In gabbia 

Serie: Morirò d'estate


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ● Mia madre, rimase fuori la porta del bagno e quando uscii, con gli occhi pieni di lacrime e la voce tremante mi disse: «Preferisco un figlio lontano ma vivo, che vicino ma morto!» e mi abbracciò, come forse non aveva mai fatto. L'indomani partii all'alba. ●

Alle 8:08 ero già arrivato nella mia isoletta, ormai diventata casa.

Guardando l’orario, riflettei sul numero otto, spesso ricorrente nella mia vita, simbolo di equilibrio cosmico nella cosmologia cinese e sorrisi amaramente pensando alla mia esistenza disordinata e incerta.

In quel momento, presi coscienza di quanto la mia vita fosse strana e incomprensibile: avevo fatto quasi un’ora di viaggio e già mi sentivo più leggero, libero dalle catene dello sconforto e della disperazione che mi avevano travolto la sera prima, quando il vomito mi aveva svuotato di ogni energia, come se avesse espulso, insieme ai veleni del corpo, anche i pesi dell’anima.

E mi chiesi se la vera guarigione non fosse altro che un processo di lenta ricomposizione dei pezzi di se stessi, dopo che la vita li ha frantumati e dispersi.

«Che pensieri profondi faccio ultimamente!» pensai, ridendo tra me e me.

Sarei dovuto rientrare in servizio per le 14:00, quindi sapendo che nel pomeriggio non avrei potuto farlo, decisi di anticipare la mia visita in chiesa.

Quando arrivai all’entrata, mi soffermai qualche secondo, nel grande cortile esterno, e mi accorsi, per la prima volta, che sulla sinistra c’era la statua di una Madonna in gabbia.

«Una statua in gabbia? Che strana idea!» Mi chiesi incuriosito.

Pensai cosa potesse significare, che cosa potesse simboleggiare una Madonna alle sbarre, e mi vennero in mente tutte quelle volte che mi ero sentito intrappolato nella mia stessa vita.

Quando entrai in chiesa, si stava svolgendo la messa.

I primi banchi erano occupati da signore anziane, più in fondo c’erano alcune coppie sparse, mentre una suora solitaria sedeva verso le postazioni centrali: vestita di bianco, con grandi occhi azzurri e una croce d’argento sul petto.

Sull’altare, un prete di mezza età, dall’aspetto burbero ma con uno sguardo paterno, con capelli scuri stempiati e orecchie a sventola, leggeva, credo, un passo della Bibbia.

«Sembra Gargamella dei Puffi!» pensai, sbuffando a ridere davanti a tutti.

Provai a trattenermi abbassando lo sguardo mentre una delle signore anziane mi lanciava un’occhiata di disapprovazione, come se avesse intuito i miei pensieri.

Imbarazzato cercai di ricompormi, ma l’immagine di Gargamella continuava a frullarmi in testa.

Mi sentii un po’ stupido, eppure trovai un’insolita consolazione nell’atmosfera serena della chiesa. 

L’odore dell’incenso e il suono delle preghiere mi avvolgevano come un abbraccio caldo, facendomi sentire come se, quel Cristo Risorto fosse sceso veramente dalla croce per abbracciare ciascuno di noi, uno per uno.

Cercai di concentrarmi sulle parole del prete, ma ero fortemente distratto dal chiacchericcio di una coppietta seduta alla mia destra, e da quella suorina che per tutto il tempo della messa rimase inginocchiata e con le mani giunte, con un’espressione di profonda serenità sul viso, come fosse ipnotizzata dalle parole del prete.

Quando uscii dalla chiesa, mi soffermai di nuovo a guardare la statua della Madonna in gabbia.

Mi chiesi il significato di quelle sbarre di ferro, ma non riuscivo a trovarne il senso.

«Bella, vero?» disse improvvisamente qualcuno alle mie spalle.

Mi girai istintivamente: era la suora. Da vicino sembrava ancora più magra, i suoi occhi ancora più grandi, e la sua voce era fievole come un sussurro.

«Sì, è molto bella!» risposi.

«Ma cosa significa la gabbia?» chiesi, guardando la statua con rinnovato interesse.

«Niente! La gabbia non significa niente, è solo una protezione dai vandali» mi rispose con un sorriso divertito.

Era logico, non ci avevo pensato.

«Comunque io sono suor Lucia, e se ti va, potremmo parlare meglio di questa Madonnina e di suo figlio Gesù!» mi disse.

«Non credo in nessun dio e dubito di poter cambiare idea!» risposi, rigirandomi per guardare la statua ed evitare accuratamente il suo sguardo. 

«Bene! Sei sulla buona strada» rispose.

«Non esiste credente che non coltivi il dubbio nel suo cuore!» continuò. 

Rimasi a fissare la statua senza darle alcuna risposta e lei si allontanò silenziosamente.

La vidi uscire dai cancelli della chiesa con un’andatura fiera e dritta, come chi cammina con una missione precisa.

Mi colpì il contrasto tra la sua apparenza fragile e la sua determinazione, e mi immaginai che dentro di lei ci fosse un ninja, armato di rosario e preghiere, pronto a combattere contro il male e a salvare il mondo. 

«Gargamella il buono e la piccola ninja alla difesa di Gesù» pensai, e una sonora risata mi sfuggì dalle labbra.

Tornai a casa, mi feci una doccia veloce e poi mi buttai sul mio letto a castello continuando a pensare alle parole della suorina.

Non pranzai per paura di vomitare di nuovo e trascorsi tutte le ore al lavoro con una sensazione di straniamento, come se qualcosa dentro di me fosse cambiato.

Mi sentivo un po’ come la suora: un ninja, deciso a combattere tutti i mostri che mi tenevano incatenato, in una gabbia fatta di silenzio e diffidenza.

«Sono in gabbia come la Madonna» pensai. 

«Ma la gabbia può essere anche una protezione, non necessariamente una prigione» mi dissi autoconsolandomi.  

La sera non cenai, ma andai a dormire sazio di una nuova consapevolezza: ingabbiato ma libero.

Serie: Morirò d'estate


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Discussioni

  1. “Mi sentivo un po’ come la suora: un ninja, deciso a combattere tutti i mostri che mi tenevano incatenato, in una gabbia fatta di silenzio e diffidenza.”
    In questo episodio Luca appare più ironico e combattivo. Sta creando una routine che lo tranquillizza.

  2. Questo episodio mi ha fatto rivivere le emozioni della recente visita al duomo di San Romolo, a Fiesole.
    La Madonna del miracolo: una statua lignea così bella e toccante nello sguardo da farmi sciogliere in lacrime. E poi la cappella con il sepolcro rifinito in oro del vescovo Leonardo Salutati, protetto da una grata in ferro. Un’ opera del Rinascimento considerata di gran pregio, bella ma fredda, nei suoi materiali di marmo e oro.
    Lo sguardo di chi osserva fa sempre la differenza, come quello di una suora e di un giovane che si dichiara non credente. La bellezza delle opere d’arte, peró, molto spesso, é motivo di condivisione, per credenti, non credenti e agnostici.

  3. “E mi chiesi se la vera guarigione non fosse altro che un processo di lenta ricomposizione dei pezzi di se stessi, dopo che la vita li ha frantumati e dispersi.”

    Sì, credo anch’io che ogni processo di guarigione comporti una maggiore integrità, piú autenticità ed equilibrio, tra i bisogni del corpo e le necessità della mente, in armonia con lo spirito, o energia eterea che dir si voglia.

  4. Anche questo capitolo mi ha commossa. Ho sentito la leggerezza del ritorno sull’isola, il bisogno di ricomporre i pezzi di sé dopo un dolore, e un’ironia spontanea che si intreccia con la spiritualità. La scena della “Madonna in gabbia” è bellissima e la suora, con la sua dolce determinazione, diventa quasi un riflesso del protagonista. Sei riuscito benissimo a far percepire la contraddizione di cercare la libertà dentro la propria gabbia.

  5. “Pensai cosa potesse significare, che cosa potesse simboleggiare una Madonna alle sbarre, e mi vennero in mente tutte quelle volte che mi ero sentito intrappolato nella mia stessa vita”
    bellissima immagine

  6. Ciao Corrado. Mi sono messo in pari con gli episodi che avevo lasciato indietro e ho poco da dire se non complimenti. Hai un modo delicato di far proseguire la storia del tuo protagonista, disseminando briciole di luce nel grigiore delle sue difficoltà. Bellissimo.

  7. Mi è piaciuto questo “ritorno”: l’8 che ricorre, l’isola che alleggerisce, il corpo che parla prima della testa. La scena in chiesa funziona benissimo: l’umorismo (Gargamella / la “ninja” col rosario) stempera senza svuotare. La “Madonna in gabbia” è un’immagine forte e chiara: protezione o prigione? Fa da filo conduttore fino alla chiusa. E il finale, “ingabbiato ma libero”, è un ossimoro giusto: suona vero, come un passo piccolo ma concreto verso la guarigione.