Imprevisti

Serie: I Cavalieri del Caos


Diana era davvero bella la prima volta che Romano la vide. Un metro e sessanta, dieci decimi su entrambi gli occhi,bacino largo e seno prosperoso, cresciuta in un orfanotrofio gestito da suore e con un forte desiderio di famiglia e figli. Al tempo aveva diciassette anni e stava compilando un test che, in quarantacinque domande, avrebbe indagato la sua dote più nascosta: il Q.I. 

Se fosse andato bene le sarebbe stata assegnata una borsa di studio spendibile in dieci collegi attentamente selezionati dal Consiglio.

Romano la osservava seduto dall’altra parte della scrivania, al suo fianco la madre superiora dell’orfanotrofio, dietro un pesante crocifisso dominava la stanza e, secondo la chiesa, il mondo intero.

Una volta finito, il test venne messo in una busta bianca.

Solo il numero riportato in alto a destra del test stesso avrebbe consentito a Romano, tramite apposite tabelle, di ricondurre i voti ai nomi. Mentre per chi li avrebbe corretti essi sarebbero stati null’altro che numeri senza significato.

“L’imparzialità non è umana. Questa è la ragione di un simile metodo” pensò.

Il test fu eccellente: molto intelligente, ma abbastanza provata dalla vita e dall’educazione religiosa da esser facilmente plagiabile.

Romano riaprì gli occhi, era nuovamente seduto sulla comoda poltrona, il sole, incontrando gli infissi, continuava a disegnare una croce poco distante dai suoi piedi. Gli anni che lo separavano da quei ricordi gli ricaddero tutto d’un tratto sulle spalle. Quella giovane e promettente ragazza era divenuta la moglie di suo figlio e le aveva donato la sua adorata nipotina Chiara. Si pettinò nuovamente la barba, sulle gambe la busta che gli era stata consegnata dal Consiglio faceva bella mostra del quattro mal scritto sul retro. L’orologio segnava le 18:35.

“Perché non sono ancora tornati?”


I palazzi circondavano il parchetto formando un’alta barriera che bloccava il rumore del traffico all’esterno. Unico modo per penetrarvi era quello di passare attraverso il colonnato che, come palafitte, reggeva l’intero complesso. Al centro, tra le altalene, la buca di sabbia e il castello con tanto di scivolo; Chiara giocava con Nadia, sua coetanea e compagna di scuola. Il duello era a “ce l’hai”. Diana la osservava con un leggero sorriso dipinto in faccia, amava vedere sua figlia giocare a quel gioco, in esso poteva vedere tutto l’istinto predatorio che aveva ereditato dal padre.

Era proprio contenta.

“Tra poco verrà buio, non ti conviene tornare a casa?” Ilhaam aveva conosciuto Diana un paio d’anni prima aspettando all’uscita di scuola sua figlia Nadia. Non avevano legato immediatamente e a guardarla la prima volta non avrebbe mai detto che ciò potesse mai avvenire. Diana si presentava come quel tipo di donna che Ilhaam catalogava sotto il tipo “Scopa nel culo”, tipo di persona che non le andava praticamente mai a genio. Oltre a questo, fra loro si ponevano, imperiosi e violenti, il crocifisso di cui Diana faceva bella mostra al collo e lo hijad che lei portava avvolto attorno al capo. Tutto questo ci mise circa sei mesi e un’intensa amicizia tra le due figlie per passare in secondo piano.

“Sì, ancora un attimo e andiamo”

Ilhaam lanciò uno sguardo storto a Diana.

“Sicura che vada tutto bene? É un po’ che ti comporti in maniera strana”

Diana scosse la testa.

“Scusa, è solo un periodo no, ma per fortuna sta per finire”

Si alzò e chiamò Chiara. La bambina salutò Nadia e le promise che si sarebbero viste l’indomani, poi corse tra le braccia di sua madre, insieme salutarono Ilhaam.

Fu solo quando i lampioni si accesero che Ilhaam e Nadia lasciarono il parchetto. Per loro la strada per casa non era poi così lunga, in realtà potevano vedere già la finestra della cucina da lì, là in alto dispersa tra l’anonimato delle finestre tutte uguali.



Quando si chiusero le porte la metro era colma.

Diana teneva in braccio Chiara in modo che non venisse schiacciata dai corpi ondeggianti dei passeggeri. L’aria era densa e puzzolente, il palo a cui si reggeva era reso viscido dai suoi utilizzatori precedenti, un leggero chiacchiericcio riempiva i pochi spazi vuoti del vagone mentre buona parte dei passeggeri teneva gli occhi puntati nel vuoto o sullo smartphone.

“Mamma…” Chiara era strettamente abbracciata a sua madre e con il mento appoggiato alla sua spalla le parlava direttamente nell’orecchio.

“Sì tesoro?”

“Oggi c’è il nonno a cena?”

“Non credo, aveva da fare oggi”

Chiara stette un attimo zitta.

“A me piace quando c’è il nonno. Mi coccola e siamo tutti più felici”

“Perché di solito non lo siamo?”

“No, papà è arrabbiato”

“Chiara, papà non è arrabbiato ha solo problemi con il lavoro”

“Ma ti tratta male, non è giusto che il papà tratti male la mamma”

Diana strinse forte sua figlia.

“Non ti preoccupare, non mi tratta male, è solo un po’ stressato e io l’ho fatto un po’ arrabbiare, ma vedrai che con la sorpresa che gli farò questa sera faremo pace”

Chiara si staccò dalla spalla e, con un sorriso furbetto in faccia, guardo dritta negli occhi sua madre.

“Ma è una sorpresa anche per me?”

Diana sorrise e fece un grosso giro con gli occhi.

“Direi di sì”

“Allora ho capito cos’è mamma” dicendolo Chiara le si gettò nuovamente al collo e la strinse con tutta la forza che i suoi freschi nove anni le consentivano.

Le porte si aprirono nuovamente e salì più gente di quanta ne scese.

Le ginocchia gli premevano sul petto tanto forte da fargli chiedere quanto le sue costole avrebbero retto ancora. Il sottile tessuto della camicia gli faceva sentire ogni asperità e grumo del pavimento malfatto. Gli occhi di quella che doveva essere la sua preda brillavano alla luce della lampada da scrivania, mentre dalla sua bocca una pioggia di saliva lo innaffiava regolarmente spinta dagli ansimi dovuti allo sforzo.

“Come diavolo ha fatto quella troia a svegliarsi?”

Marco la sentì stringergli ancor più forte le mani attorno al collo.

“È così che muoio?”

Tentò di colpirla più volte, ma lei si protesse bene e i colpi risultarono solo in sonore pacche sulle spalle.

Era inutile.

Le sue mani iniziarono a tastare il terreno nervosamente in cerca di qualcosa, qualunque cosa.

La vista iniziò ad annebbiarsi.

Sentì qualcosa nella sua mano.

Un sasso?

Il braccio partì quasi senza che vi pensasse. Colpì quella troia direttamente alla tempia e la sbalzò via a quasi un metro da lui. Subito si rimise in piedi e le saltò addosso. Lei gli ringhiò qualcosa facendo brillare i denti alla luce della lampada. Con un colpo glieli ruppe. Con il seguente le ruppe lo zigomo, poi l’arcata sopraciliare, poi qualcos’altro e continuò sino a mischiare ogni cosa rotta con qualcos’altro di maciullato.

“Maledetta troia, potevi non soffrire”



Marco tornò a casa all’ora in cui di solito andava a dormire. Il suo appartamento era al quinto piano di un complesso residenziale nella periferia di Milano, orrendo da fuori ma ordinato e accogliente dentro. Aprendo la porta si ritrovò direttamente nell’open space sala/cucina, suo padre era seduto sulla poltrona davanti la finestra, Diana era davanti a lui su una sedia presa in cucina.

Marco ebbe la forte sensazione di aver interrotto qualcosa.

“Dov’è Chiara?” chiese voltandosi verso l’attaccapanni per togliersi giubbotto e cappello.

“A letto, amor…”

Diana non finì la frase, suo marito si era appena voltato, aveva la camicia imbrattata di sangue, gli occhiali con una lente rotta e la faccia con troppe zone viola. Si alzò di scatto e corse a piccoli passi veloci verso di lui. Gli prese le mani, anche queste erano rovinate e con sangue incrostato in vari punti. Sollevò lo sguardo sino ad incrociare quello di Marco. L’occhio sinistro era un mosaico delineato dai capillari rotti.

Diana impallidì.

“Cosa ti è successo?” la voce di Romano risuonò più interrogativa che preoccupata, mentre Diana osservava  impietrita il volto tumefatto di suo marito.

“Nulla papà, solo una brutta giornata al lavoro. Ora vado a lavarmi, magari domani mi prenderò una pausa, ma non è nulla”

Liberò le mani dalla presa di sua moglie, posò gli occhiali su un piccolo tavolino al fianco della porta e si tolse la camicia.

“Buttala!” disse a Diana, poi si diresse verso il bagno zoppicando. Quando fu sulla porta che divideva l’open space dal disimpegno che portava alle camere suo padre lo chiamò.

Ora Romano era in piedi e fissava suo figlio dritto negli occhi.

“Dovresti portare più rispetto a tua moglie, soprattutto adesso”

Marco guardò suo padre, poi sua moglie, poi nuovamente suo padre.

“Diglielo” disse Romano sottolineando l’invito con un gesto della mano che sembrava voler spingere fuori le parole da Diana.

“Amore…” gli occhi le si bagnarono “Sono incinta”

Serie: I Cavalieri del Caos


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Discussioni

  1. Serie molto interessante, non scontata ( me la salvo dopo il 15 per pubblicizzarla anche nel mio blog) in quanto crea un quadro di non Emozioni continue, in un mosaico che si compone poco a poco.Un ‘ idea originale.

  2. Un episodio molto particolare. Ho trovato un po’ confusionario l’inizio, il passare dai ricordi del padre per passare poi al presente e ai pensieri della nuora con la sua amica ma nel complesso la storia sta prendendo una piega interessante. Se posso darti un piccolo consiglio, trova un modo per delineare una scena dall’altra magari con un filo conduttore. Al prossimo capitolo!

    1. Grazie, in realtà ho tentato di dare l’aggancio al ricordo alla fine dell’episodio precedente -Un sorriso gli comparve in volto, ancora ricordava quel giorno, il giorno in cui il quattro divenne più di un numero.-
      Mi rendo conto che è passato circa un mese e potrebbe andare perso nella memoria del lettore.
      Cosa intendi per filo conduttore?

    2. Si in effetti sbaglio mio che non sono andata a rileggere la fine dell’altro episodio, ma ad esempio qui: […] Le porte si aprirono nuovamente e salì più gente di quanta ne scese.

      Le ginocchia gli premevano sul petto tanto forte da fargli chiedere quanto le sue costole avrebbero retto ancora.[…]

      Non si capisce immediatamente chi sta parlando, magari trovare una frase per far capire al lettore che si sta cambiando personaggio non so se sono riuscita a spiegarmi