
IN MEZZO AI VETRI
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
STAGIONE 1
Andrea si fermò, gli occhi fissi sulla data. 1975. Sembrava incredibile che un ragazzo di un’altra epoca potesse aver descritto così bene la sua stessa vita, le sue stesse paure.
Riprese a leggere, sentendosi un intruso in una storia che, inspiegabilmente, gli apparteneva.
27 ottobre 1975
Ludovico, oggi a scuola è stata una vera schifezza. Se potessi, eviterei di andarci. Mi sforzo di dire le cose giuste, ridere al momento giusto, avere sempre una parte pronta. Ma è come recitare in una commedia che non ho scelto. Ho paura che, se smettessi di fingere, smetterebbero anche di vedermi.
Di solito sto zitto, non per timidezza: ascolto. Quando però apro bocca, si voltano tutti. Anche i professori. Non so se è rispetto o curiosità. A volte mi fa bene, altre pesa come un cappotto bagnato: come se dovessi dire ogni volta qualcosa che valga il loro voltarsi.
Andrea si fermò.
Fin lì era roba sua, parola per parola. Dopo, no.
Lui quando parlava non si voltava nessuno.
Se voleva esistere doveva far rumore: alzare la voce, interrompere, fare il pagliaccio. Ogni giorno la stessa scenetta—battutacce, lanci di gomme, imitazioni sceme del prof—altrimenti spariva.
Sulle cose che contavano — gita, libri, Lazza o Fedez — il suo nome non veniva mai fuori. O peggio, lo tiravano in mezzo per ridere della risposta.
Tornò alla pagina.
Stamattina la testa scoppiava. Non è influenza: è che non mi andava di parlare con nessuno. In classe ho fatto finta di ascoltare, ma dentro c’era solo un ronzio fisso, come quando la radio fruscia e giri la manopola a vuoto. Manco ‘Radio Montecarlo’ fuori frequenza.
Ho sorriso due volte per non farmi dire “che hai?”. Non ho voglia di spiegare. Neanche saprei cosa. Pure la risata mi è venuta storta.
Andrea si passò una mano sul viso.
Quella parte era sua, copiata e incollata nella carne: stare in mezzo come dietro un vetro.
Con la differenza che Marco, a star zitto, lo vedevano lo stesso.
Lui no: la sua presenza andava gridata ogni volta, come un allarme che nessuno ascolta più.
Per un attimo pensò di chiudere il diario e mollarlo nel cestino.
Sembrava che quel ragazzo del ’75 lo spiassi da una fessura.
Non lo fece.
Sfogliò ancora.
29 ottobre 1975 — pomeriggio
Caro Ludovico,
la campanella oggi sembrava un trapano. In corridoio odore di lana bagnata e gesso, la bidella ha messo “Centocittà” alla radio in portineria e non si sentiva altro. Roba che nemmeno mia madre quando stira.
In terza ora hanno fatto “dibattito libero” (che poi vuol dire: chi ha voce la usi, gli altri ascoltino). Ho tenuto la bocca chiusa finché ho potuto. Poi ho detto una cosa semplice — che a noi, più che le regole, mancano adulti non bugiardi — e si sono voltati tutti. Anche il prof di storia e filosofia. Ha fatto quel mezzo sorriso da uno che finge di non essere d’accordo. È durato cinque minuti. In ricreazione, zero. Come se la mia voce restasse appesa alla lavagna e fuori non avesse più corpo.
Andrea strinse le labbra. Quando parlava lui, fuori restava solo casino. La parte seria gli moriva in gola.
Mi sono seduto in fondo come sempre. Ho contato tre risate a battute che non ho capito; ho riso anch’io alla seconda, per non dover spiegare perché non ridevo alla prima. A volte credo di essere un megafono senza filo. Anzi, peggio: uno di quei giocattoli che, quando ci soffi dentro, fanno la sirena… ma solo se soffi fortissimo e nel verso giusto.
“Megafono senza filo.” Gli piacque e lo odiò insieme. Avrebbe voluto rubarla e tatuarsela dietro la nuca.
Non è la prima volta che capisco quanto sia inutile farsi vedere quando sei nei guai o hai i tuoi cazzi. Una volta sono caduto con la bici. Non la scivolata stupida: di quelle che ti fanno vedere il cielo, poi l’asfalto, poi niente. Era la discesa che porta giù da via Monte Ceneri: ho grattugiato il lato sinistro della faccia dal mento alla tempia. Quando mi sono ripreso dal colpo alla testa ero sicuro che sarei rimasto sfigurato. La mia prof di storia, la Fossati, quando mi ha visto ha detto soltanto: “Ti sta bene, così la prossima volta impari”. Spero che, quando morirà, si ritrovi in una dimensione fatta solo di disperazione. Non so se esiste, ma mi piace pensarlo.
Andrea sorrise di traverso. — In un mondo giusto la Fossati la investe la stessa bici. —
Poi tornò serio: il peggio non era la caduta, ma quel “ti sta bene” che ti resta addosso come una cicatrice invisibile.
Oggi un compagno mi ha chiesto una sigaretta solo per non chiedermi come sto. Gliel’ho data. Ha fatto un tiro e ha detto “grazie” come se avesse vinto la lotteria.
Ho visto la cenere pendere come una frase sospesa.
Mi sto abituando a tenere ferme le mani e a lasciare correre la testa. Ma la testa corre dove vuole lei.
Andrea fece scorrere il pollice sul bordo di una pagina. Quante volte aveva regalato canne pur di non regalare parole. L’empatia, per la prima volta, gli sembrava un peso insostenibile. Chiuse gli occhi e si costrinse a non pensare, a non vedere. Ma la voce di Marco era entrata, e non voleva più andarsene.
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
Si dice che l’adolescenza sia un’età bella e spensierata. Forse un ragazzo o una ragazza su mille lo è, ma tutti gli altri hanno il solito dilemma che li fa soffrire: essere se stessi o essere come la società ci vuole? È lì che inizia l’infelicità. Se ripenso agli anni ’70, chissà perché, li vedo in bianco e nero. Certo, io ero una persona più sana e carina, ma insicura e terrorizzata dal giudizio altrui. Ho letto tutto d’un fiato i capitoli e ho fatto un solo lungo commento. Bravissimo, Lino.
Ciao Concetta,
grazie di cuore per il tuo commento. Hai ragione, l’adolescenza spesso non è quella stagione spensierata che si racconta: il conflitto tra il voler essere sé stessi e la paura del giudizio lascia segni profondi. Sapere che hai letto tutto d’un fiato e ti sei lasciato andare a una riflessione così intensa è per me un dono prezioso.
Ciao Lino, il diario sembra una finestra aperta nell’anima di entrambi. Davvero coinvolgente.
Beh, caro Lino, che dire? In quel diario scritto come sfogo nei confronti dell’indifferenza c’è un regalo che mi emoziona e che nessuno mi potrà mai portare via. Grazie.
“Non la scivolata stupida: di quelle che ti fanno vedere il cielo, poi l’asfalto, poi niente.”
Sì, è proprio così che accade. 🙂
Ciao Lino, mi pare prenda corpo, in questo episodio, l’essenza di questa figura misteriosa. Mi è piaciuto come hai rappresentato la lettura del diario, quasi fosse un dialogo. Ho immaginato una via di mezzo tra un incontro reale, ancorché attraverso il ritrovamento del diario, e un personaggio immaginario, necessario e strumentale all’urgenza di condivire il disagio del protagonista. Grazie molte per la lettura
“L’empatia, per la prima volta, gli sembrava un peso insostenibile.”
Credo che per poter scrivere racconti così, come se fossero realmente i due ragazzi a svelare i loro stati d’animo, di empatia ne serva davvero tanta. E a ogni nuovo episodio ho l’mpressione che la tua sia davvero straordinaria.