Il mio secondo giorno

Serie: Una strana città


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il mio primo giorno in questa strana città è appena trascorso...

Ero rimasto da solo, senza il mio altro me. L’unica cosa che avevo capito è che avrei dovuto attendere un mese prima di incontrare me stesso. Non chiedetemi come facevo a saperlo, lo sapevo e basta, così come sapevo di essere l’altro me. Sì, lo so, avrei dovuto dare di matto e invece avevo finito con il prenderci gusto. Il fatto vi sorprende? Avete idea di quanto fosse noiosa la mia esistenza? Sicuramente più di questa. E poi non avevo nessuno da cui tornare, nessuno di così importante. Il mio unico problema era che, nonostante i numerosi tentativi fatti, non riuscivo a muovermi oltre la taverna e il cimitero. Potevo entrare nella taverna, l’unica di quel piccolo borgo, e nei negozi che fiancheggiavano la strada, bussare alle abitazioni, chiacchierare con la gente, percorrere le strade, vedere in lontananza altri luoghi, ma, se provavo a percorrere un’intera via, finivo sempre al cimitero. Al che pensai di essere diventato una specie di fantasma. In quella situazione era l’unica spiegazione sensata. Poi mi venne in mente di cercare gli altri passeggeri. Eravamo in otto, quindi c’erano altri sette disgraziati che immaginavo avessero fatto la mia stesa fine. Anche perché la stazione non si trovava più. Avevo provato decine di volte nel mio primo giorno e non ero riuscito, vedevo solamente un treno che in lontananza appariva e spariva. Questo era il mio secondo giorno e volevo capire se mi fosse possibile trovare una spiegazione a tutto questo. Quindi mi misi di buona volontà e iniziai a cercare gli altri. Camminando facevo molta attenzione alle facce dei passanti, ma gli abiti che indossavano mi aiutavano a capire che non si trattava di nessuno degli altri passeggeri. In compenso compresi un fatto assai importante: quella gente apparteneva a epoche diverse, come il mio altro me. Gli abiti che indossavo sembravano ottocenteschi e, se provavo a toglierli e metterne altri, non c’era il tempo di indossarli che apparivano uguali a quelli dell’altro me che avevo appena tolto: un vero casino lo so! Degno della mia vita. Provai anche a chiedere ad altri passanti se, come nel mio caso, fossero rimasti intrappolati in qualche sorta di loro alter ego, ma la gente mi sorrideva e passava oltre. O non ero capace a spiegarmi o c’era qualcosa che ci impediva di comunicare, forse un incantesimo. A quel punto poteva valere tutto e il contrario di tutto. Intanto le ore del giorno e della notte apparivano molto simili anche se in realtà oscillavano in base alla zona in cui mi trovavo: si passava da un bel tramonto color arancio a una prima sera leggermente illuminata fino ad arrivare al buio più pesto di una notte senza luna. Ma i lampioni e le luci dei negozi mi aiutavano a illuminare ogni singola via. Solo la taverna aveva un comportamento differente: in certi momenti era buia; in altri, piena di luce e vita. Capii che dipendeva dal fatto che fosse abbandonata o abitata. Esatto, avete capito bene: se le luci erano spente, l’interno risultava abbandonato, pieno di ratti e roba rotta o in disuso; se, al contrario, vedevo delle luci provenire dalle finestre, la locanda era calda, comoda e accogliente. In questo modo sapevo quando potevo mangiare o rilassarmi e quando dovevo trovare un altro modo per passare il tempo. E, infatti, il resto della giornata ero stato costretto a passarlo per strada o al cimitero. Il cimitero era la zona più buia, ma a me piaceva. Percorrendolo mi ero accorto che a una certa distanza dall’entrata si affacciavano diverse cappelle tombali e che alcune di esse erano aperte. Quindi, dato che non avevo di meglio da fare, entrai a esplorarle. Erano davvero belle e le foto ritraevano uomini e donne di ogni età, anche bambini. Quel tocco gentilizio negli arredi, le rendeva più simili a case tristi che a vere e proprie tombe: c’erano tappeti sul pavimento e dei drappi appesi alle pareti per riempire gli spazi tra i loculi; ogni cappella sembrava infinita, era composta da un lunghissimo corridoio e i morti, con le loro foto, si susseguivano; a far luce pensavano dei candelabri appesi sopra i drappi, rischiaravano abbastanza l’ambiente da creare una piacevole luce soffusa. Se avessi potuto contare le ore, avrei detto di aver passato lì circa 5 o 6 ore. Poi mi stancai e uscii dall’ultima cappella: avevo fame e quell’istinto poco attinente alla mia convinzione di essere diventato un fantasma mi fece venire voglia di dirigermi verso la taverna. Lo feci e quando arrivai vidi le finestre illuminate. Entrai e con mia enorme sorpresa vidi sei degli otto passeggeri seduti lì, ne mancava uno. Forse riposava in una delle stanze sopra, forse era ancora in giro cercando il treno. Erano seduti tutti attorno allo stesso tavolo e sembravano avviliti. Erano silenti e si limitavano a mangiare anche con un certo appetito, lo stesso che a quell’ora aveva spinto il mio stomaco a raggiungere quella taverna. Fatto sta che mi avvicinai e provai a parlare con loro.

«Ehi, salve!»

Esordii nel modo più idiota possibile, era nella mia natura, ma sembravano non sentirmi e tantomeno vedermi. Provai anche a scuotere qualche oggetto, ma non riuscivo ad afferrare nulla o a smuovere qualcosa che non appartenesse al tavolo che l’oste mi aveva indicato. A quel punto rimasi in piedi vicino a loro, tanto non mi filavano di striscio, e iniziai a osservarli: uno per uno.

Serie: Una strana città


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Discussioni

  1. Comincio a pensare che il protagonista e gli altri ex passeggeri del treno abbiano qualcosa in comune: un filo conduttore che forse si rivelerà cruciale nella storia. Ma resto pronto a farmi stupire dalla tua narrazione.

    1. Dimenticavo… grazie per avere letto fin qui! Spero di essere più celere con i prossimi episodi, anche se li sto scrivendo a mano a mano e nei ritagli di tempo. Tra l’altro questo ho impiegato 10 giorni per pubblicarlo, il sito mi rifiutava… è.é

  2. Adoro come il protagonista cerchi di razionalizzare l’assurdo, pur sapendo che sta succedendo qualcosa di sbagliato. Anche il dettaglio degli abiti che tornano sempre uguali, o della taverna che oscilla tra abbandono e vita. La descrizione del cimitero è riuscita alla grande: sembra quasi un luogo di transito, una specie di purgatorio elegante e malinconico👍👍

    1. Ci sono persone che tendono ad “accettare” quello che accade. Il mio protagonista è abbastanza “disgraziato” da poterci riuscire. Non è un uomo realizzato e con una vita perfetta, e forse, proprio per questo, è più disposto a misurarsi con un accadimento irrazionale e inspiegabile.

  3. La storia mi è piaciuta molto fino a qui: il personaggio è ben caratterizzato e l’ambientazione interessante. Si legge volentieri e l’idea ha ottime potenzialità.
    Detto questo, a mio avviso il testo è un po’ troppo compatto. A livello di ritmo procede tutto su un unico passo e rischia di appesantire la lettura.
    Non so se sia una scelta voluta, ma suddividere i blocchi, alternare frasi lunghe a più brevi e dosare meglio descrizioni e riflessioni aiuterebbe a rendere il flusso più scorrevole.

    1. Ciao, Mariano. In effetti di mio tendo a essere abbastanza compatto oltre a questo ho accettato la scommessa di far rientrare ogn episodio nelle mille parole. Il primo era diviso in due parti perchè rientrava nella regola delle 1500 parole. Avevo trovato molto accattivante l’idea di scrivere episodi brevi, a quel punto avevo due opzioni: o scrivere normalmente, e spezzettare un vero e proprio racconto all’interno del librick, o provare a creare episodi autoconclusivi inserendo abbastanza elementi ed evitando lungaggini che mi avrebbero portato a descrivere al massimo una o due scene per episodio e dare vita a un poema infinito. Ovviamente avrei potuto scriverlo in modo differente, e come ben dici tu, usando periodi più scorrevoli e fluidi, però non so se in una vita passata io sia stato un telegrafo, ma scrivere in questo modo mi viene naturale e ci faccio poco caso. Però trovo questo consiglio molto utile e sicuramente, man mano che scrivo gli episodi, farò qualche prova per vedere se riesco ad ammorbidire i periodi e quindi la lettura. Ti ringrazio davvero per avere letto, l’ho apprezzato molto. E grazie per i consigli! A presto.

      1. Ciao! Ovviamente è solo la mia opinione personale. Forse io ho il problema opposto: tendo a rendere tutto troppo “musicale” e poco compatto.
        Se senti che questo stile rispecchia davvero il modo in cui vuoi esprimere quello che provi, allora va benissimo così.

        1. Non lo so nemmeno io, ad un cero punto quando capisco che un testo va modificato, lo “aggiusto”. Del resto, molto di frequesnte, i testi richiedono molte risscritture. Per questioni di tempo non riesco, ma se avrò tempo sicuramente riscriverò e aggiusterò un po’ tutto.

  4. Ho apprezzato tre cose in particolare in questo episodio. Quella più generale è il senso di attesa che riesci a trasmettere, come negli altri episodi. Poi le descrizioni dei luoghi: le strade, il cimitero, le tombe. Il cimitero stesso diventa un luogo che il protagonista non può evitare. Infine la formattazione in un unico lungo paragrafo prima delle due parole pronunciate dal protagonista: così non concedi tregua nella lettura. Ottimo!
    Trovo invece che la lettura risulti un po’ frenata in quelle righe in cui ha usato molti virgolettati (“altro”, “secondo”, “altri”), come se fossero ostacoli allo scorrere dei pensieri.
    Come sempre, aspetto il seguito…

    1. Ciao Antonio. Ero indeciso se virgolettarle o no, perchè, appunto, non sapevo se per chi legge potesse risultare fastidioso o meno. A questo punto le rimuoverò. Considera che lo sto scrivendo di getto, non è un testo già preparato, quindi anche rileggendolo è probabile che apporterò modifiche dove la lettura può risultare più insidiosa o difettosa. A livello generale mi piaceva il risultato finale e l’ho lasciato così. Ti ringrazio davvero per avere letto e spero di ritrovarti al prossimo episodio. Ho avuto difficoltà a pubblicarlo, il sito non mi faceva aggiungere questo episodio, e ho dovuto attendere tre giorni prima di riuscire, speriamo bene con il prossimo! A presto!

  5. Si sente molto forte lo spaesamento del protagonista che cresce con lo scorrere delle ore. Quelle che sembrano certezze. Le poche, vengono immediatamente sostituite dal dubbio. Mi ha impressionata l’immagine delle tombe che dall’esterno sembrano piccole, mentre all’interno presentano un lungo corridoio che ospita moltissimi loculi. Altra cosa che mi colpisce è lo scorrere del tempo, non più oggettivo, bensì soggettivo: il suo dilatarsi o accorciarsi è tutto nella mente del protagonista. Come ne uscirà?

    1. Sto ricalcando le atmosfere di un certo tipo di videogiochi. Potrà sembrare una banalità, ma ho avuto modo di osservare alcuni gamplay di videogiochi horror (sono semplicemente dei video che mostrano la trama di questi giochi) e con cui non ho mai giocato quindi è stato come vedere un filmdi cui non consocevo il finale. A differenza di un film horror, li ho trovati molto impressionanti, e c’era questo senso di claustrofobia, ambienti piccoli e ripetitivi che andavano a creare un senso di costrizione nel personaggio che di fatto è vincolato ad un certo tipo di luoghi e muovimenti. Lo scorrere del tempo è un’altra tematica importante, non posso anticiparti nulla, ma si capirà meglio avanti. Spero di non deluderti nel prosieguo del racconto: ho molte idee ma devo ancora metterle su carta e capire se funzionano. Grazie per aver letto, mi ha fatto molto piacere. A presto!