La speranza in un canto

La porta era chiusa. L’uomo le diede un calcio ma continuava a non aprirsi.

«Fanculo!» gridò arrendendosi.

Barcollò sul vialetto fino al marciapiede e si accasciò su un lampione.

Uno, due, tre fiocchi di neve gli danzarono leggeri davanti agli occhi.

«Fanculo la neve…» borbottò. Raschiò nella tasca della giacca e le dita toccarono il vetro freddo. Tirò fuori la bottiglia di Jack Daniel’s e tolse il tappo freneticamente. Si portò la bottiglia avidamente alla bocca ma non uscì alcun liquido. Diede dei colpi sul fondo ma niente, non c’era più alcuna goccia.

«Fanculo!» gridò nuovamente e lanciò la bottiglia sulla parete del negozio di liquori dietro di lui.

«Signore, è chiuso» disse un giovane passandogli accanto.

«Perché cazzo è chiuso?» ringhiò l’uomo.

Il giovane lo guardò sorpreso.

«Signore…è la vigilia di Natale»

L’uomo fece una smorfia disgustata.

«Fanculo è già Natale…»

Il giovane si guardò attorno. Iniziava a nevicare più forte.

«Senta…vuole una mano ad alzarsi…l’accompagno…»

«Fanculo!» gridò l’uomo. «Non voglio la tua cazzo di pietà.»

Il giovane si spaventò e fece alcuni passi indietro.

«Vai via!» gli urlò l’uomo. «Vattene a casa! Tu e la tua cazzo di faccia da bravo ragazzo…via ho detto!»

Il giovane fece altri passi indietro, incerto se chiamare la polizia, poi si girò e corse via.

«Ecco bravo…che testa di cazzo…» continuò l’uomo.

Appoggiò la testa sul lampione e la neve fredda gli bagnò i capelli e la barba lunghi. Chiuse gli occhi. Nuovamente lo assalì quell’immagine. Era esattamente da un anno che lo perseguitava. Vide i fari di un camion, urla dietro di lui…

«Fanculo…» borbottò rialzandosi a fatica.

Barcollò verso il centro della città, nell’indifferenza generale di famiglie allegre, padri agitati che facevano compere dell’ultimo secondo e signore che parlavano con vecchie conoscenze, annuendo e sorridendo ipocritamente mentre davano uno sguardo fugace all’orologio.

Le luci degli addobbi delle vie del centro lo accecarono.

«Fanculo…» borbottò coprendosi gli occhi.

La neve scendeva copiosa, per la gioia dei bambini e la preoccupazione degli adulti.

Le strade si svuotarono rapidamente.

«Oh, oh, oh! Oh, oh, oh!»

Un Babbo Natale all’ingresso di un negozio di giocattoli lo fissava con il suo sorriso di plastica.

«Cazzo hai da guardare?»

Il Babbo Natale fece mezzo giro con un ronzio meccanico e riprese la sua battuta.

«Fanculo anche a te, grassone del cazzo…» e si allontanò.

Vagò ramingo per le strade fredde e innevate. La testa gli scoppiava, e non solo per il dopo sbronza. Fari di una macchina lo puntarono.

Di nuovo quell’immagine nella sua testa. Si fermò, immobile.

Il conducente sterzò e gli passò a fianco suonando il clacson.

«Levati dalla strada, drogato del cazzo!» gli urlò, e dal finestrino abbassato spuntò un dito medio.

L’uomo restò immobile, fisso come una statua di ghiaccio. Alzò la testa verso il cielo e le lacrime gli uscirono fredde e arrabbiate.

«Stronzo!» urlò al cielo. «Stronzo! Perché non mi hai ammazzato!» sprofondò nella neve tra i singhiozzi di dolori.

«Perché hai preso loro e non me…» balbettò sputando tra i candidi fiocchi.

Una musica leggera, profonda, portata dalla voce innocente e pura dei bambini fino alle sue orecchie lo calmò. Fu un attimo e la musica cessò.

«Se questo è il tuo modo per dirmi che sono pazzo, giochi con il fuoco amico mio» disse rialzandosi. Si asciugò la saliva tra la barba e risentì quella musica, più forte, più viva, più calda.

Seguì quel suono, ipnotizzato, trasportato fino ad una chiesa. Guardò in cielo.

«Giochi sporco, amico.»

Entrò e le voci del coro dei bambini lo investirono scaldandolo immediatamente.

«Buon Natale signore!» gli disse un giovane.

L’uomo lo guardò sorpreso.

«Faccia da bravo ragazzo!» rispose riconoscendo il giovane di prima.

Si avvicinò ad una panca e si sedette, solo, ad ascoltare rapito quella musica.

Dal coro sbucò una bambina, dai capelli rosso fuoco. Iniziò a cantare ”Adeste fideles”.

L’uomo ebbe un sussulto. Guardò quei capelli rossi e fu trasportato indietro nel tempo, in ricordi lontani e annegati nell’odio dell’alcol…

«Papà!» corse da lui una bambina dai capelli ramati. «Io e la mamma abbiamo fatto i biscotti per i nonni!» gli disse senza dargli il tempo di togliersi il cappotto.

Lui la prese in braccio.

«Ne è avanzato qualcuno?» le chiese in un sussurro.

La bambina scosse il capo con un sorriso.

«Non ne posso assaggiare nemmeno uno? Di nascosto dalla mamma?» disse il padre nell’orecchio della bambina.

Di nuovo la piccola scosse la testa con più vigore e un sorriso ancora più grande.

«Puoi prendere questo però» gli disse tirando fuori un biscotto dalla tasca e mettendolo in bocca.

L’uomo fece una faccia sorpresa e diede un morso al biscotto.

La madre della bambina guardò la scenetta divertita.

«Amore, passiamo al mercatino di Natale prima di andare dai miei? Mia madre non trova il centrotavola coordinato…» disse andandogli incontro.

«Ma certo» rispose l’uomo dando un bacio alla donna.

La bambina dai capelli rossi continuò a cantare “Adeste fideles”, il coro dietro si aggiunse alla seconda strofa, e quel canto, prima delicato e leggero, acquistò forza e determinazione. Un corpo. Di nuovo la bambina dai capelli rossi cantò sola.

«”Venite adoremus, venite adoremus”.»

La voce di quel piccolo angelo dai capelli rossi sembrava quasi implorarlo di seguirla. Dove? Dove doveva seguirla?

«Papà! Papà! Vieni! Andiamo da Babbo Natale!» gridò la bambina prendendolo per mano.

L’uomo guardò la moglie.

«Abbiamo tempo, portala a vedere Babbo Natale, io vi raggiungo dopo.» disse la donna con un sorriso.

Padre e figlia attraversarono il mercatino tra la folla e si misero in coda.

«Papà, lo sai che non è il vero Babbo Natale questo, sì?» disse la bambina tenendo la mano del padre.

«Ah no? È un impostore!» disse il padre fingendo sorpresa.

«Ma no! È un suo aiutante!» disse la bambina ridendo.

«Mamma, mamma!» disse la bambina correndo in braccio alla madre.

L’uomo prese la busta della moglie.

«Già fatto?» le chiese.

«Sì, ne erano rimasti pochi, la signora stava pure per chiudere, sono stata fortunata!»

L’uomo aprì la busta e vide il centrotavola bianco.

«Bello!»

Urla dietro di lui, il suono di legna in frantumi, spari e lo stridio di una macchina.

Si girò verso la sua famiglia.

«Tieni Anna in braccio.» gridò alla moglie.

Corsero via, assieme alla folla. La macchina dietro di loro giocava a bowling con le persone. Altri spari, sempre più vicini. Urla. Urla terrorizzate sopra di lui, passi, buio.

Quando riprese i sensi era in una distesa di sangue. Le luci rosse e blu della polizia lampeggiavano su quel campo di morte.

Si alzò e barcollò tra quella distesa di cadaveri.

Era tutto opaco, confuso. Qualcuno gli si avvicinò. Un infermiere? Un poliziotto? Disse qualcosa. Non capì, lo scansò. Il terrore lo avvolse.

«Anna!» gridò il nome di sua figlia. Gridò il nome di sua moglie. La paura lo fece correre. Si girava attorno in cerca dei volti che amava. Di nuovo quella persona lo raggiunse con delle garze. Diceva qualcosa. Non gli importava nulla, doveva trovare sua figlia e sua moglie. Si mise le mani sulla fronte. Un dolore improvviso. Si guardò le mani, erano sporche di sangue. Il suo? Che importava? Doveva trovarle. Poi le vide. Due poliziotti stavano chiudendo in un sacco una donna con i capelli rossi.

«No…» mormorò mentre si avvicinava.

«No…» non era possibile, non era successo veramente.

«Signore si fermi…» gli disse un poliziotto.

Lui lo guardò come se avesse appena detto una bestemmia.

Dietro sua moglie, il corpicino di sua figlia giaceva supino, con gli occhi spalancati e la bocca insanguinata. Piccole ciocche dei suoi capelli ramati le coprivano il viso, quel suo viso dolce e puro, sempre allegro, quel viso che correva ad accoglierlo appena rientrava.

«No!» urlò.

«Signore!»

Diede uno strattone al poliziotto e si butto sul corpo della figlia.

Era tutto finito.

Il canto del coro finì tra scrosci di applausi, ma l’uomo non li sentiva. Non era lì. Si toccò la cicatrice sulla tempia e lacrime tristi, disperate sgorgarono dai suoi occhi.

I fedeli si alzarono in piedi, si scambiarono gli auguri, ridevano. Gli passarono indifferenti davanti, guadagnando l’uscita.

«Buon Natale, signore.»

Una voce dolce e gentile lo svegliò.

La bambina dai capelli rossi gli sorrideva.

«Hai cantato molto bene» le disse con un sorriso tra le lacrime. «Come ti chiami?»

«Anna.»

L’uomo sobbalzò a quel nome.

«Dove sono i tuoi genitori?»

«Non li ho.»

L’uomo guardò intristirsi quel volto così puro e delicato.

Le prese la mano, così piccola sotto la sua.

«Mia figlia si chiamava Anna.» disse l’uomo.

La piccola gli sorrise e i due uscirono insieme, mano nella mano.

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