
Il mercante
Sta tornando. Quando vede le luci in fondo alla pianura sa di essere quasi arrivato. Allora rallenta il passo e si accende un mezzo sigaro per riposarsi un poco prima della gran baraonda. Già se la immagina: siamo in periodo di festa e ci sarà mercato per tutta la notte. Non che gli dispiaccia, anzi, ma è vecchio e deve risparmiarsi. Lascia che il mulo, carico di sacchi e sporte, si sbandi qua e là a ingoiare qualche ciuffo d’erba. Fra un’ora al massimo potrà avere un po’ di tregua anche lui. Non prova pena per il mulo ma un senso di solidarietà e, insieme, il rimpianto che non sia un cavallo. A quest’ora nel cielo c’è ancora luce, ma anche così la brace del sigaro, vista da lontano, lampeggia ad ogni tirata come una vecchia stella rossa in giro per la campagna. Gli piace fumare all’aperto quel tabacco troppo secco che si consuma subito, quasi che anche il sigaro abbia voglia di concludere alla svelta e non pensarci più.
Quanto sia lunga, larga e profonda la terra che ha attraversato per sei mesi non lo sa. E non sa nemmeno se uno dei suoi lati, in un punto qualsiasi, tocchi il mare. Non ne ha mai sentito parlare, sebbene da qualche parte abbia comprato del pesce secco e, una volta, un monile fabbricato con un dente di squalo. In realtà di questa parte del mondo, nonostante abbia sempre vissuto qui da quando mia madre mi ci abbandonò tanti anni fa, conosce soltanto le strade che portano da un mercato all’altro. Io però posso dire di essere sopravvissuto solo grazie a lui, al mercante Alvise. Non so perché si prese cura di me quando nessuno mi voleva per via di mia madre. Non era un uomo ricco, diciamo che se la cavava, ma tutto qui. Forse sapeva che, col passare del tempo, avrebbe avuto bisogno di un aiutante. Mi tirò su alla buona, minestra, pane, qualcosa di carne di vacca ogni tanto. Quando arrivai ai cinque anni mi mise al lavoro. Nel villaggio si dicevano di lui le cose peggiori, che gli piacevano i bambini o che mi avrebbe venduto come servo alla prima occasione.
Io abitavo con lui e sfacchinavo dalla mattina alla sera appresso al mulo (ne aveva avuti altri tre, tutti morti), alla stalla, alle faccende di casa e, soprattutto, per dargli una mano a scaricare le mercanzie quando rientrava dalle sue spedizioni. Però mi dava da mangiare e non mi sentivo in diritto di lamentarmi. Alvise, al contrario, si lamentava di tutto. «Questi maledetti» diceva parlando della gente del villaggio. Facevamo vita appartata. Quando era via, mi lasciava le provviste sufficienti e mi raccomandava di uscire di casa il meno possibile.
Più tardi, mi insegnò a leggere e scrivere e a tenere i conti del suo commercio. Imparai anche a coltivare l’orto. Il nostro vicino Larsen non se ne dava pace. Si avvicinava al recinto che avevo costruito attorno alla casa e mi guardava storto. Mi chiamava “bestiolina” e sputava sulle piantine di basilico e finocchio. Quando ebbi vent’anni una sera lo raggiunsi all’osteria dove lo si trovava ogni sera e lo presi a pugni. Così, a freddo. Ci fu un bel po’ di trambusto ma poi finì lì. Quando Alvise tornò e venne a sapere quello che avevo fatto mi tirò uno schiaffo. «Per quei maledetti ci vuol ben altro» mi disse «con le mani non si risolve niente.» E fu tutto.
Alvise ha compiuto da poco settantasette anni. Credo che ormai quel mestiere gli pesi ogni giorno di più. Mi sono offerto più volte di accompagnarlo nei viaggi o di occuparmi al suo posto di qualche spedizione mentre lui sarebbe potuto restare al villaggio e riposarsi, ma da quell’orecchio non ci sente. «Lo so che ne saresti capace, Koràn, lo so. E’ per questo che non voglio», mi risponde ogni volta che cerco di entrare in argomento. Ma io sono grande ormai e vorrei vedere qualcosa del mondo prima che sia tardi. Sei mesi fa mi sono fatto coraggio e gli ho detto, senza mezzi termini, che se non voleva che anche io diventassi a pieno titolo un mercante come lui, ebbene, ci saremmo salutati e ognuno per la sua strada. Temevo il peggio. Invece Alvise mi disse solo di aver pazienza. «Ancora un viaggio, Koràn, uno solo, l’ultimo. Poi faremo come vuoi tu.» Era il viaggio dal quale sta tornando oggi.
Non è mai stato via tanto a lungo. Glielo dicono le gambe, le braccia e il gran sonno. Il sigaro si è consumato, si sono accese le stelle. Ha recuperato il mulo, lo trascina dietro di sé con la cavezza attraverso la spalla adesso che la porta del villaggio appare come una fessura di luce nel buio. Ma nonostante la stanchezza ride di gusto pensando a come ci rimarranno quei maledetti. Ne è valsa la pena. Sei mesi a raccogliere in giro un firmamento di semi di erbe velenose, quelle di cui i farmacisti, nelle loro misture, fanno gocciolare sì e no un respiro. Li ha scelti uno per uno, comprando solo quelli che è impossibile distinguere dalle sementi di erbe comuni come il basilico e il finocchio. Li venderà per quasi nulla, incasserà a man bassa e si comprerà un cavallo.
Dopodiché, ci sarà solo da aspettare la fioritura.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Racconto profondo e ricco si sfumature nostalgiche. Bravo. Mi è piaciuto molto. 🙂
Grazie mille, Silvio.
Prego, è stato un piacere. :-).
Intenso, specialmente la prima parte. Bravo
Sono contento che ti sia piaciuto, Tiziana, grazie di cuore,
Bello il punto di vista del narratore, esterno e neutrale.
Grazie, Roberto. È un racconto di molti anni fa, una specie di esercitazione.
Ciao! Letto d’un fiato, mi è piaciuto un sacco. L’atmosfera è fantastica.
L’unica cosa che mi ha fatto un attimo “inciampare” è stato il cambio di narratore a metà. Passare all’improvviso dal racconto su Alvise alla prima persona di Koràn mi ha un po’ spiazzato.
Secondo me, se raccontassi tutto dal punto di vista di Koràn la storia sarebbe ancora più fluida e il finale colpirebbe anche di più.
Comunque è solo un piccolo spunto, il racconto è già forte così. Complimenti!
Grazie della lettura e soprattutto dell’osservazione critica. Non so dirti con esattezza perché ho cambiato il punto di vista, ma mi sembrava che animasse la narrazione. Grazie ancora.
Un racconto pieno di malinconia e rivincita, tra polvere, semi velenosi e un ultimo viaggio che profuma di libertà. Mi è piaciuto molto.
Ho scritto questo breve testo molto tempo fa, credo che sia la prima volta che qualcuno lo legga. Grazie, naturalmente, per la tua attenzione e anche per il messaggio di benvenuto che mi hai inviato.