
La rattenkrieg di Guy
Quel che stupiva Guy erano le forme mostruose di chi aveva davanti. Certo, poteva anche spegnere la torcia e non vedere più, ma fosse stato così sarebbe inciampato fino a farsi male, se non che i mostri l’avrebbero sbranato.
Strinse l’X2500, si preparò a una qualsiasi imboscata degli abitanti del Pianeta.
Lui e il plotone proseguirono la marcia.
L’ultimo combattimento era avvenuto due ore prima, il plasma sparato dai fucili aveva travolto i robot di quelle contrade sotterranee, i corpi erano stati ridotti a pezzi: tentacoli, artigli, teste con un solo occhio… Guy aveva dato un calcio a una testa che era scivolata in un burrone.
Sembrava non esserci fine a quella battaglia.
O meglio, da due ore non si combatteva, solo si marciava.
Forse, si disse Guy. Forse non combatteremo più.
L’idea che il Pianeta si fosse piegato agli invasori lo attraeva più di una modella di TNT.
Era assorto nei suoi pensieri quando udì un ruggito che sovrastò qualsiasi ordine comunicato via radio.
Tutti guardarono in quella direzione.
Orchi robotici con le chele e le zampe di scorpione dal metallo brillante corsero verso di loro.
Il plotone assunse la forma di una falange e accolse gli automi con un fuoco di saturazione.
Il plasma fu più una tempesta che si abbatté sui nemici, li dilaniò, i corpi misero in mostra gli ingranaggi e i chip in silicio, alcuni scoppiarono in piccole esplosioni e andarono incontro al loro destino: la distruzione.
Non la morte, ma la distruzione.
Altri orchi robotici cercarono di scalzarli con attacchi da ogni parte, ma i compagni d’avventura di Guy li respinsero, presto marciarono sui loro resti come se stessero distruggendo per l’ennesima volta gli abitanti di Pianeta.
Dopo l’ultimo urlo, i mostri li abbandonarono.
Forse per altre due ore non si sarebbe combattuto, se non che tra meno tempo sarebbe scoppiato l’ennesimo scontro, se non… forse… magari… Guy si sbarazzò di quei pensieri. Preferì guardare più da vicino i resti del nemico. Raccolse un cranio dal solo occhio, con le dita gli strappò il bulbo artificiale, rovistò nell’orbita, si fermò solo quando fu soddisfatto. «Ho trovato il segreto».
«Che vai dicendo?». Gli altri accolsero la sua dichiarazione in questo modo.
«Sì, vi giuro, è il segreto perché loro sono dei robot mentre noi siamo creature organiche».
Si fece avanti il comandante del plotone. «E sarebbe?».
«Sono figli di questa terra, lo stesso Pianeta è un robot, e noi… noi non siamo i benvenuti. Andiamocene».
Non gli diedero ascolto.
Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi
“«Sono figli di questa terra, lo stesso Pianeta è un robot, e noi… noi non siamo i benvenuti. Andiamocene».”
Spesso diamo per assodato che l’uomo sia l’unica forma di vita intelligente degna di rispetto
Hai ragione! Grazie del commento
Io mi sono ritrovata in un attimo catapultata in un videogioco anni 90 dai colori ocra. Bravo come sempre
Ti ringrazio Cristiana! Fra poco ti scrivo un PM
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