
LA SONATA DELLA FOLLIA
Il suono dell’autunno passa attraverso malinconiche note trasportate da folate di vento che innalzano in volo foglie ingiallite. Tra i palazzi il colore opaco del tramonto novembrino è un freddo nebbioso che arriva e si insinua tra le scapole, un umido che fa venire i brividi, mentre si rincasa dopo una lunga giornata di lavoro. Il traffico del rientro è una stridente melodia di brusche frenate, clacson, rombo di motori fermi ai semafori, la sirena di un’ambulanza in lontananza, passi veloci di pedoni infreddoliti. Camini condominiali rilasciano una silenziosa scia di fumo ondeggiante verso il cielo con andatura costante. La fusione di umori è una sinfonia che abbraccia una miriade di generi e di ritmi e di armonie. Fermo nel traffico, le luci artificiali, il semaforo rosso, volti dai colori biancastri, zombi mi viene da pensare, la musica arriva violenta e minacciosa, la voce stridula, elementi sinfonici si insinuano tra le ritmiche serrate dei Cradle of Filth. La nebbia rende tutto indefinito. Ci sono banchi che limitano totalmente la visibilità. Da un momento ad un altro potrebbe accadere l’irreparabile. Ma sono solo sensazioni dettate da questa atmosfera plumbea che accompagna giornate sempre più corte e fredde. Ogni giorno lo stesso percorso. Ogni giorno la stessa atmosfera decadente. Ogni giorno le stesse sensazioni. Ogni giorno la stessa musica. Arrivo nel quartiere. La sera è scesa inesorabile. Giro tra le consuete strade in cerca di un parcheggio. Non ce ne sono. Gli abitanti del quartiere sono già tutti rincasati. Il traffico di stasera mi ha fatto arrivare più tardi del solito. Non demordo e provo ad allargare l’area di ricerca. La nebbia è sempre più fitta. Il buio della notte viene penetrata dalla luce opaca delle illuminazioni. Mi incuneo in un vicolo. Non ricordo di averlo mai percorso. A dire il vero non ricordo di averlo mai visto. Sono un abitudinario. Non sono solito percorrere strade diverse dalle solite. Il vicolo è a senso unico, stretto, a imbuto. Non c’era alcuna indicazione che indicasse strada chiusa, ma mi sembra a tutti gli effetti senza sbocco. Arrivo in fondo, giro a destra e mi ritrovo in un piccolo spiazzo. C’è un parcheggio libero. Ci entro con la mia auto. La nebbia non permette alcuna visibilità. Esco dall’abitacolo. In linea d’area sarò a circa mezzo chilometro da casa. C’è un’aria strana, surreale. Sento un suono di violino alquanto sinistro. E’ una melodia stridula che mette i brividi. Sembra il lamento di una belva ferita. Da dove arriva? Mi giro intorno, ma non si vede niente. Arriva da vicino, ma non dalla strada. Un violoncello entra di colpo in scena e riesce nell’ardua impresa di armonizzare la musica bizzarra del violino. All’unisono si fermano. Si sentono delle risate. Una paura folle mi prende, ma resto immobile, vorrei fuggire a gambe levate, ma una forza oscura, o forse la semplice curiosità, mi trattengono. Il violino ed il violoncello riprendono la loro strana litania. Ma c’è una novità sonora. Un oboe accompagna con il suo suono caldo, creando un’altra atmosfera, quasi rassicurante. Entra un trombone. Sembra una sirena dal tono grave. Cosa succede? La nebbia mi sta penetrando fin dentro le ossa. Nel contempo sto sudando. Ma ho freddo. Come è possibile? Un sax entra improvviso a scombinare la sinistra melodia, improvvisando su note casuali e generando un caos sonoro. Senza rendermene conto mi avvio verso la fonte della musica. Giungo davanti ad un portone. Spingo. Si apre. Dalla tromba delle scale il suono giunge più nitido, come liberatosi dall’umidità della nebbia, ed è più sinistro. Ma io ne sono attratto fatalmente, più estrema di tutta la musica estrema che io abbia mai ascoltato. Non capisco come si possa concepire una melodia così terribile e allo stesso tempo così magnetica, non capisco come si possano suonare note con una tale intensità da sembrare ogni volta, come si fosse l’ultima nota suonata dal musicista prima della morte. Un contrasto così profondo che mi sembra di impazzire. Mi metto le mani tra i capelli, stringo le tempie e preso dallo sconforto interiore e dal dolore fisico comincio ad urlare, e urlo così intensamente, da risultare la mia voce fusa e perfetta con questa musica, un amalgama che completa questa strana sinfonia senza tempo ed al di là di ogni umano spazio razionale. Alle mie urla si aggiungono altre urla. Strazianti. Straziante è quest’opera di follia sonora che non conosce confini e si sposta sul pentagramma con impavida sfacciataggine. Inconsapevole divento parte di un insieme sonoro, componente di un’orchestra stramba. Salgo le scale. E’ tutto buio. Sento delle altre presenze dietro e davanti. Indefinite. Sono le altre urla strazianti. Arrivo all’ultimo piano. Il buio e l’umido mi avvolgono. Sono guidato dal suono. Adesso è terribilmente alto. Sento i miei timpani doloranti. Ed io urlo ancora più forte. E dietro e davanti a me urlano ancora più forte, mentre una litania, inconfondibili voci femminili, come una sorta di preghiera ipnotica, indicano la strada da percorrere. Le urla davanti a me si intensificano prima di un silenzio improvviso anticipato da un suono secco, sinistro, come un colpo di gran cassa. Di colpo sento il vuoto sotto i miei piedi. Il mio urlo intensifica la sua grottesca tonalità. Ma è un attimo. TUMP.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
ciao Marta, grazie per il tuo commento! Le virgole le uso poco quando scrivo in prima persona, perchè un suo uso eccessivo lo vedo come un interrompere il flusso di pensieri e di emozioni!
Oltre alla storia, quindi al suo contenuto, ciò che mi colpisce è l’intensità del modo di scrivere che adoperi, a volte è diretto, a volte poetico.
Trovo pochissime virgole ed io amante di esse le avrei sicuramente aggiunte in alcuni passaggi, ma il tuo castello di sintassi credo sia volutamente costruito così, e deve procedere in quel modo, bravo!