
LA CENA
Edda soffocò un grido nel tentativo di svincolarsi dalla presa di mio padre che nel frattempo le era piombato addosso, tappandole la bocca.
«Ora basta coi capricci!» ordinò lui mentre venivamo trascinati per le scale.
«Un vero figlio della Nazione deve crescere sano e forte… dovete scendere e mangiare!»
Provai a ribellarmi, ma mi sentii come paralizzato: ero nuovamente in balìa del terrore.
Cercai allora di spiegargli che non erano lucidi, che qualcosa li stava rendendo folli, ma rimediai solo un altro strattone da mia madre.
In cucina, il mezzadro e la moglie ci attendevano seduti, con la solita granitica compostezza.
Accanto a loro, la stufa a legna crepitava minacciosa.
Nello sportello aperto, ceppi neri venivano divorati dalle fiamme, unico lume in quell’oscurità.
Il muro attorno alla canna fumaria era macchiato da una patina marrone che incombeva su di noi come un’enorme falena, sfarfallante al ritmo del fuoco, mentre sulla tavola, già apparecchiata per sei, torreggiava una smisurata montagna di carne macinata, rossa e odorosissima, alta fino al soffitto.
«Finalmente… hhh… vi siete decisi… hhh…» ansimò il Robuschi, quasi asfittico.
Come d’impulso, gli scagliai via il cappello con una manata: l’immagine che per un istante mi si palesò dinnanzi fu capace di farmi dubitare della mia ragione.
Non avrei saputo descriverla – dato che l’uomo recuperò al volo il bolero, schiacciandoselo subito sul capo – ma giurai di aver visto delle fessure ai bordi del suo cranio glabro: una serie di tagli obliqui, allungati e paralleli, appena più in alto delle orecchie, divaricati come bocche spalancate sul rosso di mucose interne.
Non fosse stato per l’irrazionalità di quel pensiero, avrei giurato che quelle erano branchie.
Nessuno, a parte me, sembrò essersi accorto della mostruosità, e anzi mi beccai una sberla da mia madre.
Una volta a tavola, io ed Edda vedemmo i nostri genitori rimpinzarsi come bestie: a mani nude strappavano lembi di carne dal melmoso totem al centro della tavola, sbranandoli come se non toccassero cibo da settimane.
Masticavano convulsamente, a bocca aperta e sguardo basso, fra grugniti bestiali e rutti strozzati.
Fu in quel momento che mi accorsi di aver completamente travisato l’immagine del magma purpureo al centro della stanza: la grossa massa non procedeva dal basso verso l’altro, bensì dall’alto verso il basso, come una stalattite di visceri appiccicata al soffitto.
Un’accozzaglia amorfa di carne ancora VIVA e vibrante, un bozzolo sterile squassato come da spasmi di piacere nel sentirsi lacerato e divorato da quel convivio.
«Che cosa siete?» domandai al Robuschi che se ne stava in disparte con la moglie a contemplare la scena.
Il mezzadro non eluse la domanda, anzi parve non aspettare altro.
«Credo… hhh… sia ora che anche voi… hhh… sappiate», disse fra mille affanni.
«Loro non sono qui per farci del male», continuò la rezdôra.
«Laggiù, nei mari antichi, ogni violenza è bandita», risuonarono entrambi in un lugubre coro.
«Che cosa siete?» ripetei ancora.
«Che cos’è l’Uomo… hhh… vorrai dire. Qual è la Sua funzione?» riprese il Robuschi.
«Noi-siamo-il-Loro-aldilà», cantilenò la vecchia volgendo a me la nera cortina che la celava, «i-nostri-corpi-saranno-i-Loro-sepolcri.»
«“Loro”? Chi sono “Loro”?»
«I popoli dell’Abisso. Ci stanno dando una possibilità… non lo capite!? Presto il tempo degli Uomini finirà: nessuno sopravviverà alle prossime guerre. Loro ce l’hanno mostrato. Ci hanno fatto vedere la fine. La grande esplosione.
Ma abbiamo ancora una speranza: fonderci con Loro per fuggire giù, negli oceani interni…»
«Mangia!» ruggì mio padre.
Il suo viso madido, nell’oscurità, era una patetica maschera d’ossa.
In un impeto di rabbia, l’uomo afferrò la nuca di Edda, seduta accanto a lui, e con l’altra mano le spalmò sulla faccia una manciata di carne.
La bambina strinse la bocca e singhiozzò di paura.
«Lasciala stare!» gli intimai battendo i pugni.
Lui mi fissò inebetito.
Nei suoi occhi vidi nient’altro che follia.
Allora capii che dovevo sbarazzarmi di quel cibo: bisognava distruggere i frutti infernali della Viverna.
«Pazienza.» Sospirò il mezzadro.
«Non possiamo costringervi. Prima o poi… hhh… la fame verrà da sé… hhh… e allora sarete pronti ad accettare l’Eucaristia. Questa notte… hhh… intanto, dormirete divisi…» il Robuschi indicò mia sorella.
«In soffitta!» ordinò. «Un po’ di compagnia non farà male a nostro figlio…»
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“Sogno il giorno in cui usciranno dai flutti e stringeranno negli artigli immensi i resti dell’umanità insignificante, logorata dalle guerre… il giorno in cui le terre sprofonderanno e il fondo oscuro dell’oceano salirà.”
Credo di aver detto tutto. 😼
Lovecraft?
Proprio lui. 😼
🤣 Quell’uomo ci ha colonizzato l’immaginazione. E pensa che l’ho letto anche poco 😅
Forse, fin’ora, l’episodio che ho preferito: quello più crudo e spaventoso, quello più raccapricciante. L’ammasso di carne che scende dal soffitto è un’idea geniale e originalissima. Inoltre l’immagine che hai creato rende molto bene l’idea. I bambini sono sempre più terrorizzati e gli adulti alienati e quasi del tutto mutati. Adesso ci aspetta la soffitta…Non ci voglio pensare, povera piccola. Oppure…Chissà che forse lassù ci sia una speranza. Scritto davvero bene come al solito, come tu ci hai abituati. Oramai per leggerti ci vuole il vocabolario alla mano 🙂
Bravissimo
‘Finora’, naturalmente!!! Bocciata 🙂
Tranquilla! Fuori dalla narrativa possiamo concederci le licenze poetiche 😉
Ciao Cristiana! Grazie mille, come sempre! Purtroppo i due poveri bambini sono capitati nella mia storia più tetra e raccapricciante di sempre. Ma stavolta prometto di non essere troppo spietato con loro 🙂
Ogni paragrafo di questo capitolo è intriso di orrore, dalla violenza del padre alla rivelazione che quelli non sono umani, il tutto costruito con un ottimo vocabolario dell’orrore.
Complimenti, questo era un pezzo davvero forte.
Ciao Nicola! Grazie mille della lettura 🙂 Sì: in questi ultimi tre episodi cercherò di portare tutto all’estremo. Grazie ancora!
E in fondo è quello che cerchiamo noi amanti del genere 😉
Avanti così!
“Nello sportello aperto, ceppi neri venivano divorati dalle fiamme, unico lume in quell’oscurità.”
Molto evocativa… bravo!
NOTA: EPISODIO 7 DELLA SERIE ‘MAGGESE’. Purtroppo non riesco a modificarlo né a cancellarlo per rifarlo.