara, un osservatore privilegiato della vicenda che accompagna il lettore nello svolgersi della trama e nei ricordi.
Ti ringrazio per la lettura e per il commento. Ci tenevo a che questo racconto arrivasse nella sua interezza.
“Sara aveva sempre avuto un’accetta nella lingua”
Mi piace questa espressione, rende molto bene l’idea!
Grazie!
Sono molte le sensazioni che si intrecciano in questo racconto.
Per mia esperienza, ritengo che lo spirito materno non sia connaturato al DNA (alla capacità biologica di essere madre), ma uno stato indotto dall’amore.
Bella l’emozione di questo mare, forte la denuncia: culla di vita e cimitero di speranze.
Grazie, la narrazione a volte dovrebbe servire anche a questo, a marcare l’attenzione su fatti che non appartengono solo alla fantasia, anzi nella realtà c’è di peggio e lo constatiamo tutti i giorni. Sono contenta che tu abbia colto e apprezzato. Grazie.
“Sara mi guardò di traverso, poi rispose che i calamari erano cannibali.«Lei ha messo al mondo un figlio per divorarselo», sentenziò.”
Questo passaggio mi è piaciuto
Alcune madri sono così.
“«Lucio è stanco, anche di andare per mare. È cambiato il mare, non è più quello di una volta. I fondali sono deserti e pieni di cadaveri». “
Questo passaggio mi è piaciuto
Ti ringrazio per averlo evidenziato.
Splendido racconto, un piccolo dramma che si consuma dentro un dramma umanitario gigantesco. Molto emozionante
Ti ringrazio. Mi fa molto piacere che sia arrivato così come l’ho immaginato.
Ho letto anche altri tuoi racconti, ma questo sembra avere una qualità di scrittura migliore: le frasi e le descrizioni sono coinvolgenti, scivolano con spontaneità. La dimensione che hai creato è migliore: una bolla di microcosmo che mi ha permesso d’immergermi
Un microcosmo che si tira dietro un macro/cosmo, purtroppo di costante attualità. Grazie D. per la lettura di questo e altri racconti.