La Festa

«Eccoci», pensò. Il momento più importante era arrivato; si avvicinò.

Quelle piccole luci, fiamme che tremavano come vite prossime a spegnersi, portarono la sua mente stanca in un angolo dove un pensiero ambiguo prese forma:

«Oggi un altro era andato. Le campane della Casa dei Morti ne avevano dato notizia. Non aveva gridato, non aveva pianto. Aveva chiuso gli occhi e accettato il suo destino, mentre tutto intorno continuava come sempre.»

Un mormorio lontano lo riportò nel salone della festa, una voce lieve, ormai confusa, persa tra le memorie di una vita, continuava a guidarlo. Ma il pensiero non si fermò, come se fosse necessario arrivare fino in fondo, prima dell’ultimo atto:

«Il secchio era pieno. Il fieno fresco. Come ogni giorno.»

Una mano gli sfiorò la spalla. Restò immobile. Gli sguardi intorno lo incalzavano con impazienza: la festa era al culmine. Lui li fissò, come chiedendosi quanto tempo gli restasse prima che anche loro se ne rendessero conto. Perché lui sapeva.

«Ho visto le armi. Ho visto il sangue colare lento. Ho sentito il tempo fermarsi, per farmi percepire ogni goccia con rispetto. Ho visto occhi spegnersi senza capire. Ho visto la fine. La verità.»

Un suono secco, un impatto improvviso, lo riportò alla realtà. Tutti gli sguardi erano puntati su di lui e quella luce, come una lancia, lo accecò per un istante, trascinandolo nuovamente dentro la sua anima.

«Attorno a me, come bestie d’allevamento, si strappano il fieno a vicenda con bocche salivanti e ingorde, ne vogliono sempre di più. I loro occhi sono ormai ciechi e guidati da un solo obiettivo, l’avidità di possedere un secchio pieno e un po’ d’acqua fresca.»

I ricordi riaffiorarono: una vita di lavoro, di sacrifici, di lotte. Una vita contro il sistema, prima di arrendersi, fisicamente indebolito ma non con la mente.

«Io riuscivo a vedere. Vedevo chi, sorridendo, riempiva i secchi e allo stesso tempo le tasche con i ricavi della carne. Inutile ribellarsi: gli occhi iniettati di avidità, i corpi scolpiti come merce da esibire, si erano arresi ormai, pronti al sacrificio.»

Quel pensiero divenne reale: non poteva più salvarli. Doveva arrendersi alle circostanze pur di tenerli vicino, perché la solitudine ti fa impazzire, e solo quando te la senti addosso lo puoi capire.

In quel giorno, in cui forse meschinamente si erano riuniti per la sua festa, prese una decisione:

«Non mi resta che una via: spezzare le catene e fuggire dal mio recinto mortale. Non posso combattere, ma posso provare ad aiutarli e a rimanere vivo.»

Sollevò nuovamente lo sguardo. Davanti a lui, occhi sorridenti in attesa del gesto conclusivo non lo distolsero da un ultimo pensiero:

«Per ora ci sono riuscito. Le campane, per me, suoneranno. Ma non ancora.»

Alzò lo sguardo verso le fiamme e soffiò.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ho pensato a John Donne (And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee) e naturalmente ho pensato a Hemingway. E allora il rimando alla guerra è d’obbligo, ma anche il paragone fra l’uomo e il toro, la bestia. Ci chiediamo ‘Quando l’uomo smetterà di essere brutale e tornerà alla sua umanità?
    Il tuo è un buon testo, equilibrato, che ho letto volentieri e mi ha fatto riflettere.

  2. Molto bello, scritto molto bene. Un atmosfera sospesa, in bilico tra la rassegnazione e un piccolo barlume di speranza, come le fiamme che alla fine vengono spente. Ma il simbolismo, non so perchè, mi è parso duplice: Le fiamme sono rabbia, dolore, ma anche speranza.
    Non so perchè ho intuito un seguito, ma vedo che non fa parte di una serie.

    1. Ti ringrazio molto, mi fa piacere che il simbolismo abbia lasciato spazio a diverse letture. La mia idea è che la storia si chiuda con il soffio, come atto di presa di coscienza, ma questo non toglie che ci possano essere altri punti di vista. Forse è proprio questo il bello.

  3. Un racconto che lascia addosso un senso di sospensione e malinconia, come se tutto fosse sul punto di spegnersi ma resistesse per un ultimo istante.
    Crudo, poetico e struggente.

    1. Ti ringrazio molto. L’idea era di usare la festa e la morte come metafora per una critica sociale: la fatica, il sangue, l’avidità e l’ignoranza che riducono le persone a bestie da macello. Il protagonista, un uomo maturo e lucido, pensa di dover spezzare le catene del suo isolamento per aiutare chi ancora non vede.