Il numero di Alex

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La notizia dell’incidente stravolge tutti i piani e gli equilibri, sia per Gustav che per tutti i letterati presenti in albergo. Durante la sua prima colazione successiva alla tragedia, una cameriera consegna a Gustav un biglietto con un numero di telefono di un misterioso orchestrale.

«Allora è per questo che mi hai servito la colazione in camera? Cercavi chi telefonasse per te?» le dissi, sbarrando gli occhi, puntandoli contro il suo viso atterrito, minuto.

«Ma io non sapevo che fosse la sua camera!»

«E di chi credevi che fosse, allora? Di Napoleone? Questa è la camera di una morta. Non devi mai più ritornare qui, per nessuna ragione al mondo, capisci?»

«La camera di una morta, ha detto? E chi sarebbe la morta, non mi dica che…» mi disse la cameriera, impallidendo, sempre più confusa, incredula.

«Per il momento non posso aggiungere altro. Consegnami il biglietto con il numero di telefono, piuttosto. Chiamerò dal tribunale. Semmai nel pomeriggio, sul tardi, ti darò informazioni più precise, se riesco. Finisci pure la mia colazione. Devi riprenderti. Ti vedo troppo magra, pallidina. Tuo nonno aveva ragione a chiamarti capinera. Adesso, non me ne volere, ma mi tocca correre in tribunale. Non ho più tempo. Prendi un croissant, del latte di soia o quello che ti pare. Non farti problemi» le feci. 

Lei mi consegnò il biglietto e prese con incertezza un croissant, spostandosi accanto alla finestra con un’aria assorta, malinconica. A guardarla di spalle, lievemente curva, tremolante, mi strinse il cuore. Dalla sua sagoma incerta si scorgevano i fremiti della masticazione, i rami di un frassino, le bare bianche nel bosco. Mi sembrava precipitata anche lei, insieme agli orchestrali che aveva servito, nel fondo irraggiungibile del baratro. Anche la sua minutezza era irraggiungibile. La sentivo pizzicare il croissant con una lentezza insolita, fissando il viale deserto dell’albergo immobile, assopita – una bambola di fumo e di bruma, pensai. 

Tutto, intorno a noi, era attraversato da una luce arcana, istoriata, che alterava ogni piccolo oggetto presente nella camera. Mi disposi di fronte allo specchio, fissandomi come un cliente sconosciuto, assicurandomi di essere in perfetto ordine per raggiungere il mio posto di lavoro, proprio quando nella camera rientrò la cantante. Feci un balzo di gioia, forse più di spiazzamento per la sorpresa, non aspettandomi un suo arrivo così repentino. Lei mi si avvinghiò addosso, con tutto il suo peso, senza controllo, come se fossimo da soli. Il suo trucco sciolto mi infangò la camicia. 

La cameriera era ferma accanto alla finestra, senza ancora voltarsi. Dalla sua mano e dai suoi piccoli assaggi piovevano briciole di croissant, mentre la cantante continuava a singhiozzarmi addosso, stringendomi a sé come se fossi un gatto, o una maglia d’inverno. La invitai a mantenere la calma, dicendole che sarei corso in tribunale e avrei attivato a breve tutte le mie risorse e amicizie per fare del chiaro sulle dinamiche della tragedia.

«Posso venire con te? Mi faresti felice, Gustav. Per favore» mi chiese la cantante, annientata nelle mie braccia.

«Non è possibile, lo sai. Ricorda che dovevi essere morta nell’autobus, con tutti gli altri.»

«Ma nessuno mi avrà visto salire. Nemmeno precipitare» mi fece, con un filo di voce, asfissiata dal pianto.

«Non se ne parla. Guarda qui, piuttosto: la cameriera mi ha lasciato il numero di telefono di un orchestrale. Ha servito a tavola l’orchestra poco prima che si mettesse in viaggio. Non ha trovato il coraggio di chiamare. Le ho detto che posso farlo io, dal tribunale» le dissi.

«Fa’ un po’ vedere» mi fece e mi strappò il biglietto dalla mano. Lesse di fretta il numero, sbarrò gli occhi:

«Ma questo è il numero di Alex!» stavolta la cameriera si girò, a tempo con l’esclamazione della cantante, dicendomi: «Era proprio il suo nome. Me lo ha detto pian pianino all’orecchio, la sera prima di andarsene. Non voleva che ci sentissero. Ne sono sicura. Si chiamava Alex. Un nome moderno, secondo me bellissimo – il mio preferito».

«Non è affatto prudente che tu venga con me in tribunale» dissi alla cantante, che ormai non mi guardava e non mi sentiva più. Aveva uno sguardo di odio puntato sulla cameriera che aveva civettato con Alex, almeno nella sua mente contorta, come pensai, e che adesso si ingozzava di spavento, la bocca piena per fare prima e scappare in cucina, o a rassettare le camere dei clienti vivi.

«Che cosa ti ha detto di preciso?» le chiese la cantante, che non era più in sé, mentre l’altra balbettava insensatezze, come una scolaretta impreparata in un’interrogazione.

«Mangia piano» le dissi, avvicinandomi a lei. «Che cosa stai facendo? Così ti ammazzi!» e la cantante data morta insisteva: «Adesso mi devi raccontare che cosa ti ha detto Alex, parola per parola. Non credere di farla franca. Con me non c’è gioco, sappilo, ragazzina».

«È tutto così confuso, annebbiato. Non riesco a ricordare nulla delle sue parole, nemmeno del suo viso, glielo giuro. Sono stata io a raccontargli di me, lui mi ascoltava e basta. È la verità.»

«E per quale ragione ti avrebbe dato il biglietto con il suo numero di telefono, allora?»

«Ma non ne ho idea. È stato un gesto improvviso, che ha spiazzato anche me, mi creda. Di certo non sono stata io a chiederglielo.»

«Ma intanto lo hai accettato, e per giunta lo hai conservato come qualcosa di prezioso, è evidente. Tra l’altro pare che tu non abbia fatto nulla per scoraggiarlo, se non il contrario. E guardami negli occhi quando ti parlo!»

«Ma io la sto guardando, signora.»

«Lo stai facendo soltanto adesso!»

«La prego di credermi. Non ho fatto niente di male.»

Dovevo fiondarmi in tribunale, non avevo più tempo di ascoltare le loro beghe. Quella discussione era del tutto assurda, insensata, fuori luogo. Mi ripulii la camicia, mi diedi una sistemata rapida alla giacca e ai capelli e mi dileguai, lasciando un saluto fulmineo a entrambe, che non sortì alcuna risposta. Nessuno all’ingresso mi vide uscire. Lungo il percorso frugai con impaccio nelle tasche dei pantaloni, recuperando il bigliettino con il numero di Alex. Ero tentato di gettarlo, poi pensai che non sarebbe stato corretto nei confronti della cantante e della cameriera. Non mi costava nulla tentare quel numero impossibile, in fondo.

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


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Discussioni

  1. Mi sorprende il personaggio della cameriera. Un corpo esile, eppure ha preso possesso della storia e tutto sembra ruotare attorno alle due donne, ora. Al modo in cui stanno affrontando la tragedia. Gustav invece sembra relegato alla parte tecnica, le “dinamiche”. Mentre le due cercano di dare un senso a qualcosa che ormai senso non ha più: il biglietto lasciato da Alex. Credo sia un modo per attaccarsi alla vita, per non vedere ancora.

    1. Mi piace immaginare che all’interno della serie serpeggino delle figure emissarie di forze oscure, superiori, le quali condizionano e in parte conducono gli eventi con piccoli gesti, accenni impercettibili, sussurri, tipici di chi sia iniziato a determinate verità. La loro voce è sempre tenue, appena rivelata, eppure risuona nel tempo con una sua singolare intensità, che a volte sorprende. Io credo che la cameriera sia una di loro. L’esilità e la presa di possesso di cui parli mi riconducono a questo elemento, Un saluto e un grazie.