Caro Luigi, ci stai tenendo sulle spine 🙂
Questo pranzo non arriva mai, così come non arriva la conclusione della lunga narrazione dei fatti come riportata dal Poeta agli amici di vecchia data. In corso c’è una cena, altrettanto misteriosa. La tua capacità narrativa sta nell’avercela quasi fatta dimenticare. Come fosse un romanzo nel romanzo. D’altronde, i tuoi testi vanno sempre letti con la giusta attenzione e ben aggrappati a quella corda che ci porta da un lato all’altro.
“La sua esaltazione in parte mi imbarazzava, dall’altra mi insospettiva, non ve lo nascondo” Sinceramente, questa esaltazione plateale, insospettisce anche me, tanto quanto il contenuto di tutti quei foglietti scritti e poi stracciati.
“A pettinarsi come una donna mai amata, che si preparara per una festa a cui non è stata invitata.” Mi ha colpito molto questa parte centrale del racconto in cui ti soffermi ad analizzare, attraverso il pensiero del Poeta, il sentimento di frustrazione che ci attanaglia quando scriviamo e ci rendiamo conto di non essere letti se non in maniera superficiale. E poi, all’improvviso, qualcuno ce la fa, senza arrancare, semplicemente per la sua naturale bravura. Le parole di Edo fanno ping pong con i pensieri del Poeta. L’uno parla, tantissimo, troppo; l’altro pensa. Hai costruito un dialogo davvero curioso che ufficialmente è un monologo anche se nelle nostre teste di lettori, gli interlocutori sembrerebbero due.
Ciao, Cristiana. Il cuore dell’episodio è proprio lì, nel punto cruciale dove lo hai individuato. Sentirsi messi all’angolo dalla propria natura, dal senso che diamo alle cose finite o filtrate dal nostro desiderio di raccontarle, di restituirle a una dimensione parallela, forse unica, trasversale, come se la realtà cominciasse solo nel punto in cui sentiamo e sappiamo di immaginarla, rendendola parte di un nostro riflesso, di un ultimo respiro, del filo di un aquilone perduto dalla mano del bambino paralizzato. Ma a volte la penna non scrive e la carta finisce sul più bello, allo stesso modo l’amore per le proprie parole, se non per la propria vita attraverso le quali smuoverle dal loro sonno, dal torpore secolare che le ha ibernate nella loro perfezione di inesistenza e di libertà.
Il viso della donna allo specchio, quando solleva il pettine, ricorda che ormai è troppo tardi per tutto, avrà sbavato anche il rossetto sul labbro inferiore, fino a sporcare un dente. Non basterà la sua poca saliva sul fazzoletto per salvare il bianco della camicetta dal sangue della sua solitudine, che in fondo è la parte più preziosa a rappresentarla, tutto quello che ha, la tenerezza del suo decoro.
Si è fuori tempo massimo, fuori regola, eppure si è ancora in gioco. In fondo sarà sempre il Poeta a dettare le sue regole di dannazione e di maledizione, che filtrate dallo sguardo enigmatico di Edo, porteranno avanti questa fase ancora nebbiosa di estradizione, dove nulla è come sembra e dove tutto, per un misterioso incantamento, potrebbe non esserci mai stato, chissà, ma avere ancora un suo significato, una sua verità.
Grazie dell’attenzione e della dedizione all’episodio e alla serie. A presto.
Il testo è scritto con una prosa ricca e densa, che esplora con sensibilità e profondità psicologica il rapporto ambiguo e complesso tra i due personaggi. La scrittura è vivace e ben ritmata, con dialoghi incisivi. Solo a tratti noto una sovrabbondanza descrittiva che potrebbe essere asciugata per migliorare la fluidità. Aspetto di leggere il seguito.
Ciao. Ti ringrazio del tuo commento. Non sono testi definitivi ma prove in corso di approfondimento, ma nello stesso tempo sono scritti che ho sotto mano da diverso tempo e sui quali ho comunque ragionato e fatto le mie valutazioni. Di sicuro saranno interessati da opportuni ridimensionamenti in una fase più avanzata. Non sono quindi progetti chiusi o blindati. Ma in relazione alla sovrabbondanza che tu avverti, credo che sia un tratto peculiare della mia voce e delle mie scelte stilistiche. Non penso che sia relata a una questione “additiva” ma di approccio sensibile alla densità, all’uso del pensiero, delle dinamiche, dei tempi, delle sensazioni delle singole inquadrature e dei prospetti dimensionali dove la lingua si articola e si muove – della mia visone di gioco, per dirla in soldoni, su cui vi è poco da fare, purtroppo. Non credo che sottraendo qualcosa avresti una sensazione di appagamento (ne parlammo anche in relazione a un altro episodio in cui mi desti lo stesso consiglio). È chiaro che secondo un prospetto di editing si potrebbe ridurre sempre tantissimo, ma in questa mia fase di ricerca non lo avverto un elemento prioritario. Ti ringrazio in ogni caso della tua visione su cui rifletterò, come faccio sempre quando mi confronto con altri sguardi.
Un saluto.
Ti capisco anche io sono eccessivo (spesso). Ho imparato proprio durante la fase di editing ad asciugare il testo. Chi mi aiuta nella revisione mi dice che un testo troppo “abbondante” rischia di annoiare il lettore e pare che a me capiti spesso (almeno a sentire lei). Hai ovviamente ragione che in questa fase della scrittura tu non debba necessariamente limitarti e quindi vai di inchiostro.
Caro Luigi, ci stai tenendo sulle spine 🙂
Questo pranzo non arriva mai, così come non arriva la conclusione della lunga narrazione dei fatti come riportata dal Poeta agli amici di vecchia data. In corso c’è una cena, altrettanto misteriosa. La tua capacità narrativa sta nell’avercela quasi fatta dimenticare. Come fosse un romanzo nel romanzo. D’altronde, i tuoi testi vanno sempre letti con la giusta attenzione e ben aggrappati a quella corda che ci porta da un lato all’altro.
Siamo prossimi a un cambio importante di scenario e di punto di vista. Vedremo dove ci porterà.
Ancora un grazie.
Si sente, che qualcosa è in arrivo. Aspettiamo, non troppo 🙂
È un progetto ad andamento sinusoidale, purtroppo. È la sua natura.
“La sua esaltazione in parte mi imbarazzava, dall’altra mi insospettiva, non ve lo nascondo”
Sinceramente, questa esaltazione plateale, insospettisce anche me, tanto quanto il contenuto di tutti quei foglietti scritti e poi stracciati.
È vero. Tutto molto ambiguo, con un costante controluce che soggiace tra il fervore e gli eccessi.
“A pettinarsi come una donna mai amata, che si preparara per una festa a cui non è stata invitata.”
Mi ha colpito molto questa parte centrale del racconto in cui ti soffermi ad analizzare, attraverso il pensiero del Poeta, il sentimento di frustrazione che ci attanaglia quando scriviamo e ci rendiamo conto di non essere letti se non in maniera superficiale. E poi, all’improvviso, qualcuno ce la fa, senza arrancare, semplicemente per la sua naturale bravura. Le parole di Edo fanno ping pong con i pensieri del Poeta. L’uno parla, tantissimo, troppo; l’altro pensa. Hai costruito un dialogo davvero curioso che ufficialmente è un monologo anche se nelle nostre teste di lettori, gli interlocutori sembrerebbero due.
Ciao, Cristiana. Il cuore dell’episodio è proprio lì, nel punto cruciale dove lo hai individuato. Sentirsi messi all’angolo dalla propria natura, dal senso che diamo alle cose finite o filtrate dal nostro desiderio di raccontarle, di restituirle a una dimensione parallela, forse unica, trasversale, come se la realtà cominciasse solo nel punto in cui sentiamo e sappiamo di immaginarla, rendendola parte di un nostro riflesso, di un ultimo respiro, del filo di un aquilone perduto dalla mano del bambino paralizzato. Ma a volte la penna non scrive e la carta finisce sul più bello, allo stesso modo l’amore per le proprie parole, se non per la propria vita attraverso le quali smuoverle dal loro sonno, dal torpore secolare che le ha ibernate nella loro perfezione di inesistenza e di libertà.
Il viso della donna allo specchio, quando solleva il pettine, ricorda che ormai è troppo tardi per tutto, avrà sbavato anche il rossetto sul labbro inferiore, fino a sporcare un dente. Non basterà la sua poca saliva sul fazzoletto per salvare il bianco della camicetta dal sangue della sua solitudine, che in fondo è la parte più preziosa a rappresentarla, tutto quello che ha, la tenerezza del suo decoro.
Si è fuori tempo massimo, fuori regola, eppure si è ancora in gioco. In fondo sarà sempre il Poeta a dettare le sue regole di dannazione e di maledizione, che filtrate dallo sguardo enigmatico di Edo, porteranno avanti questa fase ancora nebbiosa di estradizione, dove nulla è come sembra e dove tutto, per un misterioso incantamento, potrebbe non esserci mai stato, chissà, ma avere ancora un suo significato, una sua verità.
Grazie dell’attenzione e della dedizione all’episodio e alla serie. A presto.
Il testo è scritto con una prosa ricca e densa, che esplora con sensibilità e profondità psicologica il rapporto ambiguo e complesso tra i due personaggi. La scrittura è vivace e ben ritmata, con dialoghi incisivi. Solo a tratti noto una sovrabbondanza descrittiva che potrebbe essere asciugata per migliorare la fluidità. Aspetto di leggere il seguito.
Ciao. Ti ringrazio del tuo commento. Non sono testi definitivi ma prove in corso di approfondimento, ma nello stesso tempo sono scritti che ho sotto mano da diverso tempo e sui quali ho comunque ragionato e fatto le mie valutazioni. Di sicuro saranno interessati da opportuni ridimensionamenti in una fase più avanzata. Non sono quindi progetti chiusi o blindati. Ma in relazione alla sovrabbondanza che tu avverti, credo che sia un tratto peculiare della mia voce e delle mie scelte stilistiche. Non penso che sia relata a una questione “additiva” ma di approccio sensibile alla densità, all’uso del pensiero, delle dinamiche, dei tempi, delle sensazioni delle singole inquadrature e dei prospetti dimensionali dove la lingua si articola e si muove – della mia visone di gioco, per dirla in soldoni, su cui vi è poco da fare, purtroppo. Non credo che sottraendo qualcosa avresti una sensazione di appagamento (ne parlammo anche in relazione a un altro episodio in cui mi desti lo stesso consiglio). È chiaro che secondo un prospetto di editing si potrebbe ridurre sempre tantissimo, ma in questa mia fase di ricerca non lo avverto un elemento prioritario. Ti ringrazio in ogni caso della tua visione su cui rifletterò, come faccio sempre quando mi confronto con altri sguardi.
Un saluto.
Visione di gioco, pardon.
Ti capisco anche io sono eccessivo (spesso). Ho imparato proprio durante la fase di editing ad asciugare il testo. Chi mi aiuta nella revisione mi dice che un testo troppo “abbondante” rischia di annoiare il lettore e pare che a me capiti spesso (almeno a sentire lei). Hai ovviamente ragione che in questa fase della scrittura tu non debba necessariamente limitarti e quindi vai di inchiostro.
Ciao. Il problema è che non mi sento eccessivo.