La regola

Serie: Il labirinto


di una follia

1. LA MENZOGNA

In un luogo sconosciuto della mente, Karl avrebbe forse voluto spezzare le catene, ma non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno con se stesso, perché sfuggire anche per un solo istante a quella morsa avrebbe dato luogo ad un pensiero, che non avrebbe saputo come fronteggiare.

Aveva avuto un sonno agitato quella notte e la mattina aveva faticato ad aprire gli occhi. Quando però lei gli aveva chiesto «Che c’è? Qualcosa non va?», s’era affrettato a negare: “No, tutto bene” aveva detto. Perché la menzogna era la custode delle sue fughe e non sapeva cosa ci fosse al di là. Non riusciva a mostrarsi senza veli, immaginava che, se lo avesse fatto, avrebbe visto alzarsi un vo-lo di Erinni, sentito echeggiare un urlo spaventoso. Poteva cogliere il flusso della vita nella tenerezza di un attimo, in un fruscio di emozioni, ma si trattava di momenti che non superavano la soglia della coscienza.

«No, tutto bene» s’era difeso. Era stato anche tenta-to di dire la verità, fissandola in una delle sue ana-lisi perfette, così esatte da gelare il sangue. Ma sarebbe stata un’altra forma di silenzio. Perché era comunque la legge del silenzio quella a cui ubbidiva. Doveva credere che il silenzio fosse giusto, perché, violandolo, sarebbe stato annichilito.

«No, tutto bene» aveva detto. E s’era girato dall’altra parte, chiedendosi se potesse chiamarsi menzogna la sua, quando era la sola via d’uscita.

2. LA RESA

«La trasparenza non fa per me» si ripeteva Karl «la mia è una somma di diffidenze, una solitudine inconfessata, e non può essere che così. Quando ho cercato di essere diverso, l’ho fatto solo per precipitare in altre finzioni ed altri equivoci.»

Ma di questa certezza, che aumentava di giorno in giorno, non faceva parola con nessuno. Anche un cenno avrebbe infatti aperto una breccia, avrebbe smentito la sua estraneità dal mondo, implicato un’apertura, proprio all’atto di dichiararne l’impossibilità, e avrebbe segnato con ciò l’insostenibile inizio di un rapporto.

Rientrò quindi nei suoi cunicoli, e lo fece in silenzio, senza lasciar traccia.

3. LA SCOPERTA

«Forma e contenuto!» ripeté Karl «Forma e contenuto!» e fissava le serpentine di fumo nel fascio di luce della lampada. «Non c’è contenuto senza forma né forma senza contenuto!» Avrebbe voluto fermare sulla carta questa grandiosa impensabile conquista, riportarla tra le minuziose annotazioni del diario, ma sapeva che la tensione del momento altera il fascino delle scoperte e che la verità più abbagliante si riduce a un mucchio di cenere, a riguardarla con gli occhi del giorno dopo.

4. LA MANO

«Perché solo ora?» si chiedeva Karl guardando la mano sospesa, svincolata da ogni pensiero, libera come un oggetto, bella addirittura. Perché quella mano solo adesso bastava a se stessa, assorta quasi, stagnava nell’aria in una completa assenza di difese, in una pace assoluta? «Perché io non sono mai stato così con nessuno?».

5. LE RAGIONI

Se mai parlava dei suoi tormenti, Karl, era per spiegarli e, non trovandone le ragioni, s’impegnava a ricostruirle, notandone lui per primo la pretestuosità. Nella loro manifesta inaffidabilità, si convinceva poi che fosse arbitrario anche il suo sentire, la sofferenza cioè; o, nel migliore dei casi, che non avesse modo di liberarsene. Né l’una né l’altra cosa d’altra parte lo consolava. La seconda, anzi, lo precipitava in un pozzo senza fondo, da cui provava a venir fuori, ma come scalandone le pareti a mani nude, senza avvicinarsi mai all’uscita.

6. L’AMORE

Era un’oscura pulsazione, un vortice di mille scintille, ma pur sempre un gioco e quella donna un giocattolo. Se si fermava a pensarci, l’incantesimo si spezzava e Karl vedeva davanti a sé due occhi uguali a tanti altri e, dietro quegli occhi, una vita senza sorprese. Lasciò scivolare le labbra lungo la curva del seno e più giù, sopra il ventre piatto, e all’improvviso sentì la repulsione. Una corda che lo strattonava. Pochi centimetri ancora di pelle, l’aspro odore dell’intimità, e sarebbe stata la fine del sogno. Il suo sogno era anzi già un altro, mentre la bocca ormai si tuffava negli umori del recesso femminile. Karl era già diverso, di nuovo alla ricerca di un amore senza condizioni, di un attimo di fulgore, di un possesso effimero, già rientrato nel cerchio di una solitudine che lo salvava da un’altra solitudine, smisurata e tremenda.

7. LA CONFESSIONE

Karl confessò le sue menzogne, senza pudore, quasi con ferocia. Era però come se le parole ronzassero intorno a un pensiero che non si mostrava. Era stentoreo e circostanziato, e dava l’impressione di una franchezza senza limiti. Eppure si sentiva tanto più lontano dalla verità, quanto più cercava di afferrarla. Ignorava Karl di aver bisogno di questa distanza, della stessa insoddisfazione che gliene derivava, e che questa colpa era assai più grande di quella che andava dichiarando. Era questa e non quella la faccia nascosta della sua anima.

8. LA TRASFORMAZIONE

Karl si riempì d’azzurro e fu terso come un cielo; poi si incupì, inclinò verso il blu e fu di nuovo viola, di un viola illividito e spesso. E di tutto questo nessuno s’era accorto. Anche lui prese quindi a dubi-tare del doppio passaggio, in avanti e indietro, se l’avesse fatto per davvero o non avesse solo attraversato la parete di un sogno.

9. UNDICI BOTTONI

Undici bottoni. Karl si accorse di averli contati uno a uno. Perché la sua mente era così: aborriva le profondità e si perdeva nelle inezie. Ne prese nota con una coscienza impotente.

10. IL PENSIERO DI UN PENSIERO

La luce della lampada sbalzava sulla pelle zone d’ombra. Sul suo petto nudo, nella semioscurità, s’addensava una lanugine di bestia, una selvatichezza animale. Karl si passò una mano sul torace: «Ecco» disse «io vedo e penso me stesso, ma non so pensare il me stesso che pensa e che vede».

11. L’ARZIGOGOLO

Era prigioniero della sua mente, come di una spira-le. Avrebbe voluto dirlo, urlarlo anzi, mettere a nu-do questa condizione, che era la sua più vera, ma l’impulso subito si congelava. S’attardava allora in spiegazioni, in inutili ammissioni, delle quali anche la più accorata diventava all’istante un arzigogolo.

12. LE IMITAZIONI

Karl era affascinato dalla lealtà, tanto da fingersi leale, non tanto però da esserlo.

Lo stupiva anche la facilità con cui gli altri comunicavano tra loro e si scambiavano effusioni, sicché faceva ogni volta grandi sforzi per mostrarsi cordiale e affettuoso.

Tutto restava però un’imitazione, una cosa che non gli apparteneva.

13. LE VISIONI

«Artista» s’affrettò ad annotare Karl, prima che il pensiero dileguasse «è chi dà forma a quel che sente e vede, comunicandolo ad altri, che attraverso di lui lo scoprono per la prima volta».

Ma quelle parole erano già distanti e morte, cristalli in un labirinto di specchi. A questo erano desti-nati i tentativi che faceva per dar corpo alle sue visioni, a rinsecchire, non conservando più traccia di lui.

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Discussioni

  1. Molto interessante, originale ed inquietante, costruito con una prosa potente e raffinata.
    La scansione a brevi sezioni, ognuna una diversa osservazione su sé stesso e sul proprio rapporto con la realtà “esterna”. Una scansione allucinatoria, distaccata eppure intima. Intima perché interiore fino a diventare anatomica; distaccata perché tentativamente oggettiva, come l’osservazione curiosa ed analitica di un naturalista che dissezioni una rana.
    In parte, nel mio compulsivo gioco di trovare analogie, mi ricorda P.K. Dick. Ma decisamente non solo. E c’è tanta originalità. Ah, già: lo avevo detto prima, mi ripeto.
    L’ho detto che mi piace?

    1. Grazie per il tuo commento, soprattutto per il giudizio sulla prosa. Sono all’esordio su questo sito e anzi, in generale, su un sito di scrittura e temevo l’impatto, per cui le tue parole hanno avuto l’effetto di un incoraggiamento.

  2. Trovo davvero interessante e funzionale questo metodo di spezzare il racconto in sotto capitoli, sotto tracce, come fossero dei trailer del racconto. Soprattutto per il sottoscritto che si reputa un lettore/fruitore molto distratto.