Interno 1. Esterno 1.

Osservò il suo riflesso nello specchio sudicio. Una crepa divideva obliquamente il vetro, facendo sembrare il suo volto un dipinto cubista. Quella pelle abbronzata solcata da poche rughe, quel grigiastro di barba e capelli: era solo un vecchio relitto, ormai. Come quelle navi che riposano in fondo al mare, rivestite da alghe gelatinose. Si sciacquò il viso con acqua fredda e lo asciugò velocemente con la manica del maglione. Tutti lo avevano sempre chiamato Albatross, o almeno così gli sembrava: a momenti non ricordava quale fosse il suo vero nome, di certo non si sarebbe voltato se qualcuno lo avesse gridato alle sue spalle. Ma aveva la rassicurante sensazione che non sarebbe capitato. Sentì odore di bruciato: veniva dalla cucina. Raggiunse il fornello a grandi passi.

«Dannazione.» mormorò. Aveva di nuovo lasciato sul fuoco il bollitore. Senza acqua, però. Avvolse la mano in uno straccio, afferrò il bollitore e lo gettò nel lavello, spegnendo il fuoco con l’altra mano. Anche per oggi niente tè.

«Sempre il solito distratto. Stai proprio invecchiando male.»

Si voltò. «Vattene.» disse rivolto alla sedia di legno accanto al tavolo.

«Eppure non eri così scorbutico, una volta. Vivere da solo ti fa male… Dovresti prenderti un cane.»

Mela lo stava osservando con quello sguardo saccente che l’aveva sempre caratterizzata. Sempre, fino a quando era morta, dieci anni prima. Lui, da quel momento, aveva continuato a vederla almeno una volta al giorno, spesso su quella sedia impagliata. Bofonchiò mentre si rivolgeva ai cassetti lì vicino, alla ricerca dei biscotti.

«Sono nel mobiletto sopra il lavello.» intervenne Mela.

Albatross aprì gli sportelli e frugò tra le bustine di tè e i vasetti di senape: adorava la senape. Finalmente raggiunse con la mano la scatola di latta dei biscotti.

«Questa casa sta iniziando a somigliare a un relitto abbandonato.» cominciò Mela guardandosi attorno.

«Pure tu con questo relitto…» biascicò Albatross con la bocca piena di biscotti.

«Come dici?»

«Lascia perdere.»

«Si vede che manca una presenza femminile, qui. È tutto sporco e polveroso.»

«Finiscila con questa storia della presenza femminile. E poi, ti ricordo che sei tu la presenza.» Albatross si ripulì la bocca dalle briciole col dorso della mano.

«Come sei noioso. Almeno occupati della finestra!»

«Quale finestra?»

Mela indicò la parete di fronte ad Albatross, dove la finestra era rimasta aperta da chissà quanti giorni. Lui sbirciò fuori: una delle persiane penzolava miseramente, la vernice scrostata in più punti. Rivolse uno sguardo interrogativo a Mela.

«La tempesta di stanotte ha fatto molti danni.» rispose quella.

Solo allora Albatross si accorse della pozza d’acqua che stava calpestando: nottetempo, la pioggia aveva allagato il pavimento. Si recò nello sgabuzzino a recuperare qualcosa per rimediare al danno, e al suo ritorno Mela era scomparsa. Asciugato il pavimento, tornò nel ripostiglio: si infilò gli stivaloni di gomma, in una mano la cassetta degli attrezzi e nell’altra il secchio di vernice. Uscì di casa. Soffiava un vento gelido.

***

Il promontorio non proiettava ombre sulla spiaggia sconfinata, era una giornata nuvolosa. Le onde si infrangevano come frustate sugli scogli. Due figure interrompevano la regolarità dei cordoni di sabbia.

Lei osservava l’acqua scura ritrarsi sul bagnasciuga, la testa bassa e i capelli umidi di salsedine scompigliati dal vento freddo. Mentre i piedi affondavano nella sabbia molle, per un attimo desiderò di sprofondare insieme agli altri milioni di granelli. Nel frattempo, alle sue spalle, lui si era svegliato. Si alzò, e scuotendo via la sabbia dai vestiti e dai capelli le rivolse la parola:

«Dormito bene, chéri?»

Chéri. Lo odiava. Non rispose e fece per allontanarsi, ma ad ogni passo i piedi venivano inghiottiti dalla sabbia e la rallentavano. Lui la raggiunse con un balzo, le bloccò la strada e, prendendole il mento con una mano, con l’altra le spostò i capelli dal viso. Lei si scansò con uno scatto e rivolse lo sguardo torvo all’orizzonte.

«Di nuovo nervosa. Che ti prende stavolta?» sogghignò.

Lei lo osservò cupamente, soppesando i dettagli. I capelli fuori posto, la camicia di cattivo gusto e i pantaloni infeltriti non facevano che renderlo tristemente ridicolo. Un’immagine lontana anni luce da quella che lui probabilmente credeva di essersi costruito negli ultimi tempi.

«Voglio andarmene e chiuderla qui.»

«Non scherzare. Sai bene che non erano questi i patti, chéri.»

«Non chiamarmi chéri!» sbottò lei rivolgendosi verso il promontorio. «Tutto questo non ha alcun senso.» Si sistemò il maglione per impedire all’aria di sferzarle la pelle del collo.

«Dovresti conoscere le conseguenze, se torneremo indietro.»

«Ripartirò da sola. E non ho detto che tornerò indietro.»

«Ti ha dato di volta il cervello? Non puoi prendere l’iniziativa come se niente fosse. Questo non è un gioco, e sai bene che…» cominciò lui, ma lei lo interruppe.

«Lo so. Ma sono stata troppo precipitosa, e stanotte ho capito di aver combinato un guaio. Mi serve tempo per riflettere, e potrò farlo solo dopo essere rimasta da sola.» Parlando, si era diretta verso gli scogli a grandi passi. La sabbia sotto i suoi piedi cominciava a mutare gradualmente in piccoli sassolini.

«Ehi, non c’è spazio per le riflessioni filosofiche in questa faccenda. Pensavo avessimo già messo in chiaro le cose.» lui gesticolava nervoso mentre la seguiva, con il volto arrossato dallo sforzo.

Percorsero convulsamente il sentiero di ciottoli che portava fino alla sommità della scogliera. Qui, il vento era ancor più impetuoso e tormentava instancabilmente i capelli di lei e la giacca di lui.

«Niente giochetti, chéri.» sibilò lui mentre socchiudeva gli occhi per il vento «Vedi di non fare scherzi.» Le afferrò un braccio e serrò la presa digrignando i denti gialli.

«Lasciami!» lei si divincolò e con tutta la forza che poté radunare lo allontanò con una spinta ben assestata nel plesso solare.

Fu allora che accadde. L’uomo barcollò all’indietro e perse l’equilibrio, con la complicità delle sferzate di vento. Precipitò: il suo corpo andò ad abbattersi sullo scoglio più basso, il tonfo mascherato dallo sciabordio delle onde.

Anna soffocò un grido portandosi la mano davanti alla bocca.

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Discussioni

  1. Come preannuncia il titolo, racconti due scene, apparentemente scollegate tra loro. Ma se dovessi ipotizzare una comunanza, credo che in entrambe si vadano a definire due figure che, per motivi diversi, si ritrovano sole. Non c’è una contestualizzazione temporale o geografica, salvo la scogliera sferzata dal vento; credo che senza un seguito restino un po’ troppe cose in sospeso. Grazie per la lettura