La comunione col Male non è comune

Da quel giorno, da quella comunione presa con la grazia sintetica della chimica, non ci fu più una notte sola.

Ogni sogno diventò incubo. E ogni incubo era sempre lo stesso: uccidevo qualcuno che non aveva colpa.

Non sapevo chi fosse. Non importava.

Lo facevo, e basta.

Mi svegliavo col cuore che batteva come un tamburo e le mani fradice, come se davvero le avessi affondate nella carne. Il sudore impregnava lenzuola e pelle. L’affanno diventava un urlo muto, lungo, che si apriva a forma di “U” e rimbalzava contro il soffitto, invadendo le stanze accanto.

Dicono che l’infinito non esiste. Che è solo un loop di energia quantica che si ripete.

Ecco, io sono bloccato in quel loop. Da trent’anni.

Ora ho più di quarant’anni, e sto indagando per conto mio su un vero omicida. È identico al me degli incubi. Un riflesso notturno che si è fatto carne.

Da quando avevo dodici anni, da quando presi la comunione – con Dio, o forse con il Male – questi sogni sono sempre stati lì. A un certo punto ho cominciato a pensare che fossero ricordi.

Che fossi io l’assassino.

Ma non lo so. Nessuno è mai stato arrestato per quei delitti. Nemmeno oggi.

L’ultima coppia l’ho vista prima in sogno. Poi, il giorno dopo, era su tutti i giornali. Li avevo sognati mentre camminavano mano nella mano sotto i lampioni, di notte. Avevo colpito prima lui, poi lei, con furia.

Nel sogno c’era sangue ovunque. Quando mi svegliai, sudavo come se stessi colando via. Mi rigava la fronte come pioggia sul tetto.

O forse era sangue.

Li trovarono sotto un albero di cedro. Le mani intrecciate. Tra loro un orsacchiotto col sorriso stampato e, dietro, un mazzo di rose rosse. Due amanti inchiodati all’eternità.

L’assassino aveva coperto i volti con cappucci bianchi.

Non vi dirò chi erano. Non ancora.

Sappiate solo che io li avevo sognati. Tutto, esattamente così.

Adesso il commissario Carneval sospetta di me.

Se non trovo il vero colpevole, finirò sotto torchio. Potrei bruciare sulla sedia elettrica, o soffocare in una camera a gas. O marcire, chiuso per sempre, senza più aria, senza più cielo.

Mi sento in trappola.

Ingoio il mio sedativo, senz’acqua.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. C’è una tensione costante, oscura, che non ti lascia respirare. L’idea del sogno come colpa o come premonizione è potentissima, e la scrittura è tesa, asciutta, senza una parola di troppo. Davvero inquietante nel modo giusto.