
Il peso delle lacrime
“A furia di piangerci addosso almeno stiamo crescendo rigogliosi”.
Fu forse questa mia frase ad effetto a disinnescare un innocuo aperitivo serale, spingendolo inaspettatamente lungo il crinale di un’elettrizzante scopata.
Smettesti di chiacchierare e cominciasti a osservarmi con interesse, forse davvero per la prima volta.
In fondo, a ben pensarci, silenzi e scopate sono tutto ciò che ci resta per continuare a sperare.
Ma parlo per me.
Qualcun altro più orgoglioso del proprio vissuto vi racconterà di sentirsi realizzato nello svolgere con successo il proprio lavoro, altri vi elencheranno il loop infinito di piccole gioie che un sereno ménage familiare è in grado di offrire. E anche se non gli credo, chi sono io per giudicare?
So di certo che noi ripudiavamo un certo tipo di vita, anche nei momenti in cui saremmo stati quasi disposti a giurare il contrario.
Ci facevamo bastare l’egoismo e i sensi alterati dal fumo e dall’alcol.
Ci sentivamo protagonisti del nostro squallido destino. Era già qualcosa.
Il mondo si divide in due categorie, dicevi sempre: i creativi e gli assuefatti.
“Amore esageri, sono un buono a nulla”.
“Si, e guarda che dovresti vantartene”.
E mi facevi ridere forte. Perché, ottusamente e inspiegabilmente, tu mi stimavi. I creativi per te non erano quelli che realizzano opere d’arte, o perlomeno non solo. ‘Anime spettinate’ le chiamavi, disgraziati con la testa per aria che perdono le chiavi e si innamorano di un gesto fugace, gente convinta di poter scrivere poesie bellissime senza averci mai neanche provato. Quelli destinati a sognare la propria esistenza mentre gli evapora in faccia.
Gli assuefatti erano il resto e la maggioranza. E nient’altro c’era da spiegare, perché la parola già dice tutto.
Io ti stavo a sentire. Com’eri bella mentre mi rimbambivi con quelle cazzate. Riuscivi perfino a commuovermi, per quanto tutto ciò dovesse apparirmi stupido, puerile, che poi in fondo non mi costava niente e dopo un po’ sapevo che saremmo finiti a letto, ad accoppiarci felici come se non ci fosse un domani.
Beata giovinezza, perdio.
Ho avuto la tentazione di trasformarmi in assuefatto, qualche anno fa, lo ammetto.
Vedere te diventarlo però è stato peggio.
Oggi per fortuna non mi hai riconosciuto. Sporco e barba sono giunti in mio soccorso, una volta tanto. Sono rimasto accovacciato a capo chino, il piattino di latta ancora tra i piedi. Avessi saputo che ci saremmo incrociati credo che l’avrei nascosto. Un banale riflesso incondizionato, niente di più. Scorie di quella vergogna che in verità da tempo mi ha abbandonato.
Tu, elegantissima nel tuo tailleur beige senza pieghe, i capelli raccolti, la borsa di pelle di rettile e i tacchi vertiginosi, mi sei passata accanto senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Piegandoti appena hai fatto tintinnare nel piatto ammaccato qualche spicciolo sfuggito alle fauci del parchimetro, prima di dirigerti verso un negozio d’arredamento.
Io invece ti ho osservata bene, ci mancherebbe.
I polpacci ti si sono gonfiati, accidenti. Quanta vita hai assassinato in palestra?
Il cuore no, quello non lo alleni più, si vede perfettamente.
Sei passata in un attimo come un’occasione mancata, lasciandomi solo una voglia di pisciare.
E piscerei volentieri sui cerchi in lega della tua Porsche di ossidiana.
Invece mi ritiro tra le piante del parco, pieno di amarezza e con un unico scopo: masturbarmi prima che la scia del tuo costoso profumo abbandoni le mie narici.
Dicevi stronzate, ma ho paura di averle prese troppo sul serio.
Così, in un angolo, mi accorgo della differenza tra piangersi addosso e piangere e basta.
Onorata e felice di ciò che mi dici. A rileggerci presto 🙂
L’imprevista iperbole di questa storia d’amore sembra passare in secondo piano rispetto al vero dramma di una vita: il tradimento di se stessi e dei propri ideali – che potremmo definire di gioventù ma che in realtà non dovrebbero avere un’età o un epoca. È paradossale come la coerenza possa avere come conseguenza il fallimento e la vergogna; mentre l’opportunismo, il disvalore dell’opportunismo, conduca a benefici materiali e ad un migliore status sociale. Eppure il protagonista, al netto della sua indignazione, arriva adesiderare ciò che disprezza, e sarà forse questa la sua sconfitta più cocente o, se vogliamo, la vittoria più inquietante del Sistema.
Ciao Tiziano, grazie del bel commento.
Ideali e coerenza sono solo congegni a tempo, nati per essere sostituiti varie volte nel corso della vita, prima di arrivare a un ineluttabile senso di resa.
Il problema sono i tempi di maturazione, diversi per ognuno di noi. Che poi qualcuno più che maturare praticamente marcisca ci può anche stare.
Credo che il mio personaggio in realtà non sia animato né da disprezzo né da indignazione.
E’ rimasto invischiato mentalmente in un’epoca che lo ha visto felice e ne prova nostalgia, tutto qui.
Il suo desiderio fisico è umano e comprensibile, anche se può turbare.
L’aspetto però più inquietante della vicenda (e in generale del vivere) è la casualità degli eventi che ci trascinano inconsapevoli in mondi che mai avremmo pensato di scegliere.
Ci sono cose dure e profonde in questo racconto ben scritto, ruvido da far male. Lo spensierato languire della giovinezza che non va confuso con un’apatia acritica e autocelebrativa. E l’ipocrisia di certi “rettili” (di cui però non si fanno scarpe ma bensì finiscono per governare il mondo), fa sì che le persone ingenue, le anime spettinate, possano divenire giocattoli inconsapevoli, se non imparano a coltivare i sogni avendo cura di sé stesse. Non saper reagire significa a volte perdersi per sempre.
Ma sognare da poeti avendo sempre cura di sè non è facile! E scrivere poesie sul serio, mettendole sul foglio, è ancora più difficile. Mentre gli altri, attorno, magari ridono. Come non era facile scrivere questo racconto. Bravissimo.
Cara Isabella, grazie del tuo prezioso, approfondito commento. Troppo buona davvero. Sei stata la mia prima lettura qui su Edizioni Open e, con un tuo toccante racconto notturno, anche l’artefice inconsapevole (almeno finora) della mia iscrizione sul sito e di questa pubblicazione. Avrei dovuto ringraziarti prima, lo so. Ma così è più bello.