La città sommersa

“Ognuno di noi ha dentro di sé un mondo che custodisce gelosamente, un mondo che pochi riescono a comprendere. E così si chiude in un silenzio che è forza e debolezza nello stesso tempo e finisce per sentirsi isolato in una battaglia che richiede tutto e forse non dà nulla.” (Leiji Matsumoto, Capitan Harlock)
«Tutto l’equipaggio pronto all’immersione.»
Il capitano O’Brien seguiva la procedura per l’ennesima volta dalla plancia di comando. Si fidava della sua nave e del suo equipaggio. Conosceva ogni angolo della città subacquea e a volte gli sembrava quasi di tornare a casa. Purtroppo lo aspettava la guerra, ma la guerra era il suo lavoro.
L’acqua aveva il colore del gasolio e specchiava i raggi del sole senza lasciare intravedere nulla della città sommersa. La piccola nave sommergibile si muoveva con agilità evitando i viali principali e infilandosi con precisione negli stretti canali tra i palazzi bui e abbandonati. La città fantasma del ventunesimo secolo non era completamente disabitata, e gli incontri che si potevano fare non sarebbero stati certo piacevoli. Per lo più, là sotto, si potevano incontrare criminali o peggio soldati nemici, di qualche reparto speciale. I militari di entrambe le parti, preferivano evitare le immersioni affidandole a qualche squadra non ufficiale o a mercenari, come loro. L’incarico era di recuperare del materiale informatico da un ufficio dell’ex ministero della difesa. Avevano le mappe migliori in circolazione e avrebbero potuto andare diritti all’obiettivo, ma era troppo rischioso. Il vicecomandante aveva preparato il percorso alternativo. Un bel giretto, in modo da far sembrare il tutto una perlustrazione. Nascosto dietro un palazzo il nemico li aspettava.
«Sommergibile nemico a tribordo. Lanciati due siluri.» La voce dell’addetto al sonar ruppe il silenzio.
«Al prossimo viale viriamo a babordo, verso la stazione degli autobus. Useremo gli autobus abbandonati come scudo termico. Lanciare i siluri verso quei due autobus a dritta.»
La detonazione deviò appena in tempo i missili nemici. Il sommergibile sfuggì per un secondo dietro un gruppo di autobus e prese un vicolo con una manovra pericolosissima ma eseguita perfettamente.
«Nessuna traccia del sommergibile nemico.»
«Bene. Siamo a due isolati dall’obiettivo. Fatemi parlare con i sub.»
«Siete pronti?»
I due giovani sub annuirono.
«Ve lo ripeto un’altra volta: se la valigetta non è dove dovrebbe essere, o se incontrate un ostacolo imprevisto di qualsiasi tipo, la missione è annullata e rientrate. Non siete autorizzati a prendere rischi supplementari. Il compenso è lo stesso in ogni caso. Chiaro?»
«Chiaro, comandante.»
«Tra dieci minuti arriveremo a destinazione. Buon lavoro.»
I pesci passavano a fianco al sommergibile, che ondeggiava lentamente a fianco di un palazzo di undici piani, i primi otto dei quali facevano parte ormai del modo subacqueo.
Seguirono quindici minuti di silenzio assoluto. Nonostante rumore di fondo dell’ansia per l’incolumità dei due giovani sommozzatori, il capitano O’Brien si godeva il silenzio che pervadeva quel luogo, come ogni volta che si trovava sott’acqua, fin dalla sua prima immersione. Il silenzio come antidoto al frastuono delle bombe, che vent’anni prima, si portarono via i suoi genitori.
I due sub uscirono lentamente dalla finestra al secondo piano, da cui erano entrati poco prima, dopo aver accuratamente eliminato ogni residuo di vetro. Il primo teneva in mano una valigetta di metallo, che ripose non appena rientrato. Si sedettero con calma, aspettando la decompressione.
«Missione completata. Andiamo a fare rifornimento» annunciò il vicecomandante.
***
«La guerra è finita, per il momento. Cosa hai intenzione di fare?» Jack lo guardava da dietro il bancone, cercando di catturare il suo sguardo.
«Cosa credi che cambi, per me? Non sono mica un soldato. Il mio whisky, per favore.»
«Ok, ok… siamo di fretta? Oggi è un giorno speciale, tutti festeggiano. Potresti trovarti un lavoro. Pensa, potresti portare a spasso i turisti su una bella nave, per esempio… Vuoi tornare là sotto? Per quale motivo? È un cimitero, ormai.»
Riuscì a intercettare il suo sguardo, appoggiando il bicchiere sul bancone.
O’Brien non rispose. Fissò il suo whisky e sorrise, pensando all’idea della nave carica di turisti chiassosi. Jack si arrese e continuò a pulire il bancone mentre il capitano attese pazientemente che terminasse il rifornimento della nave.
***
Il sommergibile emerse puntuale alle coordinate previste per lo scambio. Due vedette della marina militare li attendevano come ogni volta, immobili, sul mare calmo. Il generale, in alta uniforme, apparve sul piccolo schermo della plancia di comando.
«Ottino lavoro, comandante. Il presidente gradirebbe l’onore della vostra presenza, qui alla base della marina, per ringraziarvi personalmente del servizio svolto e consegnarvi la ricompensa pattuita.»
«La ringrazio, le chiedo solo un minuto per aggiornare l’equipaggio.»
Chiuse la comunicazione e annunciò ai suoi compagni: «Questa è una trappola. Non si cambiano in questo modo le condizioni dello scambio.»
«Mah…» il vicecomandante provò ad obiettare, lusingato dalle parole del generale.
«Non avete capito: facciamo parte delle trattative di pace, ci hanno venduto. Andiamocene, ora. Immersione rapida!»
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi
Un racconto davvero originale con quelle atmosfere un po’ polverose dei fumetti di Miyazaki. L’idea di una città fantasma del ventunesimo secolo e di sommergibili che si aggirano fra le strade che non sono del tutto disabitate è parecchio inquietante. Meriterebbe, forse, lo sviluppo in una serie.
Ti ringrazio. Ci penserò a creare una serie, ma per il momento sono preso dall’altra serie…