La leggenda del remo solitario

Era un’afosa estate di fine millennio.

Mancavano ormai tre anni alla fine del ventesimo secolo e nessuna ancora sapeva quali disastrosi mutamenti avrebbe portato con se il ventunesimo secolo.

Cinque strampalati amici appena ventenni stavano salpando per una vacanza isolana destinata a rimanere impressa in modo imperituro nelle loro memorie.

Baccio, Veleno, Templare, Tormento ed Agonia avevano caratteri condizioni economiche e livelli culturali differenti, venivano da ambienti differenti ed erano il prodotto di storie differenti.

Arrivarono sull’isola a seguito di una traversata travagliata.

Dopo alcune nottate brave terminate rigorosamente in risse sanguinose, vomitate per abuso di bevande alcoliche, allontanamenti forzosi dai locali, pugnali volanti e stellette ninja conficcate nella schiena, lo screanzato gruppo decise di noleggiare un gommone per effettuare una perlustrazione della meravigliosa costa isolana e delle sue splendide insenature.

I cinque storditi si svegliarono di buon’ora.

Il sole si ergeva alto luminoso e cocente nel cielo.

Il noleggiatore, osservando quel gruppo di imbarazzanti sfollati privi delle dotazioni dell’abbigliamento e delle protezioni necessarie per affrontare una giornata in mare aperto, domandò se erano in grado di condurre un natante e se, soprattutto, erano a conoscenza delle insidie della navigazione.

Tormento, noto per le sue sbornie ai limiti del coma etilico e dei clamorosi cedimenti del fegato che si traducevano in ingloriosi attacchi di dissenteria, pervaso da uno dei suoi insani rigurgiti di mitomania dichiarò, prima che gli amici potessero tramortirlo con una bottigliata nel cranio, di avere avuto esperienze come mozzo nei cantieri navali e, avvicinatosi al noleggiatore attonito e disgustato, afferrò, con tracotante sicurezza, le chiavi di accensione del natante.

Veleno, ricordato dai posteri per il suo carattere bilioso ed il suo eloquio caratterizzato da contumelie e minacce, scosse il capo mormorando “Quanti calci nella testa”.

Templare, con il suo atteggiamento pomposo ai limiti della megalomania, si mise ad osservare l’orizzonte cercando in esso le risposte esistenziali che la birra non gli permetteva di raggiungere.

Agonia predisse, con una risata cantilenante, la morte di tutti i componenti della comitiva.

Baccio si premurò di verificare se l’unica cosa che veramente contava per quei pietosi disadattati fosse presente, ovvero gli alcolici.

Il noleggiatore, verificata la copertura assicurativa, alzò le spalle, consapevole che, in caso di affondamento, vi sarebbe stato il risarcimento integrale.

L’ingiovibile comitiva iniziò la propria peregrinazione.

Dopo alcune ore di navigazione sotto il sole cocente, Tormento, esausto, spense il motore.

Il sole spiombato picchiava in perpendicolo nelle loro teste obnubilate dall’alcol, producendo negli stessi un sudore copioso e nauseabondo.

Improvvisamente Templare urlò.

I cinque manfruiti si resero conto di essere posizionati sulle rotta dei traghetti che collegavano la terraferma all’isola.

L’inettitudine della comitiva emerse in tutta la sua drammaticità. Tormento, preso dal panico, tentò di riaccendere il motore senza esito, per poi crollare a terra, trafitto da un rigurgito alcolico.

Templare si precipitò alla affannosa ricerca dei remi.

Fu in quel momento di dramma che la squinternata comitiva scoprì che la dotazione comprendeva soltanto un remo.

Templare restò a fissare inebetito il remo, mentre Veleno e Baccio iniziarono disperatamente a mulinare le braccia in mare.

Agonia ridacchiava compiacendosi dell’avveramento della sua predizione.

Alla fine, grazie ad uno spostamento di rotta del traghetto seguito da una pioggia di insulti e lancio di oggetti da parte dei passeggeri, il pericolo dell’impatto venne scongiurato.

La corrente riportò il gommone nei pressi della riva.

Tormento, nel frattempo rianimatosi, tentò di accendere il motore in una zona dedicata alla balneazione, e, quindi, vietata.

I bagnanti iniziarono ad inveire contro gli scriteriati, urlando loro di usare i remi per uscire dalla baia.

Fu in quel momento che l’ardimentoso Templare, noto per le sue impennate estemporanee infelici e fuori luogo, decise, prima che gli amici potessero finirlo a colpi di remo nel cranio per poi gettarne i resti in pasto agli squali, di prendere in mano la situazione.

Il tristo, brandendo il remo verso la folla, urlò: “Abbiamo un remo solo! Dobbiamo usare il motore”

Ovviamente, a causa della distanza e dei rumori, le sue parole non vennero udite dai bagnanti, i quali videro semplicemente un demente che si dimenava brandendo il remo in quello che sembrava un minatorio atteggiamento di sfida.

Baccio e Veleno sgranarono gli occhi vedendo quelle placide combriccole estive tramutarsi in un’implacabile orda assassina assetata del loro sangue.

Per un attimo, peraltro non troppo breve, le loro labili menti furono attraversati dalla vigliacca tentazione di contrattare la fuga, consegnando Templare alla massa furente.

Agonia si inginocchiò ed iniziò a pregare sommessamente l’ Onnipotente di accogliere la sua anima peccatrice nel Regno dei Cieli.

Nel momento in cui sembrava che la loro giornata dovesse terminare in un atroce linciaggio, Tormento riuscì a riaccendere il motore, per poi ripartire a razzo urlando alla folla inferocita il suo più celebre slogan, ovvero: “Baciatemi il culo!”

Alla fine della giornata i cinque disadattati riuscirono, pur avendo riportato ustioni di quarto grado e rischiato la morte per disidratazione, a riconsegnare il gommone.

Nessuno ebbe la forza di contestare l’assenza del remo al momento della riconsegna.

Alla spicciolata raggiunsero l’ auto.

Quella sera sarebbero andati a ballare fino al mattino seguente, si sarebbero ubriacati in modo ignobile, e, tornati a casa, avrebbero tamponato i conati di vomito con una spaghettata sproporzionata.

E così avrebbero fatto per tutti i seguenti giorni di quella folle ed indimenticabile vacanza.

Quello fu, fortunatamente, l’ultimo viaggio di quella strampalata comitiva.

Alla fine ognuno prese la propria strada.

Templare oggi è un professore.

Baccio è un avvocato.

Tormento è un padre di famiglia.

Agonia lavora come dirigente per un’ importante fondazione cittadina.

Veleno conduce un’impresa col fratello, è sposato ed ha un figlio.

Ogni tanto, casualmente, si sentono e si vedono.

D’altronde così va la vita.

Ci sono generazioni che nascono ed altre che muoiono.

Ma ciò che forse la rende meritevole di essere vissuta sono proprie le piccolo grandi avventure che rendono immortali, almeno nel ricordo, i protagonisti che le vivono.

E quel giorno, in quello spicchio di isola, sotto quel sole cocente, il remo mancante fece vivere ai cinque amici un’avventura che li rese immortali.

Quel giorno quei cinque infelici scrissero la leggenda del remo solitario

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Discussioni

  1. “Ma ciò che forse la rende meritevole di essere vissuta sono proprie le piccolo grandi avventure che rendono immortali, almeno nel ricordo, i protagonisti che le vivono.”
    Tanta verità in questa frase. Sono i ricordi più belli. Complimenti👏

  2. Un ottimo sistema per raccontare pezzi di vita che spesso vorremmo (ri)vivere… Mi piace il ritmo con cui racconti l’avventura, un ritmo sincopato, fatto di frasi brevi e pensieri veloci.

  3. “Ci sono generazioni che nascono ed altre che muoiono”
    Verissimo e inesorabile. Sa molto di leggenda, questa storia, nel senso che dietro alla metafora nasconde un insegnamento. E, si sente anche, che, ancora più dietro, c’è molto di più.

    1. Dietro c’è un pezzo di vita, magari caotico, forse ruspante, certamente poco eroico od edificante, ma comunque vissuto intensamente.
      Immagino sia un insulto all’intelligenza specificare chi è il Baccio diventato avvocato