
La casa nel bosco
Le foglie frusciano piano. Il vento scuote i rami. Tiro su il bavero della giacca.
La casa è lì, tra gli alberi. Piccola, in legno scuro, con il tetto spiovente e il camino di mattoni. Un odore di muschio e terra bagnata sale dal suolo. Controllo il foglio nella tasca. L’indirizzo è giusto.
Busso. Nessuna risposta. La porta si apre da sola.
Dentro è buio. L’aria è ferma. L’odore di muffa mi riempie le narici. Avanzo. Il legno scricchiola sotto i miei passi.
Mobili vecchi: un tavolo, quattro sedie. Una stufa di ghisa arrugginita. Un divano con la stoffa strappata.
E poi il quadro. Appeso al muro, sopra il camino. Una donna con un vestito lungo, scuro. Mani bianche, lunghe. Occhi neri. Mi fissa.
Mi avvicino. È coperto di polvere. Passo le dita sulla cornice. Una scheggia di legno si infila nel polpastrello.
Porto il dito alla bocca.
Un rumore.
Mi volto. Nulla. Solo il tavolo, le sedie, il divano.
Ma il quadro è cambiato.
La donna ha sollevato una mano.
Mi blocco. Guardo meglio. Forse mi sbaglio. Forse la luce è cambiata.
No.
Ora ha la mano sul petto. Come per chiamare.
Mi allontano. Un passo, due. Il pavimento geme.
Un altro rumore.
Dietro di me.
Mi volto di scatto.
Una sedia è stata spostata.
Il quadro è ancora lì. Ma la donna non c’è più.
La tela è vuota.
Un brivido mi scivola lungo la schiena. Guardo la stanza. Ogni angolo è pieno d’ombra.
Poi, dietro di me, qualcosa si muove.
Un soffio d’aria.
Un fruscio.
Un sussurro.
Sento dita fredde sfiorarmi il collo.
Urlo.
Mi giro di scatto, ma non c’è nessuno. Solo il vuoto, il camino spento, la stufa arrugginita.
Il quadro è tornato com’era prima.
La donna al suo posto. Mani sul grembo. Occhi fissi.
Tremo. Devo andarmene.
Mi muovo verso la porta. Ma qualcosa è cambiato.
Il pavimento sembra più lungo. La stanza più grande.
Ero sicura di aver lasciato la porta aperta.
Ora è chiusa.
Provo la maniglia. Non si muove.
Il cuore mi martella nel petto. Cerco una finestra. Non ci sono finestre.
Mi volto.
Le sedie sono a terra. Il tavolo rovesciato. Il divano squarciato.
Il quadro non c’è più.
Un suono, basso, raschiante, dietro di me.
Un respiro.
Stringo i pugni. Non voglio girarmi. Non devo.
Il respiro si fa più vicino.
Sento il calore di un fiato sulla nuca.
Poi, la voce.
«Hai toccato la mia casa.»
Fredda. Senza tono. Senza emozione.
Chiudo gli occhi. Inspiro forte.
Quando li riapro, il quadro è davanti a me.
Ma la donna non è più dentro.
È dietro di me.
Sento qualcosa sfiorarmi la spalla. Un tocco leggero, come un ragno che mi cammina sulla pelle.
Il respiro dietro di me si fa più profondo.
Le dita si stringono sulla stoffa della giacca. Mi stanno afferrando.
Il quadro cade a terra con un tonfo sordo. Il vetro si infrange.
Urlo.
Strappo via la mano dalla mia spalla e corro alla porta. Strattono la maniglia con forza. Chiusa. Sempre chiusa.
Dietro di me, passi lenti.
Un sussurro.
«Hai toccato la mia casa.»
Mi volto.
La donna è lì.
Vicino al camino, nel buio.
Il vestito lungo sfiora il pavimento. Le mani bianche sono sollevate, le dita tese.
Gli occhi.
Neri, spalancati, fissi su di me.
La bocca si muove. Non un suono, solo il movimento delle labbra. Come se stesse dicendo qualcosa che non posso sentire.
Un’ombra mi scivola accanto. Mi premo contro la porta. Il respiro corto, il cuore che mi martella nel petto.
La donna avanza. Un passo. Poi un altro.
Non cammina. Scivola.
«Ridammelo.» La voce esce da ogni angolo della stanza.
Cosa? Scuoto la testa, incapace di parlare.
Indica la mia mano.
Guardo il dito. Il sangue è ancora lì, la piccola ferita aperta.
Ho preso qualcosa dalla casa.
La casa lo vuole indietro.
Un vento gelido mi attraversa le ossa. La stanza trema. Il legno scricchiola come se qualcosa di enorme si stesse muovendo nelle pareti.
La sua mano si chiude a pugno.
Urlo. Il petto si stringe in una morsa invisibile.
La casa mi sta inghiottendo.
Mi piego in due. Il respiro strozzato. Il petto stretto in una morsa invisibile.
Le pareti gemono. Il pavimento si piega sotto i miei piedi. Qualcosa si muove nel legno, dentro il legno.
«Ridammelo.»
Le mani della donna si aprono. Le dita si allungano, scheletriche.
Sento un dolore acuto al dito. Guardo.
La scheggia.
Piccola, insanguinata.
La casa la vuole.
Con un gesto disperato, mi graffio il dito, facendo cadere la scheggia a terra.
Silenzio.
Le pareti smettono di tremare.
L’aria torna ferma.
Inspiro a fondo, ansimando. Alzo gli occhi.
La donna non c’è più. La scheggia non c’è più.
Solo il quadro, tornato al suo posto sopra il camino.
Le mani sul grembo. Gli occhi neri, fissi su di me.
Mi avvicino alla porta. Provo la maniglia. Stavolta si apre.
Il vento freddo mi investe il viso. Il bosco è lo stesso. Le foglie si muovono piano.
Esco. Non mi volto.
Cammino fino all’auto. Salgo. Metto in moto.
Solo quando sono sulla strada asfaltata oso guardare nello specchietto.
La casa è sparita.
Solo alberi. Solo nebbia.
Solo il suono del vento tra i rami.
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Claustrofobico, gotico, ansiogeno.
Mi ha tenuto incollato allo schermo.
Ed io sono uno che si distrae assai facilmente.
Davvero bravo!!
Racconto ben riuscito Rocco!!
Complimenti, sono rimasta col fiato sospeso per tutto il tempo!
Certo che sai essere inquietante davvero! La scelta di scrivere con tutti quei punti ha giocato a favore del racconto: mettono ansia.
Grazie a tutti per i commenti e per aver letto.
Hai proposto un classico tema del racconto dell’orrore/gotico (la casa stregata) in una forma originale. Il senso di angoscia c’è tutto, che sia incubo o realtà. La casa nel bosco, “che sana non era”, e la citazione è quasi d’obblico.
Notevole la tecnica di scrittura immersiva, al presente, ricca di suggestioni sensoriali. Un incubo riuscito.
Davvero originale, scritto nella maniera più efficace per creare questo tipo di atmosfera onirica. Frasi interrotte, parole sincopate che scandiscono i cambi di
scena. Belli i colori che hai scelto e che mi hanno aiutata a visualizzare.
Molto bello. Le immagini che cambiano, la donna, il quadro, il.pavimento, la casa, mi hanno ricordato le illusioni ottiche di Escher. Surreale ma vero in modo inquietante. E il tutto per una piccola scheggia. Geniale.
Il “furto” di un microgrammo di materia che riesce a provocare la reazione della casa. Ho interpretato le tue parole come il racconto di un sogno (un incubo). Il simbolismo onirico c’è tutto…
Ciao Rocco.