La fotografia impossibile
Antonio odiava traslocare. Lo aveva fatto troppe volte e ormai lo faceva con cura e precisione per ricostruire presto il suo spazio. E così come al solito era seduto per terra, sedie e tavoli erano già imballati, e stava controllando il contenuto di numerose scatole di cartone che aveva recuperato dalla soffitta. Erano reliquie del passato: accendini, occhiali, penne, diplomi, riconoscimenti, oggetti dimenticati. Era arrivato così all’ultima scatola e stava rovistando sul fondo quando si punse un dito con l’ago di un vecchio compasso, imprecò tra i denti e, innervosito, rovesciò il contenuto della scatola sul pavimento. Vari oggetti rotolarono in tutte le direzioni ma lo sguardo di Antonio si fissò su un piccolo cilindro nero e giallo che subito suscitò in lui una grande familiarità. E suscitò anche sorpresa, ritrovare un vecchio rullino fotografico di cui aveva finora ignorato l’esistenza aveva stimolato la sua curiosità. Lo prese tra le dita e lo guardò attentamente, era come tenere in mano una piccola macchina del tempo, una finestra su un mondo che sbiadiva sempre di più nella sua mente. Lo controllò a fondo e si rese conto che era stato utilizzato e che quindi le trentasei fotografie (così era scritto sul cilindro) erano impresse sulla pellicola e dovevano essere sviluppate.
Antonio pensò a quanto il tempo fosse cambiato: la fotografia analogica era ormai un ricordo nostalgico. Dopo ore di ricerche trovò un ragazzo che ancora sviluppava rullini nella sua camera oscura. «Torni dopodomani, le darò le foto» disse Denis, questo era il suo nome. Quando Antonio tornò da lui lo trovò con il suo grembiule nero di altri tempi e con un paio di occhialini tondi che lo facevano sembrare il John Lennon dei tempi d’oro. « Ecco le foto signore, il rullino era conservato eccezionalmente bene e sono venute decisamente nitide, le lascio anche i negativi». Antonio prese la grossa busta, tentò di pagare Denis che non volle nulla «Il divertimento è stato più che sufficiente come compenso» disse.
Si recò quindi a casa e, sul tavolino da campeggio che aveva in sala visto che tutto il resto era ormai imballato e pronto per la spedizione, aprì le foto a ventaglio.
Sfogliando le foto, Antonio rivisse i giorni di gioventù, gli amici, il mare, le risate.
Era l’estate degli anni Ottanta, la musica di ‘We Are the World’ nell’aria.
E poi il film finì improvvisamente. La foto che in quel momento Antonio aveva in mano non c’entrava nulla. Non era roba sua, Denis l’aveva sicuramente infilata nella busta con le altre per sbaglio. Strana però. Il primo piano di una ragazza a mezzobusto, nitido, un sorriso a metà, occhi verdi, naso lungo e bocca piccola. Tratti molto fini, quasi aristocratici. Non un filo di trucco, del resto non sembrava proprio una persona dei giorni nostri. Da quello che si vedeva dell’abbigliamento era qualcosa di non attuale, qualcosa appartenente ad un’epoca lontana. E poi quella coroncina adagiata sulla testa, no, decisamente era un accessorio anacronistico. Chissà, forse uno spettacolo teatrale, una festa in maschera. Antonio prese allora una lente – altro oggetto che aveva rinvenuto da quell’incredibile scatola dei ricordi – e esaminò meglio i dettagli della fotografia. Alle spalle della ragazza c’era una finestra, ampia e a forma di arco, da cui si intravedevano degli alberi e, più in profondità, la forma imponente di una costruzione. Si fermò su questo particolare e, improvvisamente, si sentì un brivido salire lungo la spina dorsale. No, si stava sbagliando, non era possibile quello che stava vedendo. Eppure era chiarissimo, inconfondibile per la forma e la struttura. La costruzione altro non era che il Castello di Saint Pierre, in Valle d’Aosta, che guarda caso si trovava esattamente alle spalle di casa sua. Antonio incredulo andò alla finestra, guardò il bellissimo castello e, confrontandolo con quello della foto, non ebbe più alcun dubbio, stava guardando lo stesso maniero, dalla stessa prospettiva.
Sconvolto, chiamò immediatamente il negozio e chiese spiegazioni a Denis. Il ragazzo disse subito che nella busta c’erano le foto del rullino, del resto era impossibile confonderle con altre visto che il rullino precedente lo aveva sviluppato cinque anni prima. E poi, bastava controllare i negativi. Cosa che Antonio fece, e constatò che c’era anche il negativo della ragazza.
Trascorse la notte inquieto, poi decise di visitare il castello, da poco riaperto al pubblico.
Salì verso la collina e attraversò i corridoi silenziosi del castello. Salì al piano superiore e si trovò in una bellissima sala che dalla guida veniva presentata come “sala da tè”. Non ebbe bisogno di guardarsi intorno, sulla parete di fronte a lui facevano bella mostra una serie di dipinti ottocenteschi. Il terzo da sinistra era la copia perfetta della fotografia.
Antonio avvertì un leggero capogiro, si avvicinò al quadro quasi timorosamente. L’etichetta recitava “Ritratto di Irene V. Baronessa di Saint Pierre 1882”. La baronessa lo fissava con i suoi occhi verdi e il sorriso sembrò diventare beffardo. Antonio le guardò le mani in grembo e fu allora che vide l’impossibile, una macchinetta fotografica kodak come quella che aveva lui da ragazzo, o si sbagliava? O era semplicemente un libro? Nell’angolo della sala c’era un custode, gli chiese «Mi scusi, ma la baronessa cosa tiene in mano?». «Direi proprio che è un libro» rispose il custode guardandolo in modo strano.
Antonio lo fissò a lungo, poi scattò una foto e tornò a casa, confuso.
Mise la fotografia del vecchio rullino accanto a quella scattata poco prima e una volta di più constatò che il volto che lo fissava era lo stesso. Si girò, si affacciò la finestra e vide il castello, esattamente alla stessa distanza e prospettiva in cui si vedeva nel ritratto.
Qualche giorno dopo tornò al castello: il libro era sparito. Il custode negò che ci fosse mai stato. Antonio uscì in silenzio.
Uscendo, pensò che forse le fotografie non catturano il tempo: lo liberano.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Anch’io la penso come @cedrina: sarebbe stato bello fare di questo intrigante racconto una serie. Bravo, Pierpaolo!
Una lettura piacevole, in cui si sente la concretezza nelle descrizioni del contesto iniziale e diventa suggestiva nella narrazione di una storia misteriosa, molto concisa, con un finale che sorprende e affascina nel suo risvolto magico. Ci sarebbero tutti gli elementi necessari per sviluppare una lunga serie di episodi.
Bello, mi è piaciuto!
Grazie 🙏