La dama irlandese
A York, suggestiva cittadina nell’Inghilterra settentrionale, è quasi impossibile non capitare negli Shambles, la celebre strada medievale con le sue antiche case dalle intelaiature in legno. Oggi è una strada allegra, frequentata, ricca di negozi e pub dove strafogarsi di pudding e birra, ma questa storia non è ambientata ai nostri tempi, bensì alla fine dell‘Ottocento, e più precisamente prima dell’era dei lampioni. Noi non abbiamo la minima idea di che cosa significhi camminare per quelle stradine inglesi, quando non c’era ancora l’elettricità, ma possiamo ben immaginarlo. E sentirsi addosso la vera umidità, e il penetrante gelo, che ti entra nelle scarpe, e sale su, come una mano scheletrica che ti accarezza la schiena. E di notte, il silenzio, accompagnato da una nebbia anch’essa gelida e densa, per cui non si riesce a vedere al di là del proprio naso. Il tutto immerso in un buio pesto. Prima dell’era dei lampioni, dicevamo, la strada degli Shambles, scesa la sera, si faceva deserta. Gli abitanti di York se ne stavano ben rintanati nelle loro casette, davanti al tepore del camino e degli affetti familiari; sovente a riscaldarsi col Gin. E, ve lo garantiamo, di notte non sarebbero usciti per nulla al mondo. Neppure per tutto l’oro della regina Vittoria.
E tutto a causa di quella brutta faccenda.
La storia della dama irlandese.
Si racconta, in città, che l‘ultimo a vedere la dama irlandese sia stato Arthur Blackman, un anziano mastro cioccolataio, che, dopo essere stato trovato terrorizzato e in stato confusionale, è spirato fra le braccia del cerusico dell’ospedale cittadino che lo aveva soccorso.
Questa che state per leggere, è la versione della storia che il cerusico aveva udito direttamente dal signor Blackman, poco prima che calasse nella tomba. E che il cerusico, tale dr. Whitechapel, così riportò agli abitanti di York.
Una notte, a tarda ora, Arthur Blackman stava risalendo in fretta gli Shambles, quando scorse, sul ciglio della strada avvolta dalla nebbia, un bambino male in arnese, tutto solo, che piangeva amaramente. Il pasticcere era un uomo di buon cuore, aveva dei nipotini che adorava, e mal sopportava vedere le persone tristi, meno che mai il pianto di un bambino. Gli si avvicinò con cautela, usando parole dolci e affettuose, per cercare di calmare quella povera creatura. Ma più si avvicinava e più capiva che il pianto non proveniva dal bambino. Il bambino gli dava le spalle, e il pasticcere si accorse che stava guardando qualcosa rannicchiato per terra. Sdraiata vicino al bambino, stava una donna che, per quanto la sua vista sfuocata poco lo assistesse, aveva i capelli rossi e altre fattezze che rimandavano tipicamente all’Irlanda. Al dolciaio venne in testa un lampo. Qualche settimana prima, mentre pasticciava col cioccolato nel suo laboratorio, nei pressi del ponte di Lendal, aveva udito due signore che si raccontavano una strana storia:
I coniugi Looker avevano dato ospitalità ad una loro lontana parente, per l’appunto di origine irlandese, fuggita dall’isola col figlio, a causa dell’attitudine violenta del marito alcolista, che brutalizzava sia lei che il figlio.
Dopo poco tempo però, la donna e il bambino erano scomparsi, in modo alquanto misterioso. Tanto che la cittadinanza si era pure lanciata in una ricerca a tappeto, forsennata quanto inutile. Dei due si erano definitivamente perdute le tracce. Qualcuno aveva poi udito, di notte, dei passi per strada e il pianto di una giovane donna, ma nessuno aveva avuto cuore di scendere a controllare.
Con questi pensieri in testa, il pasticcere, pur spaventato dalla situazione, si fece un pochino più coraggioso, e così provò a rivolgersi nuovamente alle due figure davanti a lui: “Signora, siete voi la parente dei Looker? Sono il cioccolataio, posso aiutarvi in qualche modo?“
Appena finite di proferire quelle parole, il lamento straziante di prima cessò all’improvviso. L’uomo vide la figura rannicchiata alzarsi lentamente. Adesso la donna e il bambino lo stavano fissando in silenzio. Questa volta il pasticcere capì dalle gambe paralizzate e dalle guance in fiamme che stava provando una vera angoscia.
Provò a guardarsi alle spalle, ma la nebbia aveva circondato tutto il perimetro circostante. Una luce improvvisa, venuta da chissà dove, si accese dietro la donna e il bambino, e gli permise di vedere meglio le due figure. E l’angoscia si trasformò in vero terrore, perché sul volto del bambino, l’uomo vide impresso il volto della donna, e sul volto della donna, quello del bambino. L’uomo cacciò un urlo sordo che gli si gelò fra le labbra. Nonostante si sentisse spossato come mai nella vita, cercò di radunare tutte le ultime energie di cui era capace e cominciò a correre nel senso inverso a quella terribile apparizione. Prese di corsa, senza riflettere, una ridda di stradine.
Quando sentì la milza in fiamme, e il cuore che cercava di liberarsi dalla gola, si fermò appoggiandosi a un muricciolo, per riprendere fiato. Fu allora che si accorse della presenza di John Dee, il venditore di pesce affumicato, col suo carretto. Era un suo caro amico, e questo fatto lo rincuorò un poco.
“Oh John!“ disse il cioccolataio soffiando come un mantice.
“Chi è là?“ rispose l’uomo allarmato, fermando il carretto.
“Sono Arthur Blackman, il pasticcere“
“Arthur, che diavolo ci fai in giro a quest’ora di notte?“
“Ho vi-visto la do-donna irlandese!“ il fiato sembrava non volergli dare tregua.
“Che vai dicendo, Arthur, sei ubriaco?“ rispose il venditore con una voce strana.
“No! La donna scomparsa! Era col figlio ma…“ ancora una volta il pasticcere dovette provare l’ennesimo terrore, perché – proprio davanti ai suoi occhi- quello che sembrava essere il suo amico John, aveva lasciato il carretto, gli si era avvicinato e, al posto del suo volto, aveva quello insanguinato di una donna dai capelli rossi, e così –con voce femminile – gli aveva risposto: “L’ho vista anch’io“.
Il dr. Whitechapel finiva ogni volta il suo racconto ricordando ai cittadini di York attoniti che mister Blackman era tecnicamente morto di paura. Pur tuttavia col conforto degli uffici religiosi, eseguiti da un incredulo reverendo David Eliott Crausby.
Correva l’anno del Signore, 1884.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ho avuto per un attimo la sensazione di trovarmi nei freddi dedali in cui era aduso muoversi con maestria Jack Lo Squartatore o nella fumosa e misteriosa Inghilterra descritta da Edgar Allan Poe.
Complimenti
Grazie Gabriele. Non ricordo se c’eri anche tu, ma una sera di quella lontana gita-studio a York, facemmo una visita guidata, in cui ci raccontarono svariate storie di fantasmi, com’è tipico in Inghilterra. Questo racconto è una rielaborazione molto tarda di quanto mi ricordo di una di quelle storie. Sono contento di aver restituito quell’atmosfera, mi pare.
Ciao Simone. Il tuo racconto mi è piaciuto molto perché sei riuscito a ricreare con grande abilità l’atmosfera cupa e misteriosa dell’Inghilterra vittoriana. Le descrizioni sono così vive mi è davvero sembrato di camminare nella nebbia di York insieme ai tuoi personaggi.
Hai costruito una tensione costante e un finale che mi ha lasciata con un brivido addosso. È un testo curato, suggestivo e capace di trasportare in un’altra epoca.
Ciao Cristiana. Far venire i brividi non è per niente facile, come anche far ridere. Se ne ho suscitato qualcuno vuol dire che sono sulla strada buona. Grazie mille
Un racconto gotico ben costruito e suggestivo, capace di immergere subito il lettore nell’atmosfera nebbiosa e inquieta della vecchia York. La scrittura è evocativa e cinematografica, e il finale, tra orrore e leggenda, lascia un brivido autentico. Potrebbe essere un ottimo “prologo”.
Ti ringrazio Mariano, per il tempo dedicato alla lettura e al riscontro.
Complimenti, mi è piaciuta molto. Sarebbe bello se questa storia avesse un seguito!
Grazie Arianna, purtroppo nella narrativa non amo la serialità. Preferisco i racconti autoconclusivi, che lasciano nel lettore un po’ di mistero e appetito. 🙏🏻
Ciao Simone, una storia che riprende le tipiche atmosfere inglesi. La storia mi è piaciuta molto. Un piccolo consiglio: mostra di più invece di riferire.
Ciao Tiziana, grazie del gradito consiglio. Puoi aiutarmi indicando dove, nel racconto, ho riferito più che mostrato? Grazie 🙏🏻
@simonebulleri Certo, ti mando un messaggio.
Grazie davvero!