La Grande Riflessione

Serie: Città Metafisica


(Scritto in collaborazione con Sabrina De Martini)

Appunto di Viaggio Dieci

Con mille pensieri per la testa, decido di lasciare l’isola e raggiungo la terraferma con l’aiuto di una barchetta di fortuna. Sono sola perché nessuno degli abitanti ha manifestato l’intenzione di allontanarsi da quel luogo quasi fossero spaventati dall’idea di non poterne più fare ritorno.

Una volta raggiunto il lungofiume mi accorgo che la pavimentazione è lastricata di piccole targhe di ottone conosciute anche come “pietre d’inciampo”. E’ un delizioso pavimento splendente con piastrelle dalla perfetta forma quadrata. Da lontano sembrano silenziose lingue di fuoco, poi, a mano a mano che ci si avvicina, si ha l’impressione di poter raccogliere piccoli lingotti d’oro lasciati a terra in ordine sparso.

In realtà, quel disordine armonioso rende il luogo estremamente suggestivo e, soprattutto, si rivela utile nel non perdere di vista la strada. Continuo a non capire il motivo per cui, a prescindere dall’orario, mi ritrovo sempre in una situazione di penombra. Quasi come se l’imbrunire fosse perpetuo. Forse accompagna la mia coscienza ?

Mi volto indietro per guardare un’ultima volta l’isola ma già non la vedo più. Mi sembra solo di “intuirne” la presenza. Esattamente come avviene per i fantasmi. Mi viene quasi il dubbio che non sia mai esistita realmente. Poco importa, le targhe commemorative mi fanno compagnia con il loro assordante silenzio. 

Su di ognuna si onora la memoria di una persona vittima di una delle svariate forme di follia umana. Anzi, subumana.

E’ così che incontro Rachele, Giuseppe, Louis, Antony, Maria, Jonas, Martin, Palmira, Angelo…

Provo ad immaginare i loro volti, le voci, le ambizioni. Mi domando se siano mai stati felici, anche per un istante, nella loro esistenza. Per alcuni la vita è stata estremamente breve. In ogni caso, per tutti, è stata crudele.

Non voglio calpestarli. 

Una forma di rispetto mi porta a compiere passi decisamente esitanti e, per certi versi, maldestri. Vorrei parlare con ognuno di loro, chiedere perdono per quanto subito per mano altrui e sentire, dai loro racconti, come stanno ora. Come si sentono, dove sono, come sono. Ovviamente non sono in grado di percepire le risposte, ma ho l’impressione di sentire il suono di piccoli campanelli.

Penso sia giusto ricordare al genere umano quanto in basso si possa scendere, ma mi disturba la posizione in cui vengono collocate le vittime. Secondo me, coloro che devono venir calpestati quotidianamente dai passanti, dalle auto e dagli animali devono essere i carnefici convinti e mai ravvedutisi…

Sono loro che meritano le espressioni fisiologiche di chi ha bevuto troppo e le intemperanze degli incivili. Le vittime dovrebbero sempre essere davanti ai nostri occhi, all’altezza del nostro sguardo e della nostra coscienza. Perché se sono diventate vittime vuol dire che si è guastato qualche cosa di importante nel “sistema di rispetto e cura” che abbiamo, o dovremmo avere, in dotazione.

Francamente mi sono stancata di tenere sempre “la testa bassa” ! Anche per guardare le pietre d’inciampo ! Non è che per caso vi è un legame sottile fra la collocazione delle targhe e la perenne rassegnazione ?

Cosa ne pensi ? Esagero forse ?

Appunto di Viaggio Undici

Passo dopo passo, e con le note dei campanellini in testa, mi ritrovo al cimitero cittadino : il “campo-santo” dove immaginiamo possa compiersi l’eterno riposo. Il luogo trasmette un fascino misterioso. Saranno i lumini votivi che ricordano la danza delle lucciole che ormai si vedono solo più nelle campagne abbandonate, o sarà il profumo dei fiori che si diffonde, lieve, nell’ambiente.

Ogni tanto il frinire di un grillo interrompe il “religioso silenzio” ed io, con un sorriso appena accennato, immagino una riunione di condominio. Un condominio di quelli dove non si litiga, però. Visto dall’ingresso principale il cimitero sembra una piccola città dove, con il rientro a casa, i personaggi si affaccendano in questioni domestiche.

L’atmosfera crepuscolare mi induce ad immaginare caseggiati di ogni forma e dimensione. La timida brezza sollecita il tremore delle fiammelle votive e tutto, nell’insieme, sembra vivere di vita propria. Anche i monumenti che caratterizzano e definiscono le tombe di famiglia sembrano rispondere a questa “chiamata”. Comprendo che la prossimità con la “Signora con la falce in mano” non appare così minacciosa ma, al contempo, mi rendo conto che gli stessi monumenti di cui ti ho parlato veicolano un certo disagio. Alcune famiglie sembrano letteralmente fatte prigioniere da entità con sembianze angeliche. E talvolta le sculture hanno uno sguardo così torvo che mi domando se siano preposte alla protezione o alla punizione. 

Degli altri, ovviamente.

Ricordo che mi avevi detto che in quasi tutte le culture il prestigio ed il valore di una persona, o di una famiglia, si misura e si esprime anche in questo modo.

Sinceramente lo trovo ingiusto. Sì, perché di tutte le testimonianze “faraoniche”, solo una percentuale molto bassa di persone è realmente degna di tanto valore e apprezzamento. Il resto rimane una stupida competizione fra vivi, oltre che inutile dimostrazione di superbia.

Perché una persona non degna di tal nome deve “dimorare” circondato da fiori, preghiere e angioletti vari ? Più che riposo eterno, meriterebbe l’oblìo eterno… E perché, per esempio un tempo, i bambini morti senza ricevere il battesimo dovevano essere sepolti fuori dalle mura cimiteriali ? Chi aveva stabilito che non ne fossero degni ? Quanta presunzione, mio caro ! Neppure in questo luogo vi regnano verità, giustizia ed uguaglianza ! Mi oriento verso un luogo più sincero…ammesso che esista.

Appunto di Viaggio Dodici

Il roseto è l’angolo di quiete che mi serviva per rasserenarmi. 

E’ un delizioso giardino dove, chi lo desidera, può dare seguito allo spargimento delle ceneri proprie o di un proprio caro. Tutto è estremamente curato: dalle aiuole ai complementi d’arredo per esterni che accompagnano i vialetti in ghiaia. Nulla è lasciato al caso. 

Di tanto in tanto comode panchine, all’ombra di alberi maestosi, consentono ai visitatori un momento di pausa in cui poter riposare, riflettere o pregare in tranquillità. 

Siepi di Lauro e Biancospino oltre a garantire riservatezza, promettono simpatiche incursioni da parte di lepri curiose, mentre all’ombra di Salici, Cipressi, Larici e Nòccioli, scoiattoli e piccoli selvatici fanno del loro meglio per farsi notare. 

Gli animali, qui, non hanno paura dell’essere umano e, questo, mi aiuta ancora di più a percepire il luogo come una realtà quasi sacra. La natura orienta, con la sua innegabile bellezza ed armonia, verso un autentico rispetto per il creato.

Probabilmente è un’illusione, ma le sensazioni di fiducia e serena rassegnazione mi sembrano realmente pure. E’ come se l’umano, spogliatosi di tutto ciò che l’ha reso imperfetto, avesse dichiarato di voler realmente prendere parte al miracolo della vita inserendosi nel ciclo naturale degli eventi. Soprattutto, senza professarsi superiore rispetto ad altri esseri viventi.

Lo trovo di una nobiltà straordinaria.

Mi piacerebbe, davvero, poterci credere. Invece sembra che questo genere di consapevolezza si acquisisca soltanto in momenti particolari della vita. 

Poi, quasi fosse un peccato evolversi spiritualmente, si torna alla mediocrità di sempre. La routine della vita nutre le nostre meschinità e, in men che non si dica, torniamo a rivelarci in tutta la nostra misera pochezza. Dimenticandoci subito di quando sentendoci fragili, spaventati e senza speranza, invocavamo qualsiasi genere di aiuto e conforto. Quante lacrime di coccodrillo e quante promesse infrante ! 

Che tristezza…

Serie: Città Metafisica


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