
Il regalo di papà
Mi guardo allo specchio.
La mia camicetta preferita, che disastro.
I bottoni… quelli si riattaccano. Se cerco bene magari li trovo pure. Per fortuna non amo riempire di mobili le mie case, non dovrò frugare molto. Sotto al letto, sotto alla cassettiera. E in giro sul pavimento.
Forse lo strappo sulla manica è recuperabile.
Forse questo strappo sì, è recuperabile.
Ma quello che mi ha aperto gli occhi? Quello, se ci avessi riflettuto un attimo, sarebbe stato recuperabile?
Uno strappo che ha squarciato il velo che mi ha reso stupida, sciocca, dormiente per mesi è ricucibile?
No.
Mesi di bugie, alternate a disprezzo. Mesi di finte scuse, alternate a insofferenza.
E poi lo strappo. Gli strappi.
La mia richiesta di spiegazioni; il mio rifiuto di altre bugie.
La sua morsa feroce, il mio strattonamento, la sua furia, la mia fuga, il suo tentativo di violenza e i bottoni della mia camicetta che volano.
Mi ama, strilla. Mi ama, ma ha bisogno dei suoi spazi.
No, non lo strilla da oggi, lo strilla da mesi.
Con “i suoi spazi” intende i miei silenzi, la mia accettazione, il mio servilismo, la mia ingenuità.
Oggi ho deciso di svuotarli di me e allora gli chiedo di liberare i miei dai suoi tradimenti e dal suo opportunismo.
Non lo vuole fare.
No, no… non è proprio così: non lo avrebbe voluto fare.
Perché io finalmente lo urlo al mondo intero che voglio tornare padrona dei miei spazi, e faccio tesoro dell’insegnamento di mio padre: se un uomo non ti rispetta, tagliagli le gambe.
E mentre continuo a urlare, lucida al punto da notare quasi divertita il suo sguardo sgomento; mentre continuo a urlare, con una voce che non pensavo di avere, no, non lo sapevo davvero, dovrei provare a cantare forse; mentre continuo a urlare corro in cucina e prendo il coltello del pane.
Il pane… sacro. Bisognerebbe romperlo con le mani, ma a me piace in fette sottili, e allora il mio vecchio coltello è sempre affilato, sempre pronto.
Me lo regalò mio padre, che amava il pane in fette sottili.
Lo bruscava e lo condiva con olio e sale.
Lo preparava per sé e per me, e mi ripeteva: meglio pane e olio, che un marito che non ti rispetta.
Meglio pulire le scale, che un marito che non ti stima.
Meglio restare soli, che stare soli in casa con un marito che non ti ama.
Meglio in galera, che dentro a una bara.
Ma meglio fermarsi prima. Mettendo bene in chiaro le cose.
Sono affezionata a questo coltello e scopro che potrebbe affettare con facilità un buon prosciutto stagionato.
Chissà se alla sua amante piacerà con quella fetta di coscia mancante.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Inevitabilmente bello. Essenziale e arguto, nella sua drammaticità. Il vero regalo di papà? Il rispetto di sé stessa.
…e anche se, grazie al cielo, non ho mai avuto incontri ravvicinati con esseri dal cuore alieno (alla verità), una nota autobiografica nel racconto c’è: mio padre mi ha cresciuta a pane e stima.
E sì, il dono è quello.
Grazie Isabella
mi è piaciuto scoprire che il regalo di papà era nascosto nel racconto, e in cucina. Ben scritto davvero. Complimenti!
Grazie Maria Anna!
Ti ringrazio molto Marta.
La sagacia del titolo disorienta e quindi poi sorprende in quello che è il reale tema del racconto, un racconto tanto lucido a volte, da sembrare folle nella dinamica dei sentimenti spezzati, molto brava per questa alternanza,