La casa

Il contratto d’affitto scade alla fine del mese. Ho trovato un altro appartamento ma sarà disponibile solo a metà del mese prossimo. Un amico si è offerto di ospitarmi. Ha una casa in collina.

“Non ci vado da anni.” mi dice “L’ho ereditata. Temo che sia piuttosto polverosa e non so neanche se c’è luce.”

Arrivo verso sera. Dal cancello il giardino sale verso una casa di pietra scura. Ci sono alberi secolari, aiuole incolte straripanti di cespugli ed erbacce. Ci sono due statue ricoperte di muschio.

La casa è severa, quasi ostile, con le persiane chiuse e cumuli di foglie negli angoli.

Lo sguardo spazia su un panorama di colline senza fine e il lago più in basso.

Si è levato il vento, il cielo è plumbeo e grandi nuvole nere lo attraversano veloci.

Entro in salotto. Mobili di legno scuro in parte coperti da lenzuoli.

Ho aperto una persiana, la pioggia scorre sui vetri, gli alberi si piegano. Il mio sguardo cade su tre gatti rifugiatesi sotto il portico. Ci sono delle ciotole vuote. I gatti mi fissano immobili. Ci penserò domani.

Ho trovato delle candele. Ho una bottiglia di vino e dei biscotti. Domani mi organizzo -penso- sdraiandomi sul divano.

Mi sono addormentato. Cerco di sgranchire la schiena indolenzita. Giornata grigia ma non piove. Esco in giardino. Mi fermo. Quasi lancio un urlo.

C’è un gatto in una pozza di sangue.

“Non toccarlo!”

Mi volto di scatto. Una bambina dall’altra parte del muro che cinge il giardino.

“Non toccarlo.” mi ripete.

Dopo un istante un uomo anziano con la falce sulle spalle sale attraverso il campo e le si avvicina. Sono vestiti entrambi in modo strano, all’antica. Lui a piedi nudi, pantaloni alla caviglia e un gilet nero. La bambina avvolta in uno scialle di lana e con il capo coperto. Forse fanno parte di un gruppo folcloristico, penso, o un coro locale.

L’uomo appoggia la mano sulle spalle della bambina.

“Non dovevi,” dice severo.

“Volevo conoscerlo.” risponde la bambina senza voltarsi.

Il vecchio indica il gatto e mi guarda.

“Ê il figlio dei Marcantoni. Con la sua maledetta fionda.”

“Non posso lasciarlo qui.” dico io rabbrividendo.

L’uomo scrolla le spalle.

“Che ci fa qui?”

“Sono ospite per qualche giorno del signor Sartori.”

“Prima se ne va, meglio è, non è posto per i cristiani questo.”

Non mi arrendo.

“Non faccio rumore e non faccio danni, non credo che vi darò fastidio.”

“Quello cos’è?”

Mi volto sorpreso.

“La mia motocicletta.”

“Strumento del diavolo. Stasera stia in casa e non esca.”

Poi l’uomo si allontana.

La bambina continua a fissarmi.

“Avete una fattoria o siete del villaggio?”

“Villaggio.”

“Perché non posso uscire stasera?”

“C’è la processione.” dice lei correndo via.

Passo la giornata a scrivere e leggere. Dovrei andare a comprare qualcosa da mangiare ma sono stanco. Arrivando qui non ho visto il paese, ma non deve essere lontano. Gli ultimi mesi sono stati molto duri. Mi passo la mano sulla tempia. Un tumore è come un tradimento. Perché io, perché? È benigno, credo, ma dovrò farmi operare. Come al solito, è un problema di soldi. Non ne sento gli effetti, forse ho tempo. Mia moglie avrebbe saputo cosa fare. Lei sapeva sempre cosa fare.

Mi guardo in giro. Quei lenzuoli bianchi sui mobili come fantasmi nel buio. La bottiglia di vino, i segni delle mie scarpe sulla polvere del pavimento. Ragnatele sul soffitto che si muovono all’aria. Sono stanco.

Si può perder così tanto in così breve tempo.

Mi sveglio di soprassalto. Sento voci provenire dall’esterno, rumore di passi e lamenti.

Salgo al piano superiore e cerco di guardare da una persiana socchiusa.

Un corteo di figure nere sta attraversando il giardino. Intravvedo un sacerdote con una croce e dietro fedeli stretti l’uno all’altro. Sono per lo più anziani, hanno vestiti sporchi e laceri, camminano strascicando i piedi, emettendo un lamento, un gemito unisono. Le donne sono velate, gli uomini portano il cappello in mano. Reggono candele che gettano lunghe ombre tremolanti sui muri e sugli alberi.

Il prete si volta verso la casa, come se volesse entrare. Il mormorio si fa più intenso.

Un uomo si ferma, guarda in alto verso di me e lancia un grido. Come se una scossa avesse percorso la piccola folla, uomini e donne spengono le candele, si sbracciano e si mettono a correre verso il cancello gridando.

C’è un odore aspro nell’aria, di vecchia cantina, odore di muffa, di terra.

Mi precipito per le scale incespicando nel buio. Esco correndo e intravvedo ombre incerte scendere per un sentiero. Cerco di raggiungerli.

È buio, i rami degli alberi s’intrecciano sopra la mia testa lasciando brevi sprazzi di cielo. Il terreno è sconnesso.

Di colpo scorgo due figure. Il vecchio e la bambina mi sbarrano il passo. L’uomo tende la falce dinnanzi a sé. Mi sembra di vedere nella notte i muri di alcune case, ma non ci sono finestre illuminate o lampioni.

“Dove pensi di andare?”

“Al villaggio. Quella gente… volevo… volevo capire.”

“Non puoi entrare nel villaggio. Torna indietro e dimentica.” dice il vecchio adagio appoggiando una mano sulle spalle della bambina.

“È colpa di Lucia,” prosegue guardandola “Ha scoperto che ha il potere di mostrare le ombre. Non dovrebbe ma non ne può. È curiosa, vuole fare conoscenze.”

La bambina non ha smesso di guardarmi fisso. Mi sembra che i suoi occhi siano luminosi, che si stiano dilatando.

Il suo sguardo mi penetra la carne e la mente, mi fruga, m’indaga. Occhi profondi eppure luminosi.

“Può venire a casa nostra?” chiede lei senza voltarsi.

“No!”

“Volevo fargli vedere la mia bambola.”

“No!” grida, poi rivolto a me “Vattene. Ora!”

Non riesco a muovermi. È come se la bambina mi controllasse, mi piegasse sulle ginocchia. Un dolore acuto mi prende alla testa. Una fitta così dolorosa da avere un conato di vomito.

Quegli occhi. Tentacoli invisibili che mi soffocano. Mi scotta la pelle, mi si annebbia la vista.

Poi il buio.

Mi sveglio al suono del mio cellulare. Sono sul divano, ma non ricordo di esserci arrivato.

“Allora com’è la casa? Abbastanza vivibile?”

Balbetto qualcosa mentre lui procede senza pausa.

“Ci sono stato una volta sola quando l’avvocato mi ha consegnato le chiavi. Andrebbe ristrutturata, ma cosa me ne faccio? Odio la campagna, preferisco il mare, poi comunque costa meno edificare che riattare.

Ha una storia quella casa, sai? il nucleo centrale risale al seicento. Sembra che fosse una chiesetta dedicata a non so più quale santa. Mi hanno detto che forse dietro la casa c’era il camposanto, ma non ci credo.

“Spiegherebbe la processione,” lo interrompo.

“Quale processione?”

“Ne è passata una attraverso il giardino. Un vecchio mi ha detto che sono gente del villaggio…”

C’è un lungo silenzio dall’altra parte.

“Stai bene?”

“Certo.” rispondo seccato.

“Quel tuo problema, l’hai risolto?”

“Non ancora avuto tempo. Ma cosa stai cercando di dire?”

“Scusa, mi preoccupo. Forse sei stanco…”

“Pensi che me lo sia immaginato?”

“Marco, non ci sono case per venti chilometri. Non esiste un villaggio. O, almeno, non esiste più. Con la costruzione della diga, il villaggio è sotto trenta metri d’acqua. In certe occasioni si vede la punta del campanile in mezzo al lago.”

Abbasso il cellulare. Attraverso la finestra vedo il giardino. Appena oltre il muro c’è la bambina. Mi guarda e sorride. Si porta un dito alla tempia, poi corre via.

“Marco, ci sei?”

“Scusa, mi sono distratto.”

“Stai bene?”

“Adesso sì,” dico io riappendendo “Adesso sì.”

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Bello. Onirico, veloce, l’ho letto tutto d’un fiato, poi sono tornata all’inizio e l’ho letto una seconda volta, lentamente. Hai una buona capacità a rendere i luoghi (la casa in questo caso, la baita di montagna nell’altro racconto), tratteggiandoli con poche e scarne parole.

  2. Ciao Valentino, ho invidiato subito la tua capacita` di scrivere frasi brevi, concise, senza tanti giri di parole, che rende scorrevole la lettura. La fantasia non ti manca. La storia era intrigante, anche se il finale mi ha lasciato qualche dubbio. Aspetto il tuo prossimo racconto.

  3. Ho letto volentieri anche questo tuo secondo racconto. Mi piace lo spunto da cui la storia parte, molto originale, perché pesca da una situazione di difficoltà quotidiana che può essere di chiunque e poi ci si ritrova in un bellissimo racconto tra l’horror e il gotico inglese. Ho apprezzato anche l’idea del protagonista/scrittore, molto alla King o alla story americana. Se posso permettermi, al di là dell’apprezzamento del tuo testo che tengo a sottolineare, non avrei fatto spiegare la storia della casa all’interlocutore, perché c’erano già tutti gli elementi per dare il via alla fantasia del lettore. In ogni caso, ancora complimenti per l’idea e lo stile.