
La foresta nera
La foresta nera era umida, silenziosa. Cupa. La nebbia la avvolgeva completamente: sfiorava tronchi massicci, immobili, secolari sparsi a poca distanza gli uni dagli altri. Yachosta si era spinto troppo oltre, in groppa al suo cavallo nero: troppo lontano dalla fortezza. E quante notti e quante albe erano trascorse dalla sua partenza? Ma la folle Regina Senza Nome, aveva dato ordine di inseguire il suo assalitore: una bestia dall’aspetto orrendo. Le branchie all’altezza del collo, il viso simile a quello di un pesce, allungato. Il corpo simile a quello di un rettile: quell’infelicità respirava. E sudava. Respirava a terra e in acqua ed era abile con la spada e grande amazzone. Venivano chiamati “uomini pesce” o, dai più eruditi, inumani. Yachosta era fermo immobile: la nebbia abbracciava il suo corpo teso e muscoloso. Impossibile vedere oltre un metro dal naso. Un urlo secco, uno schiocco delle redini e l’uomo dagli occhi azzurri e dalla chioma nera, tornava sui suoi passi. Rapido. Veloce. Come se avesse la morte alle calcagna. Una profonda inquietudine colmò il suo cuore: tutta colpa di quel silenzio così fitto. Assordante. Poteva sentire il suo cuore giovane battere ed arrivargli sino in gola. Il suo destriero, veloce, alzava il terreno bagnato lasciandovi impronte profonde. Yachosta pensava, fissando il vuoto avanti a sé. La Regina, sua giovane amante, avrebbe sbraitato, folle di odio misto a paura, per l’esser sopravvissuta all’ennesimo attentato. Attentato che solitamente era perpetrato dal suo popolo ma che stavolta era stato commesso da un inumano. Una bestia aveva espresso un desiderio di morte nei confronti dell’incoronata. Ed il motivo… Il motivo non era dato saperlo. Il destino, aveva voluto “semplicemente” reclamare quella bestia tra la civiltà? Era stato invece il desiderio di potere? O forse… di oro? No. Gli “uomini pesce” non avevano mai avuto mire così… umane. Erano soliti compiere furti e razzie nei pressi dei monti di Kharam, all’ovest del Regno di Shah Bat, per la mera sopravvivenza. Ma si erano rivelati essere anche senza scrupoli: molte infatti le giovani donne umane sacrificate al loro Dio, scomparse in superficie e mai più ritrovate. Gli inumani erano stati più volte perseguitati: le loro battaglie contro gli esseri umani del regno di Shah Bat, che da sempre hanno tentato di colonizzarli, avevano dato alla luce ballate e leggende da generazioni. Ma una sparuta parte di quella mostruosa stirpe era sopravvissuta nei secoli alla caccia cui l’uomo aveva dato il via: confinata, rinchiusa nelle profonde grotte di Kharam, gli inumani continuavano a vivere e a riprodursi. Sacerdoti e guerrieri, uniti, pregavano, assassinavano e meditavano un ritorno alla luce del sole bramandolo più di ogni altra cosa. La superficie. Quel mondo che era stato loro prima ancora dell’avvento degli esseri umani. Dharyll si trovava a suo agio nella foresta nera: era la sua casa. Più di quanto non lo fosse quel rifugio sotterraneo che molti chiamavano villaggio. Dharyll era un ribelle: non amava le regole ed aveva un’ambizione che lo rendeva umano, a detta degli altri della sua specie. Quel giovane inumano aveva provato ad uccidere la Regina di Shah Bat così da porre fine all’eterna lotta tra le due razze e gettare nel panico quegli esseri che di umano non avevano niente, a detta sua e della sua stirpe tutta. Ma egli aveva fallito. Miseramente. Ferito nel corpo e nell’animo, Dharyll tornava alla grotta. Lì avrebbe subito la stessa sorte di quelle belve che per anni, secoli, eoni avevano cacciato “quelli come lui”. Gli “uomini pesce”. I “Ramarri con le branchie”. Gli inumani. Non aveva paura della morte, Dharyll. Eppure… Eppure quell’essere tremava e sudava, mentre raggiungeva la grotta in sella al suo cavallo baio. Tremava perché la vergogna lo divorava: la sua razza era fiera e temeva il fallimento più di ogni altra cosa. Gli umani li definivano infidi, subdoli e cattivi dentro: esseri deformi che avrebbero potuto benissimo accoltellarti a morte con un sorriso dolce sul volto. Ma se Dharyll in comune con i suoi aveva il senso dell’onore, faceva a meno delle altre caratteristiche della sua stirpe, pur restando comunque un discreto guerriero. Le voci viaggiano a pelo d’acqua: alcuni inumani in “visita” in superficie, tornarono con la verità sulla lama ricurva della loro sciabola. Lo scontro fu impari e terminò presto: cinque guerrieri esperti contro il giovane Dharyll. I sacerdoti non furono d’accordo circa la decisione dei cinque ed anche loro, infine, vennero sacrificati al loro Dio. Dharyll sarebbe dovuto essere monito per tutti i possibili ribelli del gruppo e quindi immolato sull’altare pagano. Non proclamato eroe (o peggio ancora martire) sconfitto da cinque lottatori provetti della sua stessa tribù. Il fratello di Dharyll, Shamel, aveva assistito, senza intervenire, al combattimento. Un sacerdote, nella lingua inumana, rompendo il silenzio che si era originato dopo la morte di Dharyll, recitava alla popolazione, raccoltasi al centro della grotta: «Non siamo ancora pronti allo scontro con gli abitanti della superficie. Ma quel momento verrà. Verrà presto.». La cerimonia funebre fu negata a Dharyll. In segreto, Shamel, concesse al fratello, la pace nell’altra vita abbandonando, come da rito, il corpo su una zattera lasciata alla deriva.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Quindi fai poesia anche in prosa: buono a sapersi! A parte gli scherzi, il racconto è di ottima fattura e si vede molto bene la scelta certosina di ogni singola parola. Nonostante questo, il lettore riesce a immedesimarsi e chi è appassionato del mondo fantasy trova nelle influenze tolkeniane anche qualcosa in più di positivo. Complimenti Stefano, veramente bello!
Grazie Annarita! Davvero di cuore!!!