La città che divora
Serie: Ho Scelto me
- Episodio 1: La città che divora
- Episodio 2: Una firma libera
STAGIONE 1
Seduzione e prigionia di una città vorace.
Milano, oggi non mi avrai tra i tuoi sudditi. Ho scelto altro. Ora ti vedo per ciò che sei: sotto il sottile strato di una promessa intravedo le tue fauci. Sei una macchina lucente, costruita nel vetro e nell’acciaio dei tuoi grattacieli, un corpo vivo che divora chiunque osi cercare il tuo favore. Hai l’odore dell’asfalto e del traffico che si mescola all’ossido di carbonio, già dalle prime luci del giorno. Vivi al ritmo di chi si consuma in fretta, occhi fissi che ti attraversano. Regina proclamata, sei un abito seducente, un fiore… nutrita dalle ossessioni di chi ti serve.
Ti ho percorso a piedi nel silenzio dell’alba, scoprendo che non nascondi nulla di più di ciò che mostri. Milano sembri offrire tregua mentre le tue luci si riaccendono come giostre e i tram ripartono come cavalli di un carosello. La nebbia d’inverno ti avvolge in un abbraccio umido e denso, ammorbidendo i tuoi angoli più duri; la pioggia d’autunno smorza i colori, posandoli sulla strada come su una tela. In primavera esplodi in un bagliore lucente, metallico. Poi d’estate ti risvegli immobile, stordita, come dopo un sogno realistico. Eppure continui a farti desiderare, con quell’aria pungente satura di odori e lingue diverse, di promesse mai del tutto mantenute. Forse è questo il tuo incanto: far sembrare vivo chi ti attraversa, mentre lentamente lo divori.
Ti ho dato notti, sogni, ginocchia sbucciate, ossa rotte e mani sporche. Ho sorriso sacrificandomi, mentre tu pretendevi sempre di più. Non ho mai alzato un dito, anche quando ne avevo il diritto. E tu ridevi, Milano, mostrandoti dall’alto come una vetrina infinita di luci e inganni. Su, dove si brucia chi osa credersi arrivato. Ma ora è il mio momento, quello in cui mi riprendo ciò che non mi hai dato. Non crollerò per l’astinenza, non piangerò se avrò fame. Resterò in silenzio, nella mia quieta mediocrità.
Farmi da parte è stata una decisione concordata, sì, non solo con l’azienda per cui ho lavorato negli ultimi quindici anni, ma soprattutto con me stesso. Ho dovuto costruire il mio fortino, il castello in cui rinchiudermi, la torre di guardia da cui tenere il mondo lontano. Ho dovuto lavorare a lungo, mentre la mia vita si consumava e la mia famiglia veniva tradita da chi non ha voluto mantenere fede al patto. Dovevo restare lucido, concentrato. È stato un atto di rispetto verso ciò che ancora respirava sotto le macerie che mi hai lasciato. Ti ho detto basta. La libertà, a volte, ha il sapore della sconfitta, e io da oggi me la godo da sconfitto. Non mi offrirò più sperando nella tua benevolenza. Ho scelto di farmi da parte, di fare un passo di lato. Non mi serve la tua approvazione. Sono io, e non temo il tuo giudizio. Non mi avrai, Milano. Ho alzato la testa e ho visto che non sei più degna della mia fatica, del mio sacrificio. Ho scelto altro, Milano. Ho scelto me.
Ricordo come fosse ieri quella mattina di settembre del 1979, quando, appena sedicenne, uscii con il tesserino settimanale in tasca, timoroso e pronto per il primo giorno in officina. Tutto era iniziato nel quartiere di periferia dove sono cresciuto, un’infanzia depredata da un sistema che costringeva molti genitori, per sfamare le proprie famiglie, a nutrire la città e a consegnare i figli alle regole della strada. Sono cresciuto così, come tanti figli di emigrati dal Sud, tra leggi non scritte e spietate che mi hanno costretto a diventare grande in fretta. Ho imparato a difendermi, a non fidarmi, a reagire.
Ho inseguito il benessere come riscatto di ciò che mi era mancato, illudendomi che il lavoro fosse un ascensore sociale e la stabilità economica a portata di tutti. Il lavoro come identità, la meritocrazia come mito, una falsità. Ho visto uomini e donne perdere l’onore in nome della carriera, umiliarsi per un briciolo di riconoscenza. Io stesso, per anni, ho accettato regole che non condividevo. Ho venduto tempo e salute in quello che chiamano progresso, che per me è stato solo una lenta erosione. Mi hanno sfruttato, poi accusato di non reggere più il ritmo. Mi hanno promesso libertà, ma mi hanno incatenato ai debiti, ai mutui, alla paura di restare indietro.
Serie: Ho Scelto me
- Episodio 1: La città che divora
- Episodio 2: Una firma libera
Un monologo interiore potente e molto sentito! L’apostrofe a Milano come “macchina lucente” che divora è azzeccata e rende la città quasi un personaggio tossico e affascinante.
Ti ringrazio molto, mi fa piacere che tu abbia colto quel contrasto.
Grazie anche da parte mia. Un racconto toccante, una lunga riflessione amara e coinvolgente, anche per chi a Milano non ci ha mai vissuto, né lavorato. Per chi conosce il sacrificio del lavoro, unito allo sfruttamento da parte di chi si arricchisce senza troppi scrupoli, la scelta di dare una svolta a favore della propria libertá e di una decrescita “felice”, non può essere che apprezzata.
Grazie di cuore per le tue parole. Nella seconda parte la scelta prenderà forma. Ti invito a leggerla, se ti va.
Leggerò molto volentieri anche la seconda parte e avrei letto con interesse anche una serie più lunga sulle stesse tematiche, con un occhio rivolto al passato e l’ altro sulla nuova realtá, dopo – suppongono – un ritorno alle origini.
Suppongo
Non mi vengono le parole più adatte per commentare quindi mi limito a dirti: grazie ^_^
Grazie
Urca, mi è piaciuto!
Urca, grazie!