Il Tempo

Ho pensato, ho pensato e ho pensato. Ho pensato a me, ho pensato a te, ho pensato a noi. Ho pensato agli anni che mi circondano, ho pensato agli anni che volano via, ho pensato che qualcosa rimane e ho pensato che in bocca non ho un buon sapore. Ho pensato, ho pensato e ho pensato. Adesso penso meno, penso meno e più che altro corro.

Eravamo nuovi, ti ricordi? Era ieri. Oggi ci prendono e ci buttano via.

Vite a brandelli, famiglie a brandelli, strade a brandelli, case a brandelli. Cade tutto a pezzi, mi hai detto. Cade tutto a pezzi…cazzo…

La pista Zengarini è un nastro d’asfalto lungo duemila e trecentoventi metri. Rettilinei, curve, salite e discese che girano e girano e che tornano lì. Dalla pista Zengarini, se hai faticato abbastanza, ci sono dei giorni in cui vedi il futuro. Qualche anno fa ero lì che cercavo di smettere e ho visto i contorni della mia prossima vita.

Il mio modo di scrivere è cambiato, cambia, cambierà. Scrivo meglio, scrivo peggio, non riesco più a scrivere, sono preoccupato…va beh…che altro c’è? Alcuni droni russi stanno sorvolando lo spazio aereo danese, il campionato di serie A è cominciato da quattro o cinque settimane, un grosso pezzo di luna è rimasto incastrato dentro le nove e mezza di lunedì mattina. Sono in macchina, guardo la sua forma curva, bianca e lontanissima attraverso il finestrino aperto, e penso ad una cosa del tipo: «È senza dubbio la montagna più alta della terra».

È caldo, è agosto, è mezzogiorno, il vento corre tra i campi bruciati dal sole e li incendia, il cielo è una fiammata azzurra ardente, migliaia di cicale vanno avanti con la loro canzone. Siamo sul ciglio della strada, io e Patrizia e Patrizia mi dice che questa notte non ha chiuso occhio, i vetri delle finestre vibravano per via dei colpi, e ad un certo punto s’è svegliato perfino il gatto. Io neppure ho dormito, le dico, e comunque anche se lo fanno, anche se non li ferma nessuno, resta il fatto che non lo possono fare. Ci pensiamo su, io e Patrizia, valutiamo il problema, lo analizziamo in silenzio, siamo uno di fianco all’altra. Casa di Patrizia è alle nostre spalle, casa mia invece è di fronte a noi, ma è lontana: una cassetta della posta con il mio nome sopra, un vialetto di ghiaia bianca che solca la terra, un cancello verde, in fondo, che si apre e si chiude, mattoni e tegole rosse con sopra un comignolo e un’antenna che luccica. «Le farfalle bianche sono le anime dei morti che tornano lì dove hanno vissuto» dice Patrizia. Guarda il mare frusciante di erba ingiallita, alta e disordinata che si muove davanti a noi e sembra una bambina. È impressionata da quello che ha appena detto. Sembro un bambino anche io. Impressionato anche io da quello che ha appena detto Patrizia. Nel frattempo centinaia di schegge di luce se ne stanno sospese, palpitano a mezz’aria, tra la terra ed il cielo, tra un posto e un altro, tra qui e altrove. Il sole scintilla, le nuvole passano e cambiano forma, mia nonna ha dieci anni e corre insieme al vento e a sua sorella nei campi, qui intorno. Tutto quello che conta è in piena vista. Oggi. Sempre. E anche così, però, non si vede.

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Michele, nel tuo brano mi colpisce il contrasto tra la corsa in pista, dove la fatica fisica può aprire squarci di futuro, e l’immobilità assorta sul ciglio della strada con Patrizia, dove il passato, rappresentato dalla nonna bambina, e la leggenda delle anime che hanno la forma di farfalla, irrompono nel “presente” con enorme phatos. Hai uno stile molto interessante.

  2. Ciao Michele. è stato un piacere tornare a leggere un tuo racconto dallo stile inconfondibile. Ancora una volta mi hai portata a compiere un viaggio fra le strade della città.
    Interessanti le considerazioni sulla scrittura e molto ben riuscito l’inserimento del personaggio di Patrizia che fa da interlocutore ai pensieri del protagonista.