La seduzione

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


Tra i vari presenti al piano ammezzato vi è anche Ariele, che raggiunge l’amico Gustav, invitandolo a firmare il contratto di direttore della rivista, comunicandogli che anche Lara ha sottoscritto la stipula come responsabile di redazione, e che difficilmente potrà più portarla via da lì.

«Quando sarà il momento distendi il braccio, tira un bel respiro e non pensare a nulla. Dopo aver firmato potrai avere tutti i comfort che desideri, a partire dai più materiali fino ai più eterei e spirituali, ne avrai tutto il diritto. Ritornerà la ragazza volpe e ti condurrà nella suite imperiale del direttore, dove soggiornerai con le due bambine e con tua moglie. Tua cognata è stata già avvertita. Era giusto metterti al corrente degli aggiornamenti principali che ti riguardano. Sono sicuro che avresti fatto lo stesso nei miei confronti.»

«Le bambine? Ma cosa diavolo ti salta in mente? Le mie bambine non sono qui! Non hanno alcun ruolo, adesso, o forse… aspetta un momento, riavvolgiamo il nastro, altrimenti…»

«Nessun nastro, Gustav. È importante che tu tralasci le dinamiche familiari, almeno per il momento. Non devi fare altro che firmare, il resto verrà dopo. Vado a chiamare i sette testimoni. Tu intanto rilassati e respira. Andrà tutto bene.»

«Ma io… insomma, non riesco a tenere ferma la mano! Mi sa che sta peggiorando. Guardala bene, per favore. Non mi è mai successo, nemmeno alle scuole medie, durante il tema in classe su Goebbels. Mi sa che è una mano inutilizzabile, ormai.»

«Inutilizzabile, hai detto? Ma a chi vuoi darla a bere, Gustav? Credi che sia nato ieri? Andiamo… un avvocato del tuo calibro che non riesce a mettere una semplice firma in calce a un contratto.»

«Guarda qui, se non ci credi. Eccola la mia mano di avvocato! In tutto il suo prestigio e splendore. Ti sembra che stia fingendo? Secondo te sarei così bravo da simulare un tremore di tale portata? Allora? Non hai più la lingua, Ariele?» gli dissi, mostrandogli la mano destra che tremava con violenza e che non riuscivo più a fermare.

«Non fare il drammatico, Gustav. Ci stai pensando troppo, è questa la ragione della tua ansia. Ti succedeva lo stesso in classe, poco prima delle interrogazioni, quando il dito uncinato del professore scorreva sui nomi del registro. Ma adesso, purtroppo, non ho più tempo, devo proprio andare. Sarò qui a breve, comunque. Tieniti pronto» e sgusciò fuori, sbattendo la porta, indifferente al mio stato di smarrimento e tensione. Rimasto da solo, raggiunsi di furia il tavolino, senza nemmeno pensarlo o volerlo: presi la penna e lasciai lo schizzo di una firma illeggibile sul foglio ruvido del contratto, nonostante l’assenza di testimoni – al diavolo i testimoni, pensai.

Mi slanciai verso la porta, la aprii di scatto e incontrai un abisso di silenzio e di vuoto. Nemmeno il vociare degli ospiti dalle sale adibite all’inaugurazione, né gli echi dell’orchestra da ballo e della brava cantante in carne, da farmi sentire in un fondale oceanico o nel cuore bianco di un convento. Poi, oltre il corridoio, alcuni passi sui tacchi. Era proprio lei, sola soletta, la cantante maledetta di poco prima, stavolta con un vestito rosso e una mano contratta dietro la schiena, che cercava disperatamente di tirarsi su la lampo difettosa del suo abito.

«Finalmente, avvocato. Ho girato tutto l’albergo per cercarla. Lo sa che tra poco devo attaccare?»

«Ci sono diverse cose, signorina, che sono accadute nel breve spazio di tempo che ci ha separati, e che non ho compreso. Alcune la riguardano in prima persona, e credo che sarebbe giusto parlarne.»

«Certo, sono d’accordo, avvocato, per me sarà un grande onore. Basta che mi aiuti con la dannata lampo del mio abito. Mi sta facendo impazzire. La mia sarta è in Messico. Se fosse così geniale da disincagliarla, potremmo risolvere entrambi i problemi in uno. Riesce a vederla?» e intanto si voltò di schiena, sempre più procace e disinibita.

«I problemi della sua lampo – certo che la vedo –, ma anche una serie di illazioni piuttosto gravi che mi riguardano, di gran lunga più importanti, mi creda.»

«Capisco, avvocato; ma lei, intanto, doveva recuperare il mio amato portachiavi con l’uccellino rosso, ricorda? L’avevo pregata di raggiungere la sala dell’orchestra e di controllare dietro la tenda verde bottiglia il tavolino degli avanzi per gli orchestrali, dove ero sicura lo avrebbe ritrovato, se solo fosse subito andato lì, come mi aveva promesso, mentre invece…» ma io la interruppi.

«Ricordo benissimo, signorina, ma le ripeto che tutto ciò che è successo da quando l’ho lasciata non è dipeso in alcun modo dalla mia volontà, ma da un inganno che è stato organizzato alle mie spalle. Pensi che mi hanno fatto salire qui dicendomi che il mio amico poeta aveva avuto un attacco di cuore, mentre invece sta benissimo. Era solo una trappola ignobile per farmi firmare un contratto, si rende conto?»

«E allora? Lo ha firmato, almeno?»

«Certo che l’ho firmato. La mia firma è stata esemplare, nonostante la tensione sinistra che mi dominava. Da ora in poi sono il direttore ufficiale della rivista dei nuovi ermetici» e la cantante scoppiò a ridere, non riusciva a calmarsi. Si mise le mani sulla bocca, per cercare di contenersi, e intanto il vestito le scivolò di dosso, lei non se ne accorse: prima le spalle, poi le clavicole, lasciando affiorare due mammelle incantevoli da massaia, dai capezzoli rosa antico con striature rubino, mai viste così maestose ed esemplari in tutta la mia carriera. Le sue risate le facevano sussultare a tempo. Allora la presi per mano e la trascinai indietro, nella camera dove avevo firmato – era ancora deserta, senza testimoni –, così da mostrarle il mio contratto. Chiusi a chiave la porta, mentre il vestito rosso continuava a scivolarle, adesso le scopriva i fianchi, le cosce, le mutandine nere, fino alle caviglie.  Ero annebbiato dal suo corpo smisurato e giunonico che si espandeva in altri colori, dimensioni e confini, disegnando ombre cinesi e lussuriose alle pareti. Allungai una mano sul suo nudo imponente, per controllare se scottasse; poi la ritrassi subito, scorgendo il suo viso di bambola stracciarsi in una risata più atomica delle precedenti, prima di scagliare un rutto furioso, girandosi, col vestito all’altezza delle caviglie con le mammelle debordanti per ogni mio palmo proteso a contenerle.

Davvero impetuosa la cantante, con il suo gran sedere da regina della notte, mentre mi chiedeva una contorsione astratta, inarrivabile, per sublimarla di nuovi piaceri sconfinati prima della sua performance, accorgendomi che per ogni carezza sulla sua carne in fiamme la mia firma svaniva e poi ricompariva in filigrana sul foglio del contratto che tenevo a vista. Non mi sembrava vero, ma la pienezza delle sue carni stava diventando parte sacrificale e calligrafica della mia identità.

Continua...

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