2 – Quel che non si è mai conosciuto

Serie: Il tempo che serve alle promesse


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Lina ha vissuto una vita povera, fatta di tanti sacrifici, ma piena. Una vita piena di vita. E piena dell’amore di tutti quelli che l’hanno amata, perché era impossibile non farlo.

C’è stata una cosa che avrei voluto chiederle alla fine, che mi ripetevo mentre pedalavo su una bicicletta arrugginita ma ancora funzionante uscendo in anticipo dal lavoro, dopo che mio padre mi aveva chiamato al telefono per dirmi:

«Vegni, a dixe c’a se ne va – Vieni, dice che se ne sta andando».

Pompavo sui pedali più forte che potevo e parlavo ad alta voce senza curarmi di quello che la gente potesse pensare vedendomi. Le dicevo «aspettami, resisti ancora un attimo, lo so che è il momento ma ti voglio salutare, e voglio chiederti una cosa».

Quando sono arrivato sotto casa dei miei genitori ho mollato la bici su un muretto e ho salito di corsa le scale, con la porta d’ingresso del loro appartamento che era già aperta. Mi sono fiondato nella camera in cui mia nonna si era sdraiata per l’ultima volta e ho chiesto a mia madre se poteva lasciarmi un attimo solo con lei. E mia madre mi ha detto di sì, cos’altro poteva fare.

Allora mi sono inginocchiato davanti a lei e gliel’ho chiesto:

«Nonna, sei stata felice? Ti abbiamo fatta felice come tu hai fatto felici noi?»

Ma non sono riuscito a sentirla rispondermi, si vede che non ho pedalato abbastanza in fretta, perché mentre le dicevo tutto questo mia nonna era già morta.

Allora le ho accarezzato la fronte, era fresca e rugosa; le ho sorriso, e mi sono crogiolato nell’idea che quel sorriso leggero che anche lei aveva impresso sul volto lo avesse conservato per rivolgerlo a me quando fossi arrivato, anche se tardi. E che magari fosse proprio quel sorriso la risposta alla mia domanda, lasciata lì ad asciugarsi come la pittura sui muri, mentre lei era già da un’altra parte, a farsi un ultimo giro magari nel quartiere di San Giovanni dove aveva cresciuto i propri figli durante i loro primi anni di vita.

***

Per quel che riguarda la famiglia di mio padre, ho sempre avuto l’impressione che possedesse un’impronta differente rispetto a quella dei miei nonni materni, anche se non sono in grado di giustificare nel dettaglio una sensazione del genere. Probabilmente, la ragione principale di questo stato di indeterminatezza sta nel fatto che i miei nonni paterni non li ho mai conosciuti.

Per me, per quanto mi faccia male doverlo ammettere, mio nonno Emilio e mia nonna Rosa sono due fotografie su una lapide al cimitero, ed una dedica ai loro tre figli vergata a mano su una confezione di legno del gioco della Dama, con cui mi divertivo io stesso quando ero bambino e che adesso non riesco più a trovare.

E questa cosa di non essere riuscito ad indagare a fondo, di non avere mai scoperto chi fossero realmente i miei nonni se non grazie agli scarni dettagli che mio padre, per sua natura riservato, è stato in grado di fornirmi, ha sempre esercitato un peso su di me. Un limite unito ad un senso di colpa che non riesco a scrollarmi di dosso, che mi impedisce di capire fino in fondo chi sono io, da dove provengo, io che sono sempre stato abituato a raffrontarmi con il ramo materno della famiglia e che ho sempre vissuto questa condizione come la normalità, percependo invece dentro di me che qualche cosa mancasse.

In tutte quelle cose che non so è come se si nascondesse anche la chiave che apre tutta una serie di porte, affacciate su un corridoio flebilmente illuminato, porte che non riesco ad aprire per quanto mi sforzi.

Da quello che riesco ad intuire, nella famiglia di mio padre i ruoli erano invertiti rispetto alla famiglia di mia madre.

Mio nonno paterno, Emilio, mi viene descritto come una pasta d’uomo. Era uno che con le mani ci sapeva fare; mio padre ha ereditato questa qualità da lui, ma non si può certo dire che io l’abbia fatto da mio padre. Era un bravo elettricista e sapeva all’occorrenza anche tirare su dei muri, ma in generale era figlio di un periodo in cui una persona non esercitava una professione unica, a meno di possedere un negozio o un’impresa, e mio nonno non ce l’aveva.

Era, ad esempio, un fine modellista. Un altro dei ricordi che caratterizzano la mia infanzia è la presenza di un modellino in scala di un Leudo, che dalle mie parti è il nome che viene dato a vecchie imbarcazioni in legno tipiche della nostra zona, usate per trasportare merci, con un albero verticale obliquo attraversato da uno orizzontale, a disegnare una sorta di croce pendente.

Quel modellino riccamente rifinito, con tanto di nasse e vele, lo rivedo posato in diversi punti della mia casa di bambino. Perché a mia madre è sempre piaciuto spostare le cose, cambiare arredamento, non rimanere mai nello stesso immobile ambiente. Ma nonostante i cambiamenti quel modellino è sempre stata una presenza d’ornamento costante, e lo è tutt’ora nella casa in cui i miei genitori abitano adesso.

Emilio è morto all’età di sessant’anni per una malattia renale, quando mio padre ne aveva ventiquattro. Lo ha seguito l’anno successivo mia nonna Rosa, all’età di cinquantatré anni, morta cieca per le complicanze di un diabete trascurato.

Rosa era di base una donna buona, cuoca sopraffina e altrettanto abile sarta, ma al contrario del marito estremamente severa, ed i pochi aspetti che conosco di lei vertono tutti su questo suo lato del carattere.

Era una donna che quando voleva che le cose venissero fatte in un certo modo, così dovevano essere fatte. Punto.

Molte volte ho ascoltato il racconto di un episodio che più di tutti descrive come era fatta mia nonna. 

Serie: Il tempo che serve alle promesse


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. ” una dedica ai loro tre figli vergata a mano su una confezione di legno del gioco della Dama,”
    quest’immagine è meravigliosa. sei riuscito a rendere in una frase un mondo intero.

  2. È inutile dire che sono felice di trovare certe parole del nostro dialetto, mi scaldano il cuore. Ed è strano come, nonostante condividi ricordi personali (presumo) e le nostre generazioni siano diverse, mi sia ritrovata moltissimo in molte delle tue frasi. Per questo, ribadisco il grazie.