La scatola blu

Sudato, stanco e con i muscoli doloranti cerco di mostrarmi sano di mente a Kit Pearson, lo sceriffo di fronte a me. Conosco Pearson e il suo vice Paul Dayton da almeno quindici anni e sono arrivato al loro ufficio dopo una lunga cavalcata notturna di un paio d’ore. Kit mi offre dell’acqua mentre passo la mia bisaccia a Paul, e mi esorta a dirgli cosa mi ha portato fino lì. Bevo l’acqua a piccoli sorsi e mi metto comodo sulla sedia: “Tutto è iniziato con l’arrivo del sacerdote.

Il sacerdote si chiama fratello Kraven, o così si fa chiamare, e arrivò qualche settimana fa nel mio paese. Lo vidi per la prima volta una mattina, mentre mi trovavo fuori dal mio emporio: era vestito con un lungo spolverino nero e un cappello a tesa larga, e devo dire che anche se non era armato sembrava più un pistolero che un uomo di chiesa, ma non potevo immaginare che fosse molto più pericoloso. Andava in giro a professare un qualche culto misterioso, originario a suo dire della vecchia Europa, inchiodando con i suoi gelidi occhi azzurri chi incontrava e gesticolando con lunghe dita ossute mentre parlava. Invitava tutti nella sua dimora, una casupola ai margini del paese più simile a una catapecchia che a una casa vera e propria, promettendo sensazionali rivelazioni sull’esistenza.

Io mi tenni alla larga da lui, e così fecero praticamente tutti i miei concittadini. Fu il prete della chiesa locale, padre Tobias, il primo a voler incontrare di persona il nuovo arrivato: infastidito dalla sua presenza, il gracile prete del paese si diresse una sera a casa del sacerdote. Non sono a conoscenza di cosa accadde, anche se lo posso immaginare, fatto sta che dal giorno dopo padre Tobias iniziò a elogiare apertamente Kraven, tessendo lodi verso il sacerdote addirittura dal pulpito della chiesa. 

Le parole di Tobias diedero vita a sempre più numerose processioni verso la casa di fratello Kraven, e una sera anch’io ci andai. Quasi arrivato sulla porta vidi il fabbro, Jonas, uscirne: aveva occhi spiritati e un sorriso insano sul volto. Spaventato e perplesso decisi di nascondermi nel retro della baracca e attraverso una finestra potei assistere a quella che non esagero nel definire una cerimonia terrificante e grottesca.

Vidi fratello Kraven al centro di una stanza spoglia e intorno a lui vi erano i presenti, disposti a formare un cerchio e a capo chino. A un paio di metri dal sacerdote vidi una piccola colonna sulla cui sommità c’era una oggetto che mi sembrò una piccola scatola di legno, di color blu scuro. Kraven mormorava qualcosa ma le sue parole non erano rivolte a nessuno in particolare, sembrava recitasse una nenia o una qualche preghiera. Quand’ebbe finito prese la scatola e la mise davanti a ciascuno dei presenti, e ognuno di loro guardò all’interno: mi parve di scorgere una luce provenire dal piccolo contenitore e tutti la fissavano con un’espressione folle e spiritata. Poi avvenne qualcosa di insano e malvagio, e non potei far nulla per oppormi.

Vidi il piccolo Timothy, il figlio del barbiere, entrare nella stanza e mettersi al fianco del sacerdote. Anche il bambino aveva un’espressione perversa sul viso, e tutti i presenti lo fissavano sghignazzando. Fratello Kraven mise la scatola blu in mano a Timothy e con un rapido gesto estrasse un piccolo coltello dalla tasca, per poi conficcarlo nel collo del ragazzino. Il vociare divertito si trasformò in uno scoppio di risa vere e proprie mentre Timothy si accasciò a terra e il sangue iniziò a sgorgare dalla ferita, finendo all’interno della scatola blu. Io, inorridito e sconvolto, urlai.

Tutti si voltarono verso di me. Indietreggiai di qualche passo e iniziai a correre verso il paese, ma fui troppo lento: Bob, il maniscalco, uscì dalla casa di Kraven e con un balzo mi fu subito addosso, immobilizzandomi a terra. Kraven avanzò verso di me con la scatola blu in mano: due paia di braccia robuste mi sollevarono e mi misero in ginocchio mentre il sacerdote mi prese la testa con la sua mano scheletrica e mi costrinse ad ammirare la luce sprigionata dalla scatola. I lampi blu calamitarono il mio sguardo, visioni di sangue e violenza apparvero innanzi ai miei occhi. Non so dire per quanto tempo fui costretto a guardare, ma ricordo una sensazione di follia crescere dentro di me, incontrollata, e il desiderio malsano di continuare a nutrirmi degli orrori che stavo guardando.”

Faccio una pausa, finendo l’acqua nel bicchiere. Lo sceriffo mi guarda più spaventato che perplesso: probabilmente mi crede. “Come ti sei liberato?” Mi chiede, dopo qualche secondo. Lo guardo, sorridendo, e il mio sorriso si allarga sempre di più: “Mi ha lasciato andare. Vuole che lo aiuti a far sprofondare la tua bella città nel caos. Nel dolore. Nelle tenebre.”

Kit mi guarda allibito mentre io piombo verso di lui per bloccarlo contro la parete. Urla qualcosa a Dayton ma con orrore vede il suo vice avvicinarsi con qualcosa di luminoso in mano: Paul non ha resistito al richiamo della scatola blu, nella mia bisaccia. Il vicesceriffo piazza la scatola davanti agli occhi di Pearson e lo sceriffo non può fare altro che sprofondare nella follia, mentre io e Paul iniziamo a ridere sguaiatamente.

Fratello Kraven arriverà presto in città, e sarà fiero di noi.

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Discussioni

  1. Anch’io vorrei tornare a leggere di fratello Kraven. Inserire un’ambientazione western in una storia come questa è stata una mossa vincente: incuriosisce, “svecchia” un mondo di tutto rispetto che il lettore porta nel cuore fin dall’infanzia. L’originalità sta proprio in questo: creare meraviglia dove non ci si aspetta.

  2. Bello questo racconto! Il finale mi ha completamente sorpreso. Mi è piaciuto molto il passaggio in cui si dice che non si riesce a distaccarsi, del desiderio malsano di nutrirsi degli orrori del mondo. È proprio vero. Bravo al prossimo racconto!

    1. Grazie Cristiana!
      L’idea di ambientarlo nel Far West mi è venuta dopo averlo iniziato : ho pensato che l’unione tra western e horror ci stava bene.
      Al momento è un racconto singolo ma sto pensando di continuarlo 🙂
      Sono contento ti sia piaciuto

  3. Quella della scatola blu nella bisaccia che incanta il vice sceriffo è una genialata!
    Il racconto in sé invece, con la sua ambientazione western e i temi che tratta, l’ho trovato piuttosto originale; mi ha ricordato vagamente le atmosfere di Lovecraft, per certi versi. Trovo che sarebbe carino farci una serie in effetti, perché ora sono rimasto curioso su quali possano essere le intenzioni del misterioso e malvagio Fratello Kraven.
    Un saluto 😀