La cravatta

«Quindi te ne vai? Sei proprio deciso?» nessuna risposta, solo il fruscio di quella cravatta che non ne voleva sapere di annodarsi nel modo giusto, certo, se le sue mani tremavano così non sarebbe stata un’operazione semplice.

«Vuoi una mano con quella cravatta?» Lui non rispondeva e continuava a fare e disfare quel nodo impossibile, oltre alle mani gli tremava anche il labbro superiore, sembrava volesse dire qualcosa ma nessun suono usciva.

«Mi dispiace di averti fatto qualcosa di male anche se ripensandoci non mi sembra. Non abbiamo fatto nulla che entrambi non avessimo voluto.»

Anna era stupita e quasi imbarazzata da quello che stava succedendo. Il giorno precedente era stato a dir poco drammatico ma anche estremamente emozionante. A casa aveva toccato il fondo, Paolo l’aveva aspettata in casa quando lei era tornata dal lavoro. Era entrata e tutto l’appartamento era in penombra, l’unica luce lampeggiante veniva dal televisore acceso in salotto. L’audio era stato silenziato evidentemente in quanto l’unico suono che si percepiva era il ronzio del frigorifero in cucina.

«C’è qualcuno? Paolo?» chiamò mentre si toglieva le scarpe e accendeva la luce in corridoio.

Solo silenzio, un silenzio strano però, come se nell’aria ci fosse un qualcosa di denso e maleodorante che desse fastidio. Sentì una leggera ansia iniziare a stringere un piccolo nodo alla gola e si rese conto che il cuore stava accelerando la frequenza dei battiti. Erano mesi ormai che in quella casa non si respirava un’aria salubre, erano mesi che il sottile nervosismo si stava nutrendo di ansie e si stava ingigantendo in modo preoccupante. Da quando suo marito Paolo aveva perso il lavoro era stato come precipitare in un buco nero, una forza inesorabile che ti trascina sempre più in basso e di cui si conosce già il finale drammatico. Era iniziato con piccoli litigi, piccole cose fino a quel momento tollerate con un sorriso stavano diventando ostacoli insormontabili, ogni discussione, anche sugli argomenti più banali, si trasformava in uno scontro sanguinoso senza esclusione di colpi. La china sulla quale stava scivolando il loro matrimonio stava diventando in ogni istante sempre più ripida.

Non si aspettava quindi nulla di buono da quel silenzio, non sapeva dov’era suo marito ma ultimamente nessuno dei due informava l’altro sui propri spostamenti. Eppure, Anna ancora in qualche modo ci credeva, forse per la sua educazione estremamente rigida e tradizionalista non poteva accettare che quella promessa di amarsi e rispettarsi per il resto della loro vita potesse liquefarsi come un gelato lasciato fuori dal frigo. Sentiva che stava compromettendo proprio quei valori con i quali era sempre cresciuta e nei quali aveva fermamente creduto. Ogni giorno tornando a casa sperava in qualcosa di diverso, sperava in un raggio di sole che potesse invertire quel disastroso corso degli eventi.

E così era stato anche ieri. Quando però era entrata nel salotto aveva subito sentito che il dramma era compiuto. Vide Paolo, anzi più che vederlo ne percepì la presenza. Accese la luce e lo vide seduto nella poltrona di fronte a lei. Era completamente nudo e sembrava stesse biascicando qualcosa. Ad un tratto spalancò gli occhi e la guardò: «Finalmente torni eh puttana?» la apostrofò con una voce che Anna non riconobbe «adesso mi racconti dove sei stata.»

E iniziò ad alzarsi. Anna era immobile e incapace di parlare ma si rese conto con un terrore cieco e urlante che suo marito aveva in mano un machete, il loro bel soprammobile che avevano portato come ricordo della loro indimenticabile luna di miele. Anna allora si girò, corse nel corridoio, si infilò velocemente le scarpe e una volta uscita si lanciò precipitosamente verso le scale.

Era già sera, non sapeva che fare o dove andare. Dai suoi escluso, si vergognava troppo a far vedere in che baratro era precipitata la sua vita. Stessa cosa per le poche amiche che le erano rimaste. Entrò quindi in un bar, cercò di darsi un contegno il più possibile normale e si sedette ordinando uno spritz aperol che era uno dei suoi drink preferiti.

Il tempo passava e gli spritz diventarono tre e anche quattro. Anna non riusciva a pensare, la paura la stava abbandonando ma stava lasciando il posto a sentimenti ancora più dirompenti, l’umiliazione e soprattutto la rabbia. Fu forse questa rabbia che fece sì che lei, solitamente così riservata, sorridesse apertamente e inequivocabilmente allo sconosciuto che la stava guardando mentre beveva un caffè al bancone.

Una decisione di un attimo, tre parole di circostanza, la voglia quasi animale di trasgredire, di tradire tutto quello per il quale finora si era vissuto, di degradarsi senza pietà e ritegno. Quindi velocemente in strada, alla ricerca di una stanza, un albergo, un motel, un letto. E una volta trovato l’impossibilità di attendere, il desiderio che agisce come benzina sul fuoco, il mondo che si dissolve e Eros che spazza via ogni remora, tabù o pregiudizio che timidamente cerca di resistere. Una notte folle dove tutte le regole sono messe in discussione e violate, dove passato e futuro non contano più e c’è solo il presente, il qui e adesso che divora i loro corpi.

Finché cadono vinti dal sonno. Anna nei suoi sogni si sente sporca, sporca ma appagata, sporca ma contenta di esserlo. A un certo punto apre un occhio, fuori c’è la luce grigiastra che precede l’alba. Lui non è nel letto accanto a lei, si gira e lo vede in piedi accanto all’armadio, è completamente vestito e sta affannosamente trafficando con quella cravatta.

«Quindi te ne vai, ma lo sai che né io né te possiamo più tornare nei nostri mondi?»

Lui si ferma, lascia stare per un attimo la cravatta, la fissa intensamente per qualche secondo, gli occhi diventano lucidi e le dice:

«Io ci devo tornare, e anche velocemente, devo aprire la chiesa e dire la messa delle sette…»

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Discussioni

    1. @cedrina la cravatta era soltanto un indizio (molto tenue) che poteva far intuire l’identità dell’uomo vista la non dimestichezza ad annodarla essendo un capo d’abbigliamento che lui di solito non usava. Non influisce comunque sullo sviluppo della storia.

  1. L’ho letto due volte e, soprattutto la seconda, me lo sono goduto. Scritto bene, lamento solo la mancanza di due virgole, peccato lieve (al quale sono abituato, per paura di dimenticarle ne abuso). Sarebbe un ottimo inizio di serie, ma il colpo di scena finale (splendido) quasi lo esclude. Che dire di negativo? Forse un po’ striminzito in mille parole, non si può sapere se Paolo stia impazzendo o se abbia validi motivi per dubitare di Anna e anche di lei non sappiamo molto. Il prete è solo allegorico (meravigliosamente allegorico direi) e il dubbio sul perché indossi la cravatta va risolto con la sua volontà di essere umanamente ineccepibile nella sua serata trasgressiva. Ottimo lavoro, meritava almeno due capitoli, ma anche così è esauriente. Bravo!

  2. Ciao Pierpaolo. Il tuo racconto è intenso e coinvolgente. Anna emerge come un personaggio complesso, con emozioni e conflitti ben delineati. Scusa se mi permetto di evidenziare qualche dubbio sulla coerenza di alcuni eventi. Ad esempio, non è del tutto chiaro perché Paolo apostrofi Anna subito dopo il suo ritorno dal lavoro, e solo dopo lei lo tradisce. Inoltre, il giorno seguente Paolo si veste e si prepara per aprire la chiesa, ma questo sembra scollegato dalla scena precedente con la perdita del lavoro. Forse non sono riuscito a cogliere alcuni dettagli.

        1. No, del prete non conosciamo il nome, è l’uomo con cui tradisce il marito e scopriamo che è un prete soltanto nell’ultima riga. Indizio (molto tenue) è la difficoltà ad annodare la cravatta in quanto è un capo di abbigliamento non usato dai preti.