La strada

Serie: La storia di Maddalena


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Vendere il corpo non è una scelta. Non è mai una scelta. Ti ci spingono, ti ci costringono, finché non ci sei dentro fino al collo e nemmeno te ne accorgi. Quando succede, sei già fottuta.

Da quella notte, la strada è diventata la mia vita. Il marciapiede, gli uomini, i soldi sporchi che passano di mano in mano. Il mio corpo è già di proprietà di altri. Non so nemmeno a chi appartengo. Ogni giorno è uguale al precedente. Ogni volta che un uomo mi entra dentro, chiudo gli occhi e vado via, da qualche altra parte.

Non sogno. Non posso permettermelo. Se sogni, sei fottuta. Se sogni, ti illudi che ci sia una vita diversa. E non c’è. La vita è questa: sudore, urla soffocate e mani che ti spingono giù, sempre più giù.

Il protettore di mia madre è diventato il mio. Stesso ghigno, stesse minacce. Mi alzo dal letto e già sento il suo respiro dietro di me, le sue mani sporche. Ma non mi importa. Sono già vuota. Sono morta da tempo.

Ricordo la prima volta sul marciapiede come se fosse oggi. Era freddo. L’aria gelida mi tagliava la pelle scoperta, mentre stringevo i pugni nei vestiti troppo stretti che mia madre mi aveva dato. Mi aveva truccata, mi aveva messo un rossetto rosso scuro che sembrava finto, troppo per una ragazzina. Ma quella era la regola: dovevo sembrare più vecchia, più navigata. Nessuno voleva una bambina, almeno non così, non sotto i lampioni.

Stavo in piedi lì, accanto a due donne che non avevo mai visto prima. Loro non mi guardavano nemmeno. Non mi avrebbero dato indicazioni, nessun consiglio. Ero un pezzo nuovo sul mercato, ma nessuno si cura della carne fresca.

Gli uomini passavano lenti in macchina, rallentavano, mi squadravano come se fossi una merce in esposizione. Il cuore mi batteva così forte che pensavo sarebbe scoppiato da un momento all’altro. Questa è la mia vita, cazzo. Non ci sarà mai altro, mi dicevo. Non ci sarà mai una fuga da questo.

Dopo un’ora di silenzi e sguardi furtivi, uno si ferma. La macchina è vecchia, come lui. Abbassa il finestrino e mi fissa.

“Quanto?” chiede con una voce ruvida.

Non so cosa dire, non mi ero mai preparata a questo. Ma lui insiste, più impaziente. Finalmente mi esce qualcosa dalla bocca. Un prezzo che nemmeno so se è giusto. Lui annuisce, come se fosse una contrattazione qualunque.

Salgo in macchina e chiudo la portiera. Le mani mi tremano, ma cerco di non farlo vedere. Lui mi guarda di nuovo, più da vicino questa volta.

“Sei nuova, eh?” mi chiede.

Annuisco senza parlare, fissando dritto davanti a me.

“Bene” dice e sorride. Quel sorriso mi fa venire voglia di scappare.

È il primo cliente. Si ferma in un vicolo buio, sporco. È sempre sporco. Scende dalla macchina e mi apre la portiera.

“Vieni” mi ordina, come se fossi già sua. E forse lo sono. Mi porta dietro un cassonetto dell’immondizia, mi sbatte contro un muro di mattoni freddi. L’odore della sua pelle è rancido, come sudore vecchio mischiato ad alcol. Mi spinge, le mani che si muovono veloci sotto la mia gonna, la sua bocca che cerca la mia senza nemmeno preoccuparsi se io voglio. Ma non importa. Non importa mai.

Mi abbassa le mutandine. Io lascio fare, perché questo è il gioco. Quando mi penetra, non sento niente. Solo freddo. Solo vuoto. Non è come la prima volta, non è così doloroso. È peggio. Quando finisce, mi butta a terra, come se fossi spazzatura. Si allaccia i pantaloni e mi lancia i soldi. Nemmeno mi guarda mentre se ne va. Mi rimetto i vestiti con le mani che tremano, senza capire se è il freddo o la vergogna a scuotermi così.

Ma in fondo so già la risposta. Non c’è più vergogna.

Ritorno a casa con i soldi in tasca. Mia madre è sul divano, svenuta con una bottiglia di whisky tra le gambe. La guardo per un secondo, e la odio. La odio con tutto il mio essere, ma non ho neanche la forza di sentirlo davvero. Butto i soldi sul tavolo e mi chiudo in bagno.

Mi lavo. Strofino la pelle finché diventa rossa, finché non sento più il freddo. Ma non importa quanto mi lavi, quell’odore di sudore e sperma non va mai via. È sempre lì, come un ricordo che non se ne andrà mai. Questa è la mia vita.

Con il tempo impari le regole. Non ti pieghi mai troppo, non ti fidi mai di nessuno. Non lasci che ti tocchino come vogliono loro. Fingi di avere il controllo, anche quando non ce l’hai. Perché, se lasci che pensino di avere tutto il potere, allora sei fottuta sul serio. Gli uomini sono bestie. Lo impari presto. Anche quelli che sembrano gentili, che ti parlano come se fossi una persona. Tutti, alla fine, vogliono la stessa cosa: il tuo corpo. E tu glielo dai, perché è l’unico modo per andare avanti.

Non so più cosa significa vivere. So solo sopravvivere. E ogni notte, mentre un altro uomo ti schiaccia sotto di sé, ti dici che è solo questo: sopravvivere. E aspetti che finisca.

Le notti diventano uguali. Cambiano i volti, cambiano le mani, ma la sensazione è sempre la stessa. Dopo un po’, smetti di sentire davvero. Diventi un pezzo di carne. Il sesso non esiste. Esiste solo il baratto: il tuo corpo per i loro soldi.

Le altre mi fissano, mi squadrano, e sorridono. È un sorriso triste, di quelli che ti fanno capire che anche loro sono fottute come te, solo che hanno smesso di pensarci.

“Abituati” mi dicono, “non cambia mai.”

E forse hanno ragione. Non cambia mai.

Così inizia tutto. La mia vita, se così la vuoi chiamare. Una vita di vicoli bui, di macchine vecchie, di uomini che si infilano dentro di me come se fossi già morta. E forse lo sono. Non so più cosa sia la vita, non so più cosa significhi avere una scelta. Mi alzo ogni giorno con l’unico scopo di resistere, di arrivare a sera senza crollare. Di non pensare a quanto tutto faccia schifo.

Ma il pensiero è sempre lì, sotto la pelle. Un giorno, forse, crollerò.

A volte penso che sarebbe più facile se smettessi di respirare. Se lasciassi che uno di loro mi uccidesse. Ma non lo fanno mai. Si fermano sempre prima. Non sanno quanto desideri che qualcuno metta fine a questa merda.

Il mio rifugio è una stanza di merda, in un palazzo che puzza di piscio e di muffa. Le pareti sono sottili, posso sentire i gemiti di altre ragazze come me. Altri uomini che entrano ed escono. Non siamo niente. Siamo solo corpi, carne da macello.

Mi siedo davanti allo specchio e mi guardo. Le occhiaie scure, la pelle pallida. Sono magra, troppo magra. Il cibo non conta, il sonno non conta. Solo i clienti contano, solo il denaro che porto al protettore conta.

Mi chiedo cosa sia rimasto di me. Chi ero prima? Ma non trovo risposte. Forse non c’è mai stata una me.

Serie: La storia di Maddalena


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Il realismo di questi tuoi racconti é quasi sconvolgente; eppure, nonostante la protaginista si senta morire o sia in parte già morta, la percepisco non come un soggetto finto, costruito a tavolino, ma come una creatura vera e viva, a cui ci si puó affezionare, come succede, a volte, con i protagonisti delle storie migliori, ideate dai bravi autori che sanno coinvolgere i lettori.

  2. Mi sono piaciuti molto questi due episodi. Lo stile è crudo e preciso e rende alla perfezione il dolore, la solitudine, l’annientamento a cui si è costretti in questo tipo di vita. Molto bravo. Mi ha colpito come tu sia stato in grado di trascrivere un punto di vista femminile in modo così esatto.