La danza delle foglie cadute 

Le foglie scendevano lente, cullate dal vento affamato che percorreva il sentiero sterrato fino alla casa. Erano ovunque: sulle scale di pietra, tra i cespugli arruffati, sulle finestre polverose. Irene guardava fuori, sorseggiando il caffè ormai freddo. Il vento bussava ai vetri, come a invitarla a uscire. Ma non aveva voglia di affrontare il mondo. Non più.

La vecchia casa di campagna era tutto ciò che le era rimasto. Da quando sua madre era morta, nessuno l’aveva più disturbata: gli amici, rari, avevano smesso di chiamare; il cellulare era muto da settimane. Il mondo esterno, così rumoroso, sembrava essersi arreso alla sua decisione di sparire. Lei e la casa si erano abbracciate nella loro solitudine, come due amanti silenziosi che non chiedono nulla.

Ogni autunno, però, era diverso. Le foglie cadevano come promemoria, e si spargevano sul terreno per ricordarle ciò che non voleva sentire. Pablo . Lui, con i suoi occhi scuri come la notte e le mani grandi e calde. Lui, che era entrato nella sua vita in un giorno d’autunno e ne era uscito nello stesso modo, lasciandola vuota e congelata.

Si erano conosciuti quando lei aveva ventisette anni e pensava che il mondo fosse ancora qualcosa da conquistare. Lui era un poeta senza fissa dimora, sempre in fuga dal mondo o da sé stesso, non l’aveva mai capito del tutto. Pablo non amava restare: questo Irene l’aveva imparato tardi, quando ormai non poteva più dimenticare il suono della sua risata né il sapore del suo corpo tra le lenzuola.

Le prime settimane erano state un’esplosione: poesia, vino, libri abbandonati sul pavimento, fogli pieni di parole scarabocchiate in fretta. Lui le parlava del mondo come se lo possedesse, ma nei suoi occhi c’era un’ombra che Irene non era riuscita a dissipare. Pablo scriveva ossessivamente e poi strappava i fogli, li bruciava nel camino. Le sue poesie erano confidenze sussurrate, mai condivise.

Un giorno d’autunno, lui se n’era andato. Nessun biglietto, nessuna spiegazione.

Irene smise di guardare fuori e si alzò. Mentre camminava sul pavimento di legno scricchiolante, il vento sembrò farsi più forte. Aprì la porta della stanza che era stata il loro rifugio creativo. Polvere e silenzio l’accolsero. I libri erano ancora lì, accatastati, e su uno scaffale c’era un quaderno nero che non aveva mai avuto il coraggio di sfogliare.

Un’asse del pavimento emise un gemito diverso, come se stesse nascondendo un segreto. Si chinò, spostando una vecchia sedia, e notò una piccola fessura. La sua mano tremò mentre sollevava l’asse. Sotto, c’era una lettera.

Irene,

Ti chiedo scusa per il silenzio. Scrivere non è mai stato difficile per me, ma queste parole le ho temute più di ogni altra cosa. Mi sei entrata dentro, e questo mi ha distrutto. Non volevo farti del male, ma il mio amore era una trappola. Quando ho capito che stavi diventando la mia ossessione, ho avuto paura. Così sono scappato. Ma non pensare che non ti amassi. Ti amavo troppo, e questo mi ha divorato.

Pablo .

Irene rimase a terra, immobile. Le sue dita sfioravano il bordo della carta come se potesse ancora sentire la pressione della penna di Pablo . Aveva immaginato mille volte il motivo della sua partenza, ma questa verità la colpì come un pugno nello stomaco. Lui non era fuggito perché non la amava. Era fuggito perché la amava troppo.

Per la prima volta dopo anni, il dolore lasciò spazio a qualcos’altro: rabbia, desiderio di capire. Si alzò di scatto, afferrò il quaderno nero dallo scaffale e lo infilò nello zaino. Poi uscì di casa.

Il vento le sferzava il viso mentre camminava lungo il sentiero coperto di foglie. Non aveva una destinazione precisa, solo un nome nella testa: la locanda vicino al ruscello. Era l’unico indizio che il quaderno conteneva, l’unico posto dove forse avrebbe trovato qualcosa di più.

Le ore passarono tra alberi spogli e sentieri sconnessi. Quando raggiunse la locanda, il sole stava tramontando, tingendo il cielo di un arancione bruciante. Una vecchia insegna di legno pendeva storta, ma il luogo era ancora aperto. Entrò.

Il proprietario, un uomo dai capelli bianchi e le mani ruvide, la guardò con curiosità. «Cerco qualcuno» disse Irene, con la voce incerta. «Forse è stato qui anni fa. Si chiamava Pablo . Scriveva poesie.»

L’uomo si grattò la barba e annuì lentamente. «Sì, me lo ricordo. Era sempre con quel quaderno in mano. Mi ha lasciato qualcosa per una donna. Non sapevo se saresti mai venuta.»

Andò dietro il bancone e tornò con un quaderno blu, consumato ai bordi. Irene lo prese con mani tremanti, ringraziò e uscì prima che l’uomo potesse chiederle altro.

Seduta su una panchina accanto al ruscello, lo aprì. Le pagine erano piene di poesie. La prima era per lei:

“Ti ho amata nella luce delle foglie gialle,

nel vento che piega i rami

e negli abbracci che non sapevo trattenere.

Non sono scappato da te.

Sono scappato da ciò che diventavo accanto a te:

un uomo fragile e perso,

ma incredibilmente vivo.”

Irene lesse ogni parola come se fosse un respiro mancato. Il dolore si mescolava al sollievo, alla consapevolezza che lui l’aveva amata davvero. Era un amore imperfetto, fatto di fughe e rimpianti, ma non era mai stato un’illusione.

Chiuse il quaderno e guardò il ruscello. L’acqua scorreva lenta, riflettendo i colori del tramonto. Per anni aveva cercato una spiegazione, un senso a quella perdita. Ora capiva che non era il passato a tenerla prigioniera, ma il suo rifiuto di accettare la verità.

Si alzò e tornò a casa. Quando aprì la porta, il vento portò dentro un tappeto di foglie. Ma questa volta non le importava. Andò nella stanza e accese il camino. Poi prese carta e penna. Non avrebbe più aspettato risposte dagli altri. Avrebbe scritto la sua storia, con le sue parole, trasformando il dolore in qualcosa di eterno.

Mentre la notte avvolgeva la casa, Irene scriveva, e le foglie continuavano a danzare fuori, testimoni silenziose del suo nuovo inizio.

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Discussioni

  1. “Lui le parlava del mondo come se lo possedesse”
    Bellissima! Poche parole che caratterizzano e descrivono in maniera superba il personaggio. Complimenti per tutto il racconto impreziosito dalla poesia!

  2. Racconto molto bello, mi è piaciuta particolarmente la parte della poesia. Complimenti Rocco!!
    P.S:ho recuperato anche gli altri episodi da te pubblicati negli ultimi giorni. Complimenti anche per quelli!!

  3. Bello. Molto poetico, non solo nei versi. Bello come un bel sogno che finisce all’ improvviso o come un incantesimo che si spezza o come una favola dove l’ amore é fin troppo. E con un lieto fine, quello di una vita nuova, con un altro bel sogno da realizzare.