Interno 2.

Serie: Albatross


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Di due vite ai margini, di un incontro, di alcuni segreti. NdA: nato su The Incipit, viene qui riproposto in versione rivista e corretta.

«Quanto zucchero?» Albatross teneva il cucchiaino sospeso sopra il barattolo.

«Due, grazie.» Anna sedeva al tavolo nell’angolo, dove l’altro la raggiunse con due tazze fumanti di tè.

«E così lei l’ha spinto. E lui è precipitato.»

«Io l’ho solo allontanato. Non pensavo che…» si massaggiò la fronte con una mano, mentre con l’altra girava ripetutamente il cucchiaino nella tazza.

«Credo che dovremmo toglierlo da lì.» Albatross accennò col capo al pick-up parcheggiato fuori. «Sta per arrivare un altro temporale, e qui i temporali fanno molti danni.»

«Più di quelli che ho già fatto io?»

Albatross sorrise. I due, inconsciamente, avevano stabilito un tacito accordo. La sconosciuta non aveva chiesto un telefono per chiamare i soccorsi o per avvisare dei parenti, non aveva parlato di polizia. Albatross, da parte sua, non aveva fatto domande. Non sapeva chi fosse realmente questa donna o tantomeno chi fosse stato quel cadavere, ma soprattutto cosa ci stessero facendo su una spiaggia così poco frequentata.

«Non è un posto raccomandabile dove passare la notte.» borbottò tra sé e sé.

«Come dice?» chiese Anna sollevando le labbra dalla tazza.

«Niente, niente.»

Certo che si trattava proprio di una strana coppia. La donna gli sembrava un tipo a posto, anzi proprio un tipo elegante: un’eleganza nei modi, nelle movenze e nei tratti, nonostante tutto. Invece l’uomo che giaceva sul retro del pick-up, a un rapido sguardo, gli era parso proprio l’opposto. Non pensava che un uomo con una camicia così di cattivo gusto potesse andarsene in giro con una donna come quella.

Le prime gocce di pioggia dell’imminente tempesta, che presero a picchiettare sui vetri della finestra, li risvegliarono dai loro pensieri. Il tè stava ancora gorgogliando nei loro stomaci quando attraversarono la porta di casa. Non fu facile spostare il corpo, Anna poi, con i suoi movimenti nervosi, non contribuiva affatto a migliorare le cose. La brutta camicia, zuppa di acqua e sangue, non mancò di suscitarle un esile moto di compassione.

«Su, su. Sbrighiamoci. Stia attenta alla porta, su.» la incalzava Albatross.

Tenendolo lei per le gambe e lui per le braccia, riuscirono a portare il corpo in casa.

«Dobbiamo spostarlo in cantina.» disse Albatross.

«Che ha intenzione di fare?»

Ecco il problema: Albatross non aveva la minima idea di quello che stava facendo. Non aveva alcun piano. Quando Mela era ancora viva, e lui di nascosto da lei faceva scorta di bottiglie di whisky, le accumulava giù in cantina, camuffate tra i sacchi di patate. Mela non se n’era mai accorta, o almeno non lo aveva mai dato a vedere. La sera tardi, quando lei era già addormentata, lui scendeva giù e dava qualche sorsetto. Da una decina d’anni ormai non era più necessario nasconderle, e le bottiglie se ne stavano in cucina, sottratte alla clandestinità. Così, tutto ciò che doveva essere occultato a occhi poco discreti, Albatross aveva imparato a metterlo in cantina, e lo stesso decise di fare con il cadavere.

Aperta la porticina che conduceva al piano di sotto, il corpo venne goffamente trasportato giù per le scale scricchiolanti. Lo adagiarono sul pavimento, brancolando nel buio finché Albatross non trovò l’interruttore dell’unica lampadina: era una scena alquanto inconsueta quella che la luce fioca e tremolante avrebbe mostrato agli occhi di un qualsiasi spettatore.

Serie: Albatross


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