La mia casa è laggiù (4/4) – La scelta

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: E come nel sogno mi accorgo che sto guardando nei miei occhi, in quegli occhi che allora mi avevano fissato dall’interno della bara e che adesso mi osservano da quella realtà lontana.

Sono riuscito a inserire la leva negli incavi che ho scavato tra le due pietre. Ho ripreso a lavorare quando il sole era ancora alto cercando di non fare rumore finché il cancello del cimitero è rimasto aperto ai visitatori. Adesso il crepuscolo mi costringe a utilizzare la torcia.

Spingo in alto l’estremità libera della barra di ferro e sento un cedimento lungo tutto il perimetro. L’impasto che serviva da unione cede di schianto sbriciolandosi in molti punti. Parte di questo materiale cade all’interno del sepolcro e io sento uno sfrigolio come di gocce d’acqua dentro l’olio bollente. Mi sembra di percepire una debole luce lungo tutto il perimetro della lastra di pietra che sto tentando di sollevare.

Sento che le forze mi stanno abbandonando. Sono rimasto tutto il giorno qui dentro senza cibo né acqua, ma non posso cedere a un passo dalla verità. Spingo ancora in alto la leva e riesco ad appoggiarla sulla mia spalla. Il dolore è quasi insopportabile. Con un ultimo sforzo riesco a inserire la seconda barra di ferro spingendola molto più in profondità dentro la tomba. Adesso riesco ad agire con più forza e la pesante lastra rivela via via il segreto celato all’interno del sepolcro. Insisto con tutto ciò che è rimasto della mia forza e finalmente la pietra cade a terra. Mi fermo per calmare il respiro e i furiosi battiti del mio cuore. Mi fermo anche per trovare il coraggio di proseguire.

Avevo paura di essere investito dal pesante odore della morte, invece percepisco appena un sentore di polvere stantia, come quando si rovista tra le cose dimenticate in cantina. Ma la voce non l’avevo prevista, la pronuncia di una semplice parola che sembra arrivare dall’interno della tomba e nello stesso tempo da ogni angolo di quell’ambiente.

«Grazie.»

Ho voglia di fuggire via da qui, ho voglia di ritornare a respirare l’aria fresca della notte. Ma non posso farlo. Mi avvicino al bordo che separa quei due mondi, la mia realtà da un lato, l’abisso dell’ignoto dall’altro, e illumino l’interno con la luce della torcia.

So che è lei, anche se non vedo il suo viso. Distesa sullo stesso letto di terra e foglie che avevo già visto, coperta da un leggero sudario ingiallito. Intorno al suo corpo, sopra il suo corpo, una quantità di immagini sacre, piccoli crocifissi, ostie corrose dal tempo, ampolle di liquido ormai putrido che immagino essere acqua benedetta. Voglio liberare il suo corpo da tutti quegli oggetti e infine liberarlo dal telo che lo nasconde alla mia vista.

È l’ultima barriera che mi separa dalla verità. Prendo con delicatezza i due lembi ai lati del viso e faccio scivolare la stoffa verso il basso. È lei. È bellissima. Non c’è alcun accenno di corruzione nel suo corpo. I suoi occhi si muovono sotto le palpebre chiuse, come quando stiamo sognando: forse è ancora nel mio sogno, forse sta aspettando che anche io ritorni là da lei.

Mi perdo nel suo viso, i suoi occhi si fermano un istante prima di aprirsi.

Perché non ho paura?

Adesso mi guarda. Le sue mani si muovono sotto il telo e lo fanno scivolare in basso. Poi si sollevano verso di me fino a sfiorarmi il viso.

«Grazie» dice ancora in un sussurro.

Noto la sua difficoltà a muoversi, a parlare, a tenere gli occhi aperti. Sento le sue mani fredde che adesso si chiudono sul mio viso. Percepisco un leggero fastidio, come una puntura di spillo; mi allontano per un attimo da lei e la vedo portarsi una mano alla bocca. Le sue labbra si schiudono, la sua lingua inizia a leccare con avidità le dita sporche di sangue, del mio sangue. Il suo corpo ha un fremito, il viso sembra riprendere vigore, gli occhi adesso sono spalancati.

«Perché io?» le chiedo. Non ho la forza di staccarmi da lei.

«Perché sei parte di me» mi risponde. Le sue mani si muovono ancora e mi afferrano il viso. Sono più forti, lo sento; adesso hanno qualcosa da offrire oltre che da prendere. E all’improvviso ricordo: vado indietro nel tempo fino alla mia nascita, alla simbiosi con quel corpo da cui sono stato generato, alla linfa vitale che mi offriva nei primi anni di vita. Fino alla morte, fino alla mia decisione di rinnegare tutto, fino al momento in cui dimenticai ogni cosa. E poi una parvenza di vita normale lungo i secoli, la voglia di vivere come tutti coloro con cui ho trascorso parte del mio tempo, e che il tempo mi ha portato via. È lei che mi ha dato la vita ed è lei che ancora adesso permette che io viva. L’ho abbandonata per la paura di condividere il suo stesso destino. Ho giovato del potere che mi ha trasmesso.

L’ho già rinnegata e adesso devo scegliere se farlo ancora oppure mettere fine a tutto: io sono qui perché lei è ancora qui. Credo che non sopravviverò alla sua fine.

Devo agire in fretta. Le sue mani indugiano ancora sul mio viso e ritornano alla sua bocca per riprendersi ciò che un tempo era suo. Ogni istante, ogni goccia, la rende più forte. Devo fare la mia scelta, come ho fatto già altre volte. Non voglio prendere il suo posto; non voglio dimenticare ancora tutto per tornare alla mia esistenza malinconica. Non voglio perdere coloro a cui lego il mio tempo, ancora e ancora e ancora.

Ho bisogno di fare appello a tutta la mia volontà per staccarmi da lei. La voce è come un’eco che ritorna da ogni punto intorno a me.

«Grazie.»

Il pesante borsone che ho portato con me è appoggiato accanto al sepolcro. Dentro ci sono attrezzi che pensavo potessero essermi utili. Tra tutti questi, uno solo non sapevo a cosa potesse servirmi… fino ad ora.

Ho fatto la mia scelta. Il lungo paletto di legno di frassino è già tra le mie mani. Mi sporgo dentro la tomba e lo avvicino al suo petto. Lei mi guarda: i suoi occhi sono ancora più belli adesso che sono bagnati dalle lacrime.

Serie: L'angoscia e l'ignoto


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