Il pagliaccio
Sulla parete nord dell’ufficio di Carrubba, dietro alla scrivania di mogano, delineato da una massiccia cornice d’oro, era appeso un grande quadro raffigurante un pagliaccio su sfondo nero.
Nello studio aleggiava un denso odore di fumo, causa delle brutte abitudini dell’avvocato Carrubba. In quella stanza il buio dominava sulla luce. Le serrande delle due uniche finestre presenti erano sempre tenute abbassate. «Mi concentro meglio così.» Mentiva Carrubba alla sua segretaria.
La verità è che Carlo Carrubba, quando lavorava nel suo studio, voleva essere in sintonia con l’oscurità che dimorava nel suo animo: le crepe delle pareti raffiguravano le ferite del suo cuore e le piante secche, prossime alla morte, rappresentavano la sua sete di amore.
Tutto in quella stanza rappresentava la decadenza, Carrubba compreso. Barba incolta, sguardo spento, cravatta slacciata, una bottiglia di scotch in una mano, una sigaretta nell’altra. Quanta rabbia gli procurava vedere il suo ufficio ridotto in condizioni così pessime. Eppure, quella stanza buia e disordinata era il suo rifugio. Poteva rinchiudersi in quelle quattro mura per tutta la giornata, senza essere disturbato dal mondo esterno. I tappeti, i lampadari, la scrivania, tutti gli oggetti inanimati che abitavano nello studio, non potevano giudicare l’avvocato Carrubba. Anzi, spesso erano stati gli unici ad aiutarlo a trovare conforto. Il suono dei tasti della macchina da scrivere creava sempre una dolce melodia che riusciva a donare una goccia di serenità al mare in tempesta che era il suo animo. Innumerevoli volte il pavimento aveva raccolto le lacrime dell’Avvocato e le pareti avevano ascoltato in silenzio il suo pianto. Il divano rosso, posto di fianco alla scrivania, lo aveva cullato fino a farlo addormentare nelle notti in cui il senso di colpa lo divorava.
Vi era un solo elemento di disturbo nella stanza: il quadro del pagliaccio. Era un giudice severo e non vi era arringa che reggesse: Carrubba veniva sempre giudicato colpevole da quel buffo, orrendo pagliaccio.
L’Avvocato era ritto in piedi, al centro della stanza. Osservava, come faceva ogni mattina, il dipinto. Quel pagliaccio era costato a suo padre trenta milioni di lire. Scoppiò a ridere. L’essere infame che lo aveva procreato, aveva speso più soldi per un pagliaccio che per suo figlio.
Carlo era il figlio illegittimo del più famoso avvocato Achille Carrubba. Il primogenito ripudiato, nato da un’unione priva di amore, da quello che suo padre aveva sempre definito un “errore”. Uno sbaglio che aveva causato immensa sofferenza. Chi nasce dal dolore, vive di dolore. Il ragazzo aveva vissuto nell’ombra per tutta la vita. Dopo qualche anno dalla sua nascita, il padre si era sposato con una bella donna, aveva avuto due splendide figlie, senza raccontare a nessuno dell’esistenza di Carlo. L’unica cosa che Achille Carrubba faceva per il figlio era spedirgli cinquantamila lire al mese, più per sentirsi in pace con sé stesso che per affetto.
Quando Achille Carrubba morì, finalmente Carlo poté coronare il sogno di vendetta che aveva covato per tutta la vita. Fece il suo ingresso trionfale al funerale del padre, si presentò come figlio del defunto avvocato; aggiunse dolore alla vedova e alle orfane, sputando loro la verità: il morto era un traditore bastardo, un uomo piccolo, un vigliacco che non si era preso carico delle proprie responsabilità. E mentre vedeva le sorellastre soffrire per la morte dell’idea che avevano del loro amato padre, Carlo si sentì potente, coraggioso, e, soprattutto, felice.
Tuttavia, la gioia lo abbandonò presto. Alla lettura del testamento, ecco l’amara sorpresa. Achille Carrubba, pochi mesi prima della sua morte, aveva voluto modificare le sue ultime volontà: lasciava il suo studio da avvocato a suo figlio, con la speranza: «Sarà il miglior avvocato Carrubba che la città conosca». Suo padre credeva quindi nelle sue capacità? Con l’avanzare della età si era insinuato nell’animo del vecchio Carrubba dell’affetto per quel figlio ripudiato? Aveva compreso i suoi errori e cercava redenzione? Troppe domande, nessuna risposta: Achille Carrubba era ormai morto.
La prima volta che mise piede nello studio del padre, Carlo non si meravigliò della presenza del quadro di un clown. Aveva sempre visto suo padre come il pagliaccio del dipinto: buffo, mesto, al buio.
Non passarono molti giorni dalla sua vendetta quando Carrubba si rese conto di non volere che la luce del sole entrasse dalle finestre. Ironico, no? Lui che aveva sempre odiato essere nell’ombra, essere nei confini più oscuri del cuore di suo padre, adesso si ritrovava a odiare la luce che aveva guadagnato. Si era forse abituato a non vedere il sole nella sua vita o forse non pensava di esserne degno? Con la sua vendetta, in fin dei conti, tutto ciò che aveva vinto era la solitudine. Quante cose aveva fatto nel modo sbagliato. Non aveva mai voluto trovare il coraggio necessario per affrontare suo padre, per chiedergli il motivo per il quale lo aveva rifiutato. Non cercò di conoscere le sue sorelle e il dubbio per il rapporto che avrebbero potuto coltivare non lo lasciava un secondo. Il dolce amore fraterno, che non avrebbe mai sperimentato. Aveva scelto la strada dell’odio e subito si rivelò essere la strada sbagliata.
Carlo Carrubba, del resto, non aveva mai amato realmente nessuno, nemmeno suo figlio. Quel bambino era nato da un errore, dallo sbaglio di una notte in cui è l’alcool a governare le nostre azioni. Si limitava a inviargli cinquantamila lire al mese, più per sentirsi in pace con sé stesso che per affetto.
Rise di nuovo: era diventato l’uomo che aveva sempre odiato. Non doveva nemmeno più guardarsi allo specchio, gli bastava osservare il quadro del clown per vedere il suo riflesso.
Carrubba non era altro che un triste, buffo pagliaccio al buio.
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Ciò che più mi colpisce (e mi piace) di questo racconto, è come il cerchio si chiuda. Carlo alla fine diventa la persona che non voleva diventare, come dici alla fine. Come se più odiasse la figura paterna, più si avvicina ad essa. Perchè – sempre come dici nel racconto – quando si sceglie la via dell’odio si sceglie inevitabilmente la via sbagliata.
L’odio è un veleno, scarnifica e logora corpo e mente. Il punto focale del racconto, il quadro del pagliaccio, apre a diverse interpretazioni. Appare come un’ultima beffa ai danni Carlo, come detto nel racconto “un giudice severo” pronto a ricordargli le possibilità sprecate: di padre, in figlio. Ottima la prosa, capace di destare l’empatia del lettore fin dalle prime righe.
Grazie mille. L’odio è un sentimento molto complesso e adoro trattarlo in tutte le sue sfaccettature. Sono molto felice che tu abbia apprezzato il mio racconto!
Scorcio molto interessante delle vicende che possono verificarsi tra persone legate da un vincolo di sangue. Il frutto non cade lontano dalla pianta che lo ha generato e prima o poi la nostra natura si manifesta. Anche quando è ben lontana dal nostro ideale e da ciò che vorremmo essere.
Sono felice che ti sia piaciuto. Carrubba è un personaggio molto complesso: voglia di rivalsa unita al senso di colpa di essere diventato come suo padre. Lo ha odiato per anni per poi comprenderlo, dal momento che ha vissuto le sue stesse esperienze.
“Era un giudice severo e non vi era arringa che reggesse: Carrubba veniva sempre giudicato colpevole da quel buffo, orrendo pagliaccio.”
Questo passaggio mi è piaciuto
C’è un grande potenziale, per la mia modesta opinione, in questo testo. Detto in altro modo, scorgo una bella fantasia, buona scrittura, voglia di raccontare storie. Ed è tutto quello che serve in definitiva.
Credo che però il racconto andasse sviluppato più a fondo. A dirla tutta, e parlo solo in termini narrativi, ci sta che un figlio abbandonato covi l’odio. Alcune dinamiche andavano a mio parere approfondite. Ripeto, bella l’idea ma l’autrice ha tutte le capacità, mi sembra, per osare e spingersi, e spingerci, più in là.
Detto questo, resta l’apprezzamento per l’ottimo spunto e anche la capacità di strutturare la storia, poi per la scrittura molto fluida. Soprattutto la descrizione dell’ambiente è una piccola perla.
A rileggerti.
Grazie mille, davvero. Ti ringrazio per i consigli e per i complimenti. Mi hai scritto una critica costruttiva di cui prenderò assolutamente nota. Del resto, la scrittura è non solo passione, ma anche tanto esercizio, non si smette mai di imparare e di migliorarsi. Punterò a spingermi più in là, insieme a voi.
Molto molto bello. Descritto veramente bene. Si percepisce l’odio e il risentimento. Il quadro lo vedo come una sorta di Dorian al contrario. Complimenti
Grazie mille per i complimenti. Sono molto felice che ti sia piaciuto!
Bello, bello! Difficile non ripetere le parole di @cristiana, ed allora lo faccio: il richiamo a Better Call Saul ci sta tutto. Leggendo mi tornava alla mente la faccia di Bob Odenkirk. Grazie per aver condiviso questo racconto.
Grazie mille. Devo ammettere che Better Call Saul non l’ho mai visto ahahaha, la storia è ispirata a uno dei tanti racconti narrati dalla mia nonna, ma mi fa ridere sapere che a quanto pare questi tratti sono comuni a tanti avvocati di fantasia!
Bellissimo questo racconto! Scorrevole e con un’ottima scelta lessicale. Sta un po’fra Bukovski e Better call Saul. Interessantissima anche la personificazione degli oggetti. Veramente bello!
Grazie mille di cuore! Bukowski è tra i miei scrittori preferiti. Mi ha riempito di gioia sapere che un po’ del suo stile ha influenzato il mio!